Varie  -  Faccioli Marco  -  31/07/2015

LA NECROFAMA IN INTERNET - di MARCO FACCIOLI

LA NECROFAMA - come alimentare la propria MICROFAMA MEDIATICA sulle sventure altrui.

 

Se è vero che la rete è democratica, allora non c'è nulla di male a cercare di ottenere il maggior numero di consensi con la promozione della propria immagine ed il proselitismo del proprio pensiero. Un post su Facebook, un tweet su Twitter, una foto su Instagram, un video su youtube, tutto viene utilizzato quando serve allo scopo di farsi conoscere, di apparire, di contare, di conquistare prima e costruire poi la propria microfama.

 

Posta e ri-posta, commenta, sii presente, diversificati dalla massa, polemizza, attacca, esonda, stupisci, semina vento, svetta sulla cresta dell'onda virtuale fino a che questa non si sarà totalmente esaurita sulla riva. Crea e goditi la meritata fama sul tuo profilo dei social network.

Tutto questo non basta?

Per quanto il tuo quotidiano "esserci e contare" in rete sia martellante e per quanto il tuo profilo Facebook sia visitato e commentato e per quanto i tuoi tweet ritweettati all'infinito, comunque non ti ritieni ancora appagato?

Allora dedicati alla necrofama, di solito questa ripaga con gli interessi.

 

"la necrofama (…) porta ad invadere le bacheche quando muore un personaggio famoso (...) Io l'ho ascoltato-letto-visto in televisione e OH, ci mancherai, e OH, sono addolorato, specie se il mio vicino di bacheca o di tweet ottiene più consensi di me nella sua commemorazione. La necrofama è un'ottima cartina tornasole, fa sparire l'oggetto del ricordo e mette in primo piano "il ricordante", ribaltando i piani. Quando Gaza venne di nuovo bombardata, alla fine del 2012, sui social finirono immagini di bambini morti, quattro fratellini probabilmente, fotografati sul tavolo d'acciaio dell'obitorio. Chi rifiutava di condividere le fotografie, era immediatamente considerato un perbenista, moralista, complice della strage. Pornografia emotiva, ai livelli più alti, cha ancora una volta spostava l'attenzione da quello che avrebbe dovuto essere il soggetto (i bambini di Gaza), a chi lo aveva postato."

(Arduini e Lipperini – 2013)

 

Naturalmente, quando si sposano le regole della necrofama, il brivido diventa il proprio mestiere. Poco importa se si conosceva o meno il personaggio (noto o meno noto) scomparso, l'importante è versare copiose lacrime virtuali per la di lui dipartita, così da avere visibilità per il proprio profilo e collezionare il maggior numero possibile di "mi piace" o condivisioni dei propri post.

Ed è così che molti si sono stracciati le vesti alla morte di Lucio Dalla, senza mai aver sentito una sua canzone, molti si sono detti sconcertati della morte di Marco Simoncelli, detto SIC, senza nemmeno avere la minima idea di chi fosse, molti hanno pianto l'addio di Nelson Mandela confondendolo con Morgan Freeman (idem dicasi per Robin Williams, confuso con Robbie Williams), e molti, quelli che potremmo definire gli accademici della necrofama, hanno postato la bacheca a lutto per persone che erano vive e vegete (uno per tutti, al quale naturalmente auguriamo piena salute e lunga vita, Paolo Villaggio).

Ma come nasce la necrofama? Chi la alimenta, chi la propaga in rete con effetto virale?

Gian Roberto Casaleggio, esperto di comunicazioni e strategie di rete, oggi testa pensante del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, ci può aiutare a rispondere a questa domanda parlandoci, nel suo sito, degli influencer, ovvero di quel 5% degli utenti dei social network che condizionano il 95% della rete.

 

"(...) circa la metà hanno meno di 20 anni e moltissimi sono minorenni, la maggior parte degli influencer sono uomini. (…) Cosa fa un influencer? Interagisce. Si reca dove ci sono discussioni e commenti e, appunto, influenza con le proprie opinioni. Lo fa in buona o cattiva fede, gratis o a pagamento. Gli influencer vanno valutati dalle aziende come asset strategici perchè il valore di un'azienda è nella vendita dei prodotti e servizi, questi ultimi si stanno spostando sempre di più on-line e gli influencer determinano la vendita di questi prodotti (…) Se diventi influencer le aziende ti vogliono bene, ti regalano pacchi di pannolini, e confezioni di margarina e libri, o magari ti pagano un pò, o addirittura puoi arrivare ad avere uno stipendio regolare. Ma per diventare influencer devi essere microfamoso, ed ecco che il gatto si morde di nuovo la coda. Devi diventare merce per poter propagandare ancora altra merce, essere sempre connesso, sempre sulla scena, non distrarti mai."

(Casaleggio – 2014)

 

Il fine ultimo è e resta sempre quello della visibilità mediatica, della caccia bulimica al "mi piace" ed al commento complice.

 

(continua...)




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