-  Redazione P&D  -  15/04/2014

LA GRAZIA DI ESSERE SINGOLARE - Giuseppe FEDELI

LA GRAZIA DI ESSERE SINGOLARE

"Padre, perdona loro..." (dal Vangelo di Luca)

 

Che fatica alzarsi ogni mattina, accudirti e starti dietro, dover pensare solo a te e alla tua vita... Basta, non è giusto, anch"io ho bisogno, al di là del lavoro fuori e dentro casa, dei miei spazi, dei miei svaghi, di momenti di evasione da questa prigione…tu non mi fai vivere costringendomi ad assecondare attimo dopo attimo le tue stravaganti manie, le tue strampalate voglie, ad ascoltare le tue assurde fisime…a porre un freno alla tua strabordante "esuberanza"…basta…la misura è colma…

...ma un giorno ho avuto il coraggio di guardarti negli occhi. E da lì è incominciata per tutti e due una nuova vita.

*** ***

Che pena. Mascherarsi dietro i propri inganni per tentare patetiche resurrezioni da se stessi e impossibili risarcimenti in clamorose quanto vili fughe verso territori dove non fiorisce il papavero dell"amore, non vige il rispetto per la vita, e soprattutto non vivono e parlano la bellezza e il mistero dell"alterità. Quali che siano i connotati che ne fanno una realtà unica, non ripetibile.

Mi sono gettato a capofitto nell"Infinito dei tuoi occhi, velati da abissi imperscrutabili, ma pervasi di amore, alla ricerca spasmodica di una mano tesa ad accettare un""altra" realtà.

Una diversità che non esiste se non nelle stupide regole degli umani, nei referti di freddi reparti poliambulatoriali, nei diktat cui deve giocoforza uniformarsi questa sterile malata società.

A nessuno è dato scrutare la tua anima, angelo mio, così come nessuno - tranne gli uomini di "buona volontà"- oserà mai guardare in fondo a quell"abisso, perché la diversione dalle regole comuni fa paura, incute un senso di straniamento che lotta per una codarda agognata evasione dal disagio(degli altri), e alla fine diventa disinteresse nudo e crudo verso il prossimo, specchio di dualismi mai risolti, delle paure più recondite, che, anziché affrontarle si preferisce ricacciare nei meandri più oscuri dell'anima, nella "zona franca" della propria (cattiva) coscienza.

Padre, perdona loro, perché (non) sanno quel che fanno, sale alto il grido di pietà: non sanno (recte, fingono di non sapere) che la relazione verso l"altro è il sale di ogni rapporto interpersonale e getta il seme per altre relazioni feconde. E sono proprio le persone singolari, che non è dato incasellare nei comuni stereotipi "umani", a dare un senso a un'esistenza, che altrimenti sarebbe piatta e monotona ripetizione di clichè inveterati dal tempo, cartina di tornasole delle convenzioni inautentiche e perbeniste, correlativo oggettivo di una obsoleta quanto aberrante necessità di essere omologati a un "modello".

Ma il dolore è necessario, esso purifica, perché svela, ri-velandolo, il senso: una volta strappata la maschera, è nella nudità e fragilità della condizione umana, nel dolore che, scopriamo, abita la verità.

voli alto, dietro il tuo sguardo lontano danzano i venti, corrono le nuvole di primavera, spirano le brezze del mare... porti dentro la Bellezza e l"Immenso. Non sei però omogeneo a quello che la società dirigista impone, pena l"espulsione dal consesso umano. Che miseria, che vergogna.

La bellezza, a tratti "offuscata" dai movimenti iterati dei muscoli, da risa e grida, è tutta dentro di te. Anche se i benpensanti – pieni del loro insulso ego e di pregiudizi bigotti e farisei-, scansandoti, s'illudono di trovare riparo da sé più che dall'altro da sé, e, dalle tenebre dell'abisso in cui sempre più sprofonda la loro falsa vita, di aver debellato il "mostro" e il morbo che lo appesta, perché non ti giudicano degno di stare in questo mondo che si accontenta delle ipocrite vacue luccicanti apparenze.

Mentre tu, angelo con le ali, voli sempre più su, dove l"azzurro è il colore riflesso da quegli occhi che nessuno, tranne gli uomini di "buona volontà", oserà mai guardare. E la grazia del tuo essere "diverso" è l"altra faccia delle umiliazioni, delle sconfitte e delle brucianti ferite che il mondo degli altri arreca quotidianamente alla tua anima.

Quell"anima che -dietro le apparentemente insormontabili barriere-, nutre e continuerà per sempre a nutrire la voglia pazza di amare, e insieme il desiderio insaziabile d"essere amata

P.S.

...nell'ultima, decisiva partita col destino...in quell'ultima, imperitura "immagine" scoprirai che accanto a Tommy non hai sprecato tempo, ma che, al contrario, donandoti a lui, il tuo angelo ti ha fatto il regalo più bello del mondo.

 Giuseppe Fedeli

 

Papà è la parola: desiderata, inseguita, mai arrivata perché Tommy non l"ha mai pronunciata. E il suo innominato papà allora l"ha sognata. "Una notte ho sognato che parlavi" (Mondadori) è una spudorata dichiarazione d"amore di un papà per suo figlio Tommaso, 14 anni di silenzio chiuso in una malattia che noi chiamiamo autismo e della quale sappiamo molto poco. Gianluca Nicoletti, giornalista e scrittore, ci ha messo tutto: furia, dolcezza, ironia, rabbia, stupore, affetto. E un ingrediente rarissimo: la sincerità.

In verità, questa storia "appartiene" a chi scrive, che offre ai lettori un lacerto tratto dal suo libro "Guarda nell'abisso. Lettere ad Alessio, bellissimo bambino senza parole", pubblicato da Pagine editr.(in riferimento al quale su you tube c'è un'intervista con l'autore):

 

AD ALESSIO

 

(...)Belli e pieni di sole i giorni della vita.

Raramente lunga, quasi sempre breve e fugace la bellezza.

Non sempre i giorni, però, recano gioia, non sempre sono scanditi da quella sana voglia di vivere che apre alle cose, ed è terra, aria, incoscienza, passione.

Spesso, anzi, portano con sé quel fardello insostenibile di sofferenza e ingratitudine, di uggia e ubbìe, che lasciano sbiaditi i colori meravigliosi del tramonto, offuscano il miracolo del sorgere del nuovo giorno, cancellano l"eco furtiva delle ultime risa.

Fogli gualciti di lacrime, riflessioni amare.

Rammarichi che alle volte si tramutano in rimorsi.

Il gioco della vita, questo puzzle inestricabile di bene e male, ci traghetta d"improvviso verso approdi impensati fino a un attimo prima, a rade di cui fino allora ignoravamo l"esistenza.

Le onde del mare ci sballottano qua e là, altre volte invece ci accarezzano, ci cullano in grembo, scandendo la litania dolcissima, da sempre ripetendo una verità eterna.

La vita, la felicità.

Petali di una rosa, bagnata di rugiada, che stilla umori adamantini, e nasconde ritrosa le sue tremende spine.

Noi ne contempliamo, pudichi e stranieri, l"irraggiungibile mistero.

Ma la rosa vera sta ben più lontano

 

*** ***

 

…quello smemorato andare, mano nella mano, tu che ti sporgevi oltre la balaustra che imprigionava il lago, proteggendone le anse, rapito da un sogno…quello sguardo di madre che intrepido combatte la partita del tempo, audace trasognato prima ancora di posare le stanche pupille…

A voler carezzare i ricordi, incalzano sempre più fitte le domande. Mute, le risposte vanno però oltre la gittata delle cose.

Papà, papà, un sogno insiste a scavarmi il seno, papà, portami dove il mare non finisce mai…a bordo della tua fiammante macchina, dentro ci ho costruito il mio mondo…

Furtiva si spegne l"eco di quell"inganno, il disco che le notti d"estate suonava –anche per te…- sui madori della pelle un gesto folle l"ha rotto, non suona più…

A filo di rasoio viaggiano i pensieri, baldanzosi saliamo e discendiamo in silenzio i tornanti e le piste dei luoghi cari, in un vai e vieni di emozioni a stento rattenute, sorta di appostamento "mobile" a malinconie in cerca di riscatto.

A gridare così forte, a momenti mi saltano le orecchie, ma quella gioia impossibile a dirsi è il comando che dà la direzione ai gesti, e voce alle parole, dà corpo alle intuizioni.

Qui dentro, poi, il grigio non è così grigio, le nuvole gravide di tempesta stanno per scoppiare, ma gentili accompagnano il nostro andare per altre piagge, senza rovesciarci addosso i loro umori. Via, verso casa…ancora una volta…

I troppi perché, quelle certezze impalpabili, impossibili, esule si fa strada un sorriso…

Il viaggio di ritorno, così diverso, così uguale a quello d"andata, ricamato degli stessi rimpianti, nostalgie refrattarie a guarire, condito di quei sapori, del profumo d"innocenza e di volontà caparbia, pregno di quegli estri e della meraviglia che il volto accenna, all"ombra di una mestizia che ti resta appiccicata addosso come un odore.

Le colline di casa fanno da contrappunto a un rinnovato stupore, ammiccano pudibondi i gesti…

Domani, un altro giorno, e poi domani, e tutti –anche tu- così uguali, così diversi da noi medesimi.

Le stesse cose, il letto grande, i tuoi respiri, i giochi. Ma punti di vista in fuga dall"usuale prospettiva.

Mi getti di colpo le braccia al collo, hai voglia di fare una capriola.

Mi conquisti, sbaragliando ogni mia resistenza.

Giuseppe Fedeli

(il tuo Papà)




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