Varie  -  Redazione P&D  -  13/12/2016

LA DIFFICILE TUTELA IN CASO DI T.S.O. - Sara COSTANZO

In Italia il ricorso al TSO non ha la finalità di prevenire un danno alla persona o ad altri ne di "risolvere" problemi di gestione del paziente. Al di la di quanto previsto dalla legge l"applicazione "pratica" dell"istituto risente della complessità e della delicatezza delle situazioni coinvolte.

Queste in sintesi le questioni da evidenziare: a) a tutt"oggi il ricorso ai TSO risente della diversità con cui ogni regione gestisce la cura dei pazienti con problemi psichici. Questo aspetto ha un"immediata ricaduta non solo sulla quantità/qualità dei trattamenti coattivi ma anche sulla capacità della famiglia /contesto sociale di sentirsi aiutati e sostenuti in quella che è una condizione che va ben oltre il omento dell"emergenza; b) In Italia le persone sottoposte a T.S.O. sono per lo più "pazienti noti"ai servizi per essere stati precedentemente ricoverati. In questi casi accade spesso che le forme di tutela previste dalla legge vengano considerate mere formalità dando per scontato che ogni volta ricorrono le condizioni della volta precedente; c) al di la delle forme di tutela previste dal dato normativo, nella pratica "difendersi" da un TSO illegittimo è molto complesso. A questo va aggiunto che il nostro ordinamento prevede un sistema più spostato sul versante psichiatrico che giuridico con il rischio di rimettere di fatto ai soli medici qualsiasi decisione sul ricovero forzato.

 

Un aneddoto. Verso la fine di aprile le pagine locali del quotidiano la Nazione riportarono un curioso incidente. Una donna psicotica temporaneamente ricoverata al policlinico della città di Grosseto doveva essere trasportata al policlinico della città di Napoli, sua città natale. Non appena i volontari della Croce Rossa si erano avvicinati per caricarla sull'ambulanza in attesa, la donna aveva cominciato rapidamente a scompensarsi. Si era messa ad insultarlo in modo aggressivo e aveva iniziato a spersonalizzarsi, sostenendo di essere qualcun altro, tanto che si dovette ricorrere ai metodi di costrizione fisica. Circa n'ora dopo, sull'autostrada nei pressi di Roma ,la polizia intercettò l'ambulanza e la ricondusse a Grosseto. Si era infatti scoperto che la donna in questione non era la "vera paziente" ma una visitatrice andata in ospedale a trovare un amico (Paul Watzlawitc). Gli studiosi come P. Watzlawitc (noti come costruttivisti) sono convinti che non sia possibile una conoscenza della realtà che sia del tutto indipendente dalla persona dell"osservatore. Se prestiamo attenzione in questo senso non è difficile accorgerci di come, nell"atto stesso di osservare il mondo "selezioniamo" cosa sia importante e cosa no e soprattutto secondo quali parametri decodificare gli eventi. Questa selezione è "guidata" da molti elementi: le nostre personali "teorie", la disposizione d"animo in cui ci troviamo, il fine che stiamo perseguendo, il genere di relazione che ho con l"oggetto della mia conoscenza e cosi via. Essa inoltre risente fortemente del contesto sociale a cui il soggetto appartiene e con cui condivide (o contro cui condivide) parte del modo di vedere il mondo e decodificare la realtà. In linea di massima accade dunque che, nel momento in cui mi accosto alla realtà, cerco di "ordinare" i dati che mi si presentano davanti in un modo che abbiano un senso e che mi permette di operare al meglio possibile in quella determinata situazione. Gli aspetti interessanti della questione sono principalmente due. a) il processo di selezione (e il senso che ne deriva) sono via via sempre più determinati dalle fasi precedenti; b) laddove una modalità di decodificare la realtà non produce i risultati sperati tendiamo a spiegare il fallimento sulla base degli stessi principi in base a cui abbiamo operato e non a mettere in discussione i principi stessi.

Se torniamo al nostro aneddoto ci appare più chiaro cosa è accaduto. Convinti che la signora indicata fosse psicotica i volontari della croce rossa hanno interpretato ogni suo comportamento sulla base di questo presupposto. Qualunque cosa la malcapitata facesse (del tutto "normale" se si considera che, andata a trovare un"amica, viene avvicinata e caricata di forza su ambulanza) viene dunque visto come ulteriore elemento che conferma la credenza iniziale.

Finalità. In Italia i trattamenti psichiatrici sono di norma volontari. Ognuno di noi ha dunque il diritto di scegliere "se" e "come" curarsi, di essere adeguatamente informato sulla natura e gli effetti della terapia e di rifiutare qualsiasi tipo di cura gli venga somministrata contro la sua volontà. La legge 833/1978 (che ha "inglobato" la legge 180/1978) disciplina l"unica eccezione a questo principio e cioè il Trattamento Sanitario Obbligatorio. E" dunque solo e soltanto in presenza di questo tipo di provvedimento che possiamo essere sottoposti contro la nostra volontà ad un trattamento psichiatrico. Come è noto i trattamenti sanitari obbligatori sono disposti con provvedimento del Sindaco del comune di residenza o nel quale ci si trova. Tale provvedimento deve essere disposto entro 48 ore dalla richiesta motivata di un medico e a sua volta convalidata da un professionista della unità sanitaria locale. Nel caso di malattie mentali, il T. S.O. può essere disposto solo se sussistono alcune condizioni: (a) il paziente presenta alterazioni psichiche tali che gli interventi richiesti sono da considerarsi urgenti, (b) che il paziente non accetti la terapia ritenuta necessaria, (c) che le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere. Il ricorso al TSO non ha dunque la finalità di prevenire un danno alla persona o ad altri ne di "risolvere" problemi di gestione del paziente.

Nella pratica: la richiesta. Il TSO è normalemnte richiesto dai familiari del "malato" o da persone appartenenti al contesto sociale in cui vive. In genere viene allertato il servizio Psichiatrico locale o direttamente le forze dell"ordine (quest"ultima possibilità dovrebbe essere rimessa a casi particolari). La richiesta può dunque essere redatta dal medico stesso della ambulanza o dallo psichiatra del servizio giunto sul posto o anche dal medico di base e successivamente convalidata. Nella maggior parte dei casi –essendo il TSO disposto per pazienti già noti – richiesta e convalida vengono redatte dallo stesso Servizio Psichiatrico. Un aspetto importante del procedimento è la necessità che i medici (nello specifico il medico della unità sanitaria locale) motivi la convalida di richiesta in relazione alla sussistenza di tali presupposti. Benché scontata, questa affermazione è di importanza cruciale nel caso di pazienti "noti" al servizio e già precedentemente ricoverati in modo coattivo. In questi casi l"accertamento dei presupposti prima indicati (che in se implica che il paziente venga adeguatamente "visitato") viene spesso svolto in modo superficiale o addirittura bypassato. Cosa che compromette ab origine un altro requisito fondamentale del trattamento e cioè la messa in atto di procedure tese ad ottenere il consenso dell"interessato. A questo si aggiunge spesso la prassi di far prelevare il paziente dalle forze dell"ordine non solo prima che venga emesso il provvedimento del Sindaco ma anche se non ci si trova in presenza di segni di pericolosità o resistenza particolari. Circa questo punto va ricordato ( e qui l"aneddoto in apertura) che una volta attivata la procedura di prelievo "forzato"è moto difficile stabilire quanta resistenza o violenza è da attribuirsi allo stato "di urgenza" in cui versa il malato e quanta al contesto e dunque alla modalità di azione. Va a questo aggiunto che quasi mai le forze dell"ordine sono addestrate allo svolgimento di tale compito e dunque preparate ad affrontare situazioni cosi delicate.Entro le 48 ore successive il provvedimento che dispone il T. S.O. va comunicato al Giudice Tutelare competente, affinché, assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti, provveda con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento. Tali accertamenti o informazioni non sono nella pratica quasi mai richiesti limitandosi a casi in cui le motivazioni mediche appaiono palesemente inadeguate o addirittura incomplete. Come nel caso della richiesta, valgono anche qui le considerazioni in merito ai "pregiudizi" che spesso accompagnano alcuni pazienti e che si riflettono sull"iter.

La difficoltà di tutela. Data la natura del TSO, la legge dispone che chiunque vi abbia interesse può proporre ricorso contro il provvedimento del Sindaco. Tale forma di tutela è ancora più interessante se se si considera la sua "reale" impossibilità a perseguirla. Innanzi tutto per una questione temporale: la legge prevede la durata tipica del T.S.O. in sette giorni e al tempo stesso fissa in giorni 10 il termine massimo entro cui il Sindaco è tenuto rispondere al ricorso. Ma non è l"unica difficoltà. Il paziente sottoposto al trattamento è "di regola" considerato incapace di provvedere al proprio interesse (conditio sine qua non del trattamento stesso), condizione che se non sussiste in partenza è resa altamente probabile dalla assunzione di farmaci. Tale stato psichico comporta: (a) la difficoltà per il paziente di articolare da solo il ricorso o quantunque ci riuscisse di rendere credibile quanto specificato. La patologia mentale ha la capacità di far credere che ogni cosa il malato faccia sia dettata, o comunque- fortemente influenzata da questo aspetto della mente. Chi esamina il ricorso dovrebbe pensare che una persona dichiarata "non in sé" e "non in grado di occuparsi di se" sia in realtà cosi presente a se stessa da valutare quanto gli è accaduto (e il proprio stato mentale) e agire per il proprio bene. Quanto detto presuppone da parte di chi esamina una grande capacità di guardare all"individuo senza pregiudizi e, di regola, un tempo che le autorità spesso loro malgrado,non hanno. La cosa inoltre si complica di molto per i pazienti "noti" relativamente ai quali si può dare facilmente per scontato che sussistano ogni volta le medesime condizioni delle volte precedenti; (b) se altri volessero proporre ricorso incontrerebbero analoghe difficoltà. Quantunque si riuscisse ad accedere agli atti (cosa in se già molto difficile) si potrebbe impugnare il provvedimento sotto due diversi profili: per vizi che attengono alla forma o per aspetti che coinvolgono la motivazione. Se i vizi di forma sono facili da individuare (non rispetto dei passaggi formali, dei tempi ecc.) più difficile è dimostrare la insussistenza dei presupposti. Nello specifico si dovrebbe provare che non sussistevano le condizioni necessarie al ricovero e cioè che l"intervento non era urgente o che il paziente non aveva rifiutato le cure o anche che fosse in realtà possibile un contesto di cura extraospedaliero. Dimostrare tutto questo risulta difficilissimo e facile è immaginarne il motivo: se ricostruire lo stato del paziente ex post è cosa già di per se molto difficile, in questo caso si aggiunge la aggravante – specie per il paziente "noto"- dei pregiudizi sul suo stato mentale, e le pressioni da parte dell"esterno. Tale accertamento – se vuole avere credibilità-richiede inoltre una valutazione che coinvolge un aspetto "psichiatrico": in tal caso ci troveremo di fronte a due diagnosi (chi accerta la insussistenza e chi ha convalidato la richiesta) che dicono cose opposte. Ovviamente il caso è più facile se le irregolarità sono evidenti o la motivazione è addirittura mancante o fortemente insufficiente. Resta inoltre l"aspetto centrale del problema e cioè la non conoscenza ( e dunque la non informazione) da parte del paziente dei suoi diritti. Ci troviamo infatti, ancora una volta, all"interno di un paradosso: spiegare a chi reputo incapace di provvedere ai propri interessi cosa può fare per tutelare proprio quegli interessi. A tale paradosso della follia non è immune un"altra eventualità e cioè che il paziente, prima della scadenza del termine, dichiari di volere assumere la terapia da solo. Anche in questo caso si tratta di valutare la affidabilità di una decisione da parte di un paziente che non si ritiene in grado di intendere. Questo aspetto è inoltre "aggravato" da una considerazione psicologica di non poco conto e che è stata più volte oggetto di ricerche: quando dalla valutazione dello stato psichico del paziente dipende una qualche conseguenza nel mondo giuridico e che dunque espone a possibili responsabilità su questo piano, le valutazioni sembrano seguire un criterio di prudenza meno presente in altri casi. Resta comunque in ogni da interrogarsi sulla responsabilità – circa i possibili danni subiti –che incorre qualora la volontà in questo senso del paziente non sia tenuta in considerazione.

 

Il costo emotivo. A meno che non vi sia un doloso desiderio di nuocere al paziente, il TSO è un provvedimento che ha un "costo" emotivo per tutti gli attori coinvolti: a) Il paziente. al di la dei possibili abusi e delle difficoltà di tutela prima evidenziate, resta da chiedersi quale sia la ricaduta dell"istituto in termini terapeutici. Essere ricoverati contro la propria volontà rende per la maggior parte difficile istaurare con il paziente un rapporto di cura che sia continuativo. A questo si aggiunge che la durata del trattamento (e la sua natura coattiva) portano il paziente ad essere curato per lo più solo farmacologicamente rendendo estremamente difficile (anche se non impossibile) pensare e progettare un intervento psicoterapeutico o coordinare l"operato con trattamenti simili già in corso presso altri medici o strutture. Ma non solo. Il TSO viene spesso richiesto dai familiari del paziente o da persone a lui vicine. Tale dato va considerato unitamente a due fattori importanti: a) il paziente è per la maggior parte dei casi poco consapevole del suo stato (o addirittura, come effetto di alcune sindromi- sente una percezione di gran benessere). In questi casi è facile che il trattamento venga vissuto come un vero e proprio sopruso, una vendetta, una punizione; b) che le condizioni che generano un TSO sono spesso amplificate proprio dal contesto che ne chiede la risoluzione. Tutto questo rende il ritorno a casa (che avviene in tempi brevi) sempre più complesso a scapito del benessere del nucleo familiare tutto; b) le famiglie. La condizione di chi si trova a dover condividere la vita con una persona affetta da problemi psichici è, in molte regioni, cosa tutt"altro che agevole. Al di la dei casi assolutamente particolari in cui è (dovrebbe essere ) possibile un TSO, le famiglie in questione sono lasciate sole con i loro problemi e se la cosa può essere "trascurabile" in relazione a patologie non molto gravi lo è meno quando la malattia comporta una ricaduta costante e difficilmente gestibile nella vita quotidiana. A questo si aggiunge che i livelli di tollerabilità – specie laddove la recidiva è alta e predomina la volontà del paziente di non curarsi- tendono ad abbassarsi nel tempo provocando insofferenza e aggressività in ogni membro del nucleo familiare o sociale, paziente compreso; c) le istituzioni. Le prassi applicative dei TSO risultano a tutt"oggi molto diverse da regione a regione. In alcuni contesti è facile assistere ad "abusi" tacitamente accettai (l"intervento delle forze dell"ordine fuori dai casi di necessità ne è un esempio) a questo si aggiunge che molti degli attori coinvolti non sono preparati a gestire situazioni cosi delicate.

Anche in questo caso si crea dunque un circolo poco virtuoso in cui lo stato del paziente, dei familiari /società e degli operatori si influenza vicendevolmente e benché non possa in concreto dirsi quale sia l"origine della catena a prendersi tutta la responsabilità è in ultima anali la parte più debole (e anche più comoda) che è il paziente.

Tutela. Queste le cose resta da chiedersi come sia possibile attuare una qualche forma di tutela. In questo senso un possibilità si rivela proprio l"istituto della Amministrazione di Sostegno. Tale istituto permetterebbe al paziente: (a) di esprimere ex ante le proprie volontà in caso si ponga l"esigenza di ricovero. Tali volontà possono riguardare il medico o la scelta della struttura o anche la possibilità di indagare precise scelte alternative extraospedaliere; (b) di delegare preventivamente l"amministratore a tutelare i nostri interessi, compresa la capacità di accedere agli atti e di proporre ricorso; (c) un TSO porta il soggetto lontano dai propri interessi per tutto il tempo del ricovero. Molte volte, inoltre, la persona va tutelata di fronte alla possibilità che altri approfittino di tale assenza a suo danno d) i pazienti sottoposti a TSO sono per lo più persone sfiduciate nei confronti delle istituzioni. Nominare un amministratore di sostegno di cui il paziente si fidi può essere utile a creare un "ponte" capace di promuovere la comprensione del disagio e la messa in essere di azioni e strumenti di cura preventivi.




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