-  Valeria Cianciolo  -  16/03/2017

La Corte dAppello di Torino ha respinto il ricorso dei genitori-nonni – di Valeria Cianciolo

Nota a Corte d"appello di Torino, sentenza 21 febbraio - 11 marzo 2017, n. 21

La Corte d'Appello di Torino ha confermato lo stato di adottabilità della bimba che era stata allontanata dalla coppia di "genitori-nonni" di Casale Monferrato (75 anni lui, 63 lei) a pochi mesi dalla nascita.

I giudici hanno respinto il ricorso presentato dalla coppia: la bambina contesa, dunque, resterà con la famiglia adottiva.

Perché tanto clamore? Si è parlato dell"età di questa coppia come se l"età fosse la causa di questa tragedia umana. E già. Di tragedia si tratta. Un giorno questa bambina saprà. Per caso. Per destino o per volontà. Ma verrà a sapere.

Ma a monte ci siamo dimenticati di valutare e contestualizzare i fatti: questa coppia era stata dichiarata inadeguata alla genitorialità ben prima che la bambina nascesse. Soggetti deboli. Vulnerabili. Tanto quanto la bambina oggetto di contesa in questa lunga querelle.

I protagonisti di questa tragedia sono tutti vulnerabili. E nell"accertamento della condizione di vulnerabilità gioca un ruolo particolarmente attivo il giudice del caso concreto, proprio in ragione della necessità di individuare all"interno della fattispecie la vulnerabilità in astratto considerata, volta per volta, dall"ordinamento e l"apprestamento delle misure che "nel concreto" possono salvaguardare il soggetto vulnerabile.

Come affermato da Roberto Conti: "In un quadro magmatico, qual è quello attuale, nel quale il giudice si trova ormai quotidianamente a operare, questo stesso giudice deve essere capace di offrire una tutela piena ed effettiva ai diritti, fondamentali e non, della persona e di muoversi con competenza e dimestichezza all"interno del composito sistema di norme, di matrice interna e sovranazionale che la dimensione sopra tracciata impone come scelta ineludibile del "buon giudice". Ora, il cambio di passo richiesto al giudice è soprattutto collegato alla consapevolezza che il regolatore del processo, pur nella sua posizione di terzietà, viene chiamato a svolgere un ruolo assolutamente attivo che non è proprio della tradizione culturale e storica della magistratura."

Proviamo a riordinare questa intricata trama di provvedimenti.

Luigi Deambrosis ha oggi 75 anni, sua moglie Gabriella ne ha 64. Da anni desiderano avere un figlio, ma la loro richiesta d"adozione è sempre stata negata. Hanno provato anche con l"adozione internazionale, ma la loro domanda è stata, di nuovo, respinta.

Nel 2010, quando lui aveva 69 anni e lei 57, decisero di ricorrere alla fecondazione eterologa. Su questo evento i due non hanno fornito alla stampa alcun dettaglio. Essendo all"epoca vietata in Italia, dove sono stati? Come è avvenuta l"inseminazione? L"età della donna è avanzata, i casi di successo sono rarissimi – per le statistiche intorno all"1 o 2 per cento –, la legge italiana (la tanto vituperata e ormai sfilacciata legge 40), pur non fissando un limite all"età della donna per il ricorso alla pma, specifica che deve essere in età fertile. Gabriella lo è? Si è recata all"estero per ricorrere all"eterologa?

Di tutto questo sui giornali non se ne parla; massimo riserbo. E neppure nulla dicono le sentenze.

La Suprema corte con la sentenza del 30/06/2016, n. 13435 ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato adottabile una neonata pur in mancanza di specifici elementi denotanti lo stato di abbandono, valorizzando invece fattori che, di contro, non avrebbero giustificato una tale pronuncia, in particolare: a) un episodio isolato, l'averla i genitori lasciata sola in automobile di notte, la cui pericolosità è stata esclusa dal giudice penale; b) l'età eccessivamente elevata dei genitori medesimi, elemento invece del tutto irrilevante; c) il disagio manifestato dalla bambina nei confronti dei genitori negli incontri monitorati dai servizi sociali, invece spiegabile proprio con il prolungato allontanamento della stessa dai congiunti a poche settimane dalla nascita).

Partiamo dall"inizio.

A seguito di espletamento di consulenza tecnica di ufficio, con sentenza in data 16/08/2011, il Tribunale per i Minorenni di Torino dichiarava l'adottabilità della minore, disponendone l'immediata collocazione in famiglia affidataria, avente i requisiti per una futura eventuale adozione, e autorizzando i genitori ad incontrare la minore stessa, in condizioni protette.

Proponevano appello i genitori della minore.

Costituitosi il contraddittorio, tutore e curatore speciale della minore chiedevano la conferma della sentenza impugnata.

Veniva sentita a chiarimenti la consulente in primo grado, e successivamente rinnovata la consulenza tecnica, affidata ad una psicologa e ad uno psichiatra.

La Corte d'Appello di Torino, con sentenza in data 22/10/2012, confermava la sentenza impugnata.

Ricorrono per cassazione i genitori della minore. Resiste con controricorso il curatore speciale.

La Cassazione conferma la sentenza della Corte d"Appello.

Questi alcuni passaggi motivazionali molto significativi della sentenza della Cass. civ. Sez. I, 08/11/2013, n. 25213: "…emerge necessariamente che l'età dei genitori (la bambina è nata nel 2010, a seguito di fecondazione assistita, quando i coniugi erano in età avanzata: settanta, il padre, cinquantasette, la madre) non riveste rilevanza alcuna, ai fini della valutazione di mancanza di assistenza, presupposto dell'abbandono e della conseguente pronuncia di adottabilità. Non si può evidentemente confondere l'accertamento di tale situazione con la valutazione, una volta accertato l'abbandono, della maggior idoneità dei coniugi richiedenti l'adozione nell'ambito della successiva fase processuale dell'"abbinamento", in considerazione, per di più, del ricordato art. 1, L. n. 184, ove comunque si precisa che il minore ha diritto a vivere e crescere nell'ambito della propria famiglia… Individua appunto la sentenza impugnata una grave ed irreversibile inadeguatezza dei genitori, in relazione alle esigenze di sviluppo della minore, che finisce per configurarsi come mancanza di assistenza, giustificante la dichiarazione di adottabilità. Ciò - è necessario ribadirlo - del tutto indipendentemente dall'età dei genitori: le inadeguatezze riscontrate potrebbero essere tali, anche in soggetti di assai più giovane età.

La sentenza impugnata prende le mosse da un episodio di "abbandono" della bambina (come precisa il giudice a quo, essa fu trovata dai vicini nell'auto posteggiata sotto casa, mentre stava piangendo; questi bussarono alla porta dell'abitazione, venne ad aprire il padre, il quale affermò che la situazione era sotto controllo: la piccola era in auto ed egli stava raggiungendola, per andare ad incontrare la madre che era presso una amica, tutti insieme sarebbero tornati a casa). Riguardo a tale episodio - è la stessa Corte di merito in sostanza ad affermarlo - non tanto o soltanto viene in considerazione il fatto in sè stesso (pur grave: aver lasciato in automobile in orario quasi notturno una bambina nata di un mese e diciotto giorni, per una durata non istantanea ma di una certa estensione), quanto il comportamento di genitori, caratterizzato da grave mancanza di attenzione nei confronti della bambina, da notevolissima sottovalutazione delle sue esigenze, essendo i genitori soltanto preoccupati di giustificarsi (il padre in tale occasione, ed entrambi i genitori successivamente) rispetto ai terzi.

I ricorrenti, nella memoria difensiva, producono, al riguardo, una sentenza penale di assoluzione dal reato di cui all'art. 591 c.p. (documento che non è ricevibile nel giudizio davanti a questa Corte, ai sensi dell'art. 372 c.p.c.: è soltanto possibile la produzione di documenti che riguardino la nullità della sentenza impugnata o l'ammissibilità del ricorso o del controricorso. Dal contesto motivazionale della memoria, emerge comunque che si tratta di un'assoluzione per mancanza di dolo, ciò che non esclude certo la sussistenza di una colpa. Il giudice a quo non considera peraltro decisivo, esclusivamente, come sembrano affermare i ricorrenti, tale episodio, oggetto di considerazione insieme ad altri elementi.

La sentenza impugnata si diffonde sulla valutazione di entrambi i genitori, effettuata dalla consulenza tecnica di secondo grado che, seppur con qualche differenza, conferma una valutazione estremamente negativa sui genitori. Quanto al padre, le capacità cognitive sono risultate nella norma e il livello intellettivo non è interessato da processi di deterioramento legati all'età; il suo desiderio di paternità sembra comunque soprattutto espressione di adeguamento ai desideri della moglie, piuttosto che una sua scelta personale e totalmente condivisa; l'immaginario relativo al ruolo di padre appare particolarmente povero e legato a stereotipi; nessuna preoccupazione o paura di incertezze è presente; vi è una totale sottovalutazione delle problematicità e delle difficoltà di crescita di un minore;

palesi sono le difficoltà relativamente alla comprensione dei bisogni attuali della bambina; in conclusione una totale incapacità di rapportarsi concretamente all'esperienza della genitorialità.

Quanto alla madre - continua il giudice a quo, ancora richiamando le risultanze della CTU - essa pure appare adeguata nel rispondere alle domande, e sono assenti segni di disturbo psichiatrico clinicamente significativo; vi è tuttavia una costante negazione di qualsiasi problema, che porta a vedere tutti gli interventi di terzi, preoccupati per la sua bambina, come interventi non motivati, inutili e dettati solamente dal pregiudizio per l'età, ciò in contrasto stridente con i dati della realtà; la nascita della bambina si configura, per la madre, come la realizzazione di un processo narcisistico e limita la sua possibilità di percepire la figlia come elemento reale di "investimento affettivo"; si altera così in modo grave e profondo il contatto necessario per comprendere i bisogni della bambina; il mondo esterno è visto come una proiezione dei propri desideri o bisogni, indipendentemente da un esame obbiettivo della realtà."

In conclusione, si evidenzia una modalità particolarmente distonica dei genitori di rapportarsi con la bambina e di instaurare un rapporto con essa, ciò che si è ampiamente riscontrato - così precisa ancora la sentenza - anche negli incontri "protetti". Quanto agli zii della minore, il fratello e la cognata della madre, essi sono stati sentiti dal giudice ed esaminati dai consulenti tecnici, ed hanno affermato - come precisa la sentenza impugnata - una disponibilità assai limitata e circoscritta."

I genitori della minore proponevano ricorso per revocazione, ai sensi dell'art. 391 bis, della sentenza dell'8 novembre 2013, n. 25213, con la quale era stato respinto il ricorso avverso la sentenza della Corte d'appello di Torino del 22 ottobre 2012 che aveva confermato la dichiarazione di adottabilità della minore.

L'elemento essenziale, dai ricorrenti esposto nel motivo di ricorso per revocazione, ai sensi dell'art. 391 bis c.p.c., e art. 394 c.p.c., n. 4, consisteva nell'avere la sentenza di cassazione posto a fondamento della decisione un episodio della vita della famiglia, che sarebbe risultato però totalmente escluso in forza della sentenza penale del Tribunale di Casale Monferrato del 12 giugno 2013, già in precedenza prodotta ex art. 372 c.p.c., con la quale gli odierni ricorrenti erano stati assolti dal reato di abbandono di minore perché il fatto non costituisce reato.

"In conclusione, - afferma la I Sez. Civile della Cassazione con la sentenza 30-06-2016, n. 13435  - ai sensi dell'art. 391 ter c.p.c., comma 2, la sentenza va dunque revocata, con l'enunciazione del seguente principio di diritto: E' revocabile per errore di fatto la sentenza di cassazione che, nel confermare la declaratoria dello stato di adottabilità assunta dal giudice di merito, sia fondata su di una specifica circostanza supposta esistente (nella specie, l'avere i genitori lasciato un neonato da solo in automobile esponendolo a stato di pericolo) la cui verità era invece, limitatamente all'evento, positivamente esclusa."

Quanto al giudizio rescissorio gli Ermellini affermano: "…Nell'equilibrio generale della sentenza della corte territoriale, il vero fulcro intorno al quale ruota la dichiarazione di adottabilità è l'episodio di abbandono della minore, avvenuto la sera del 28 giugno 2010.

La deduzione è agevole, sol che si consideri sia il ripetuto richiamo, per tutto il corso della motivazione della sentenza, a tale unico episodio, vero filo rosso che permea la decisione, sia la mancanza di concludenza degli ulteriori elementi addotti dalla corte d'appello.

Accanto ad esso traspare, per vero, un secondo elemento latente, quasi un refrain che fa da sfondo all'intera decisione, ed è quello dell'età dei genitori.

Al riguardo, la sentenza afferma, riportando un'osservazione dei consulenti: "Una gravidanza a 57 anni lei e 69 lui rappresenta infatti una deviazione dalla norma" ed essa "non può non essere considerata un dato significativo e rilevante nella valutazione complessiva", posto che "a tale età le capacità genitoriali sono fisiologicamente ridotte" ed "oltre tale età si crea il paradosso del bambino costretto ad occuparsi dei genitori", perchè "se la legge italiana ha stabilito dei limiti, tali limiti hanno un senso", così concludendo: "L'età avanzata è un elemento di cui tener conto sia nella valutazione delle capacità genitoriali sia nella valutazione della loro struttura di personalità".

A parte l'errato riferimento ai pretesi "limiti" che la legge italiana prevederebbe per chi intenda generare un figlio, i quali non esistono, comunque ci si aspetterebbe dopo tale premessa - l'indicazione di elementi seri e gravissimi, che possano illuminare circa l'assoluta inidoneità genitoriale, agganciata all'età o ad altro, da cui far derivare la misura estrema, e dai risvolti irreversibili, qual è lo stato di adottabilità.

Ed invece, questi gli elementi elencati dalla corte territoriale: la preoccupazione dei genitori di giustificarsi con i vicini dopo il suddetto episodio, da essi svalutato nella sua pericolosità; il desiderio di paternità, come volto ad assecondare il desiderio della moglie; il ruolo di padre legato a "stereotipi", minimizzando egli gli inconvenienti legati all'età "con un ottimismo per certi versi invidiabile, ma abbastanza critico"; la negazione, da parte della madre, di particolari problemi e la sua "personalità narcisistica" nel realizzare il progetto di maternità, oltre ad un "ferreo controllo delle emozioni", pensando ella al "mondo esterno come una proiezione dei propri desideri e bisogni, indipendentemente da un esame di realtà"; l'affermazione del padre che "parla dell'amore come unico valore importante nella relazione con la bambina senza mai citare altri aspetti come una funzione normativa ma anche la responsabilità che il ruolo comporta".

Insomma: elementi, da un lato, solo transitori ed ormai estremamente ridimensionati nella loro gravità (l'avere lasciato sola la bambina in auto la sera del 28 giugno 2010); dall'altro lato, non soltanto esasperatamente vaghi e fumosi, ma che potrebbero verosimilmente essere riscontrati, in tutto o in parte, in moltissime coppie genitoriali, senza per questo integrare lo stato di abbandono, previsto dalla L. n. 189 del 1983, art. 8.

Ciò, si aggiunga, a fronte di una serie di riscontri, invece, favorevoli circa la situazione complessiva della minore.

Si legge, invero, in sentenza che "la Corte non ha esitazioni ad escludere ogni situazione, anche solo ipotetica, di maltrattamento diretto o di abuso nei confronti della minore"; quanto al padre, "la struttura mentale del sig. D. non presenta derive patologiche, e nemmeno segni di decadimento intellettuale a causa dell'età. Egli risulta persona buona, ed onesta, e positivamente integrata nel tessuto sociale in cui vive, si può dire da sempre"; la sua partecipazione ai colloqui è "perfettamente adeguata" e "non sono mai emersi sintomi della serie psicotica"; mentre la madre "appare adeguata nel rispondere alle domande e sono assenti segni di disturbo psichiatrico clinicamente significativo".

A ben vedere, l'unico elemento negativo riscontrato dagli assistenti sociali nel rapporto con la minore - si legga, in sentenza, la descrizione degli incontri programmati, in cui la bambina "è profondamente a disagio" e "non emerge che i genitori naturali (i Signori) siano per lei delle figure significative" - è stato indotto dallo Stato medesimo, allorchè ha allontanato una neonata dai genitori a pochissime settimane dalla nascita: e la stessa corte del merito ammette come "è comprensibile che l'aver potuto vedere la bambina poche decine di volte nell'arco di questi anni alteri il rapporto tra lei e la minore e soprattutto che dia ragione di una certa 'legnosità' della relazione".

Alla stregua della stessa motivazione della sentenza impugnata, pertanto, circa lo stato di abbandono morale e materiale della minore non risultano mai emersi - al di là dell'episodio predetto poi smentito e di un generico riferimento all'età dei genitori naturali - fattori concreti idonei ad integrare la fattispecie, ma solo elementi affatto anodini al fine di giustificare una legittima cancellazione dei legami familiari della minore, con lesione dei diritti fondamentali della stessa costituzionalmente tutelati (anche mediante la norma interposta dell'art. B Cedu)."

La Corte di Cassazione ha dunque ravvisato che la sentenza della Corte d"appello non avesse evidenziato fattori concreti idonei a integrare la fattispecie di stato di abbandono morale e materiale, con ciò ledendo il diritto fondamentale della bambina e pronunciando sul ricorso per revocazione, ha revocato la sentenza del 13 novembre 2013, n. 25213 e cassato la sentenza impugnata, rinviando per nuovo esame, innanzi alla Corte d'appello di Torino.

La Corte d"Appello di Torino, con la sentenza 21 febbraio - 11 marzo 2017, n. 21 (Presidente Della Fina – Relatore Lanza) ha affermato che nel giudizio di merito si siano riscontrati precisi e concordanti elementi di fatto che hanno portato alla dichiarazione dello stato di adottabilità.

La Corte è stata chiamata a valutare ex novo il merito, anche con riferimento alla situazione attuale dovendo procedere ad un nuovo esame prescindendo dalla ratio decidendi della sentenza revocata e della sentenza cassata, definendo l"intero giudizio.

In proposito, non può non rilevarsi che nella realtà, la minore ha due genitori divenuti tali a tutti gli effetti di legge in virtù di sentenza passata in giudicato, un nuovo cognome , una collocazione nella società, legami affettivi di tipo filiale con i genitori, consolidati in molti anni di convivenza (più di 5)…in una parola, non è più la minore di cui hanno trattato le pronunce sin qui descritte .

E poiché nel diritto minorile il fulcro di ogni valutazione e decisione è rappresentato dal superiore interesse del minore, a questa minore occorre fare riferimento

L"ingerenza dello Stato, nel caso di specie, risulta, pertanto, giustificata e proporzionata rispetto allo scopo, «tenendo a mente l"interesse della minore non già ad avere una famiglia "migliore" ma a vedersi assicurata una crescita sana, adeguata assistenza e stabilità affettiva». 




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