Assistere il paziente alleviandone le sofferenze è, secondo la legge 219/17, un comportamento giuridicamente rilevante e normativamente vincolante oltre che un dovere deontologico medico.
Tale comportamento diviene ancor più rilevante e stringente quando il paziente è minore d’età e in tale tenera età si trova a combattere una sofferenza fisica e psicologica per una malattia la cui prognosi è infausta.
Sono situazioni complesse cui alla necessità di alleviare le sofferenze del bambino si sovrappone la mai incessante speranza dei genitori e il tentativo dei medici di allontanare per quanto possibile il pur inevitabile exitus.
Sono valutazioni complesse quelle che vanno compiute per i piccoli pazienti con diagnosi e/o prognosi sicuramente infausta e con aspettativa di vita limitata sovente richiedenti anche trattamenti gravosi.
Su tali situazioni è stato chiamato a pronunciarsi il Comitato Nazionale per la Bioetica tornando ad evidenziare quanto sia essenziale da un lato che il legislatore renda effettivamente operativi i comitati per l’etica clinica negli ospedali pediatrici con ruolo consultivo e formativo per la favorire quella valutazione complessa e cercare di mediare i contrasti che possono insorgere fra medici e genitori che inevitabilmente potrebbero emergere.
Significativa a tal proposito è la distinzione fra i tipi di accanimento che potrebbero interessare i minori: dall’accanimento clinico (con inizio o prosecuzione di trattamenti di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo “cura” e che al contrario generino ulteriori sofferenze) all’accanimento tecnologico riguardante l’aspetto attuativo dell’accanimento clinico con uso di tecnologie sempre più sofisticate più o meno invasive.
Entrambe le forme di accanimento interessano sovente la presa in carico di piccoli pazienti malati e con prognosi infausta non in grado di esprimersi in modo autonomo né di comunicare compiutamente la percezione soggettiva del dolore e della sofferenza.
La medicina pediatrica, come evidenzia il Comitato, sovente incontra a tal proposito notevoli criticità in quanto lo scenario assistenziale è complesso e richiede un crescente accompagnamento nel percorso di acquisizione consapevole da parte dei genitori delle informazioni e di condivisione delle cure soprattutto palliative da promuovere.
Le prassi sono incerte, l’interesse superiore del bambino prevale ed alla percezione di tale interesse devono essere accompagnati i genitori che andranno ad operare le scelte per il proprio figlio nella consapevolezza della sua condizione clinica ed unitamente al dolore della sua sofferenza fisica e psicologica e della sofferenza emotivamente importante del distacco dalla vita.
Tali considerazioni, che nel parere in commento sono solo esemplificativamente esposte, portano il Comitato a raccomandarsi per un sempre più agevole accesso alle cure palliative pediatriche di guisa che venga evitato da un lato l’accanimento clinico e tecnologico, e dall’altro che il divieto di ostinazione irragionevole dei trattamenti si traduca poi in un abbandono del bambino
La ricerca sul dolore e sulla sofferenza dei bambini deve essere dunque sempre ispirata a piani di cura e di assistenza condivisi nei quali risulti una compiuta informazione sul possibile evolversi della patologia in atto così da identificare, congiuntamente (genitori e medico), i trattamenti adeguati o da sospendere i trattamenti stessi facendo ricorso alle cure palliative