-  Cardani Valentina  -  24/08/2014

INFORTUNIO SUL LAVORO: BISOGNA ALLEGARE IL DANNO DA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE! - Cass. Lav. 17006/14 – V. C.

La vicenda presa in esame dal Supremo Collegio nella pronuncia in commento trae origine dall'infortunio sul lavoro che ha visto coinvolto il fratello dei ricorrenti.

Ebbene, in ipotesi di decesso avvenuto nello svolgimento della prestazione lavorativa del dipendente, il risarcimento del danno può essere richiesto dagli eredi di quest'ultimo.

In particolare, gli eredi possono chiedere in primis il danno in vece del defunto (danno iure hereditatis), e dunque la sofferenza psico-fisica da questi patita a seguito dell'infortunio che ha condotto poi alla morte nonché la consapevolezza dell'approssimarsi della fine della propria esistenza (cd. danno tanatologico e danno catastrofale).

In sostanza, in capo al soggetto poi defunto è sorto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale subito: tale diritto, a seguito del decesso, si trasmette agli eredi che possono pertanto azionarlo in vece del de cuius. Peraltro, si noti che a seguito della recente sentenza Cass. 1361/2014 non è risarcibile soltanto la sofferenza patita nell'incombenza dell'evento morte, ma altresì la stessa "perdita della vita", come perdita definitiva del bene supremo che connota la persona umana.

Gli eredi possono però altresì chiedere il risarcimento del danno dagli stessi subito come conseguenza della perdita del proprio caro (danno iure proprio).

Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che si concentra la pronuncia in commento.

La Suprema Corte pur rilevando che la vicenda sottoposta al vaglio si riferiva ad eventi certamente remoti (si pensi che la sentenza di primo grado veniva pubblicata nel 2002!) e comunque antecedenti alle sentenze cd. di San Martino del 2008, rigettava il ricorso, ribadendo come il danno iure proprio patito dagli eredi, in tutte le sue declinazioni (danno biologico, morale ed esistenziale), debba essere allegato e provato, non essendo risarcibile in re ipsa.

Nel caso di specie, i ricorrenti nulla avevano affermato circa i loro rapporti con il de cuius: da ciò l'impossibilità di accogliere la pretesa risarcitoria formulata dai fratelli del lavoratore, non potendosi desumere la sussistenza stessa del danno.




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