-  Michela del Vecchio  -  04/04/2016

INESCUSABILITA DELLINIZIATIVA PROCESSUALE E COLPA GRAVE: APPLICAZIONE DELL'ART. 96 C.P.C. - Cass. Civ., VI Sez, ord 6308/16 - Michela DEL VECCHIO

L'insistente richiesta di pronuncia su una questione già definita con enunciazione di un chiaro principio di diritto integra gli estremi della colpa grave con le conseguenze risarcitorie previste dall'art. 96, II comma, c.p.c.

 Con ordinanza n. 6308 depositata il 31 marzo 2016 la VI Sezione civile della Suprema Corte ha disposto la condanna della parte ricorrente al pagamento, oltre che delle spese processuali, anche del risarcimento del danno non solo per aver promosso un'azione giudiziaria non solo fumosa ed inammissibile ma soprattutto inescusabile stante la natura stessa della parte trattandosi infatti di una curatela fallimentare il cui operato è sottoposto al vaglio di un Giudice.

La pronuncia in particolare definisce un ricorso per revocazione di una sentenza della Suprema Corte promosso, ex artt. 391 bis e 395 n.5 c.p.c., da una curatela fallimentare appunto per il riesame di una decisione statuente l'estraneità di un socio alle obbligazioni sociali contratte in data successiva alla sua trasformazione da società di persone a società di capitali.

Con la decisione di cui veniva richiesta la revocazione, infatti, la Suprema Corte aveva chiaramente dettato il principio secondo cui, decorso un anno dall'iscrizione della trasformazione nel registro delle imprese, non può procedersi alla dichiarazione di fallimnto del socio già illimitatamente responsabile anche qualora non risultava liberato dalle obbligazioni sociali assunte in data anteriore alla trasformazione della società in società di capitali. Il principio, continuava la Corte in tale decisione, era indicato dallo stesso legislatore che, con l'art. 147 - II comma - Legge fallimentare, aveva recepito l'orientamento della Corte Costituzionale che aveva statuito l'illegittimità costituzione del precedente art. 147 L.F. per violazione dell'art. 3 Cost. nella parte in cui estendeva la responsabilità illimitata del socio anche dopo il decorso di un anno dal momento in cui aveva perso per qualsiasi causa tale qualità.

Con l'ordinanza in esame la Suprema Corte ha criticato aspramente la posizione della parte ricorrente che, a fronte di un così chiaro enunciato giuridico, aveva tentato capziosamente di argomentare in senso contrario. La responsabilità processuale della ricorrente, secondo la Suprema Corte, si evidenziava ancor più seria e grave in quanto ricorrente era una curatela fallimentare che non solo avrebbe dovuto conoscere compiutamente l'art. 147 L.F. come riformato dopo l'intervento dei Giudici della legge ma la cui attività è sottoposta anche al controllo e vigilanza di un Giudice Delegato.

Il comportamento processuale tenuto e l'insistenza nel chiedere l'affermazione di un principio contrario al disposto normativo ed ad una precedente massima (additata quest'ultima addirittura come "grave errore di diritto") integra gli estremi della responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c. legittimando la condanna al risarcimento del danno da liquidarsi anche d'ufficio.




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