-  Santuari Alceste  -  18/04/2013

IL VOLONTIARATO: QUALI PROSPETTIVE? – Alceste SANTUARI

In questi giorni, si è tornati a discutere circa la riscoperta del volontariato quale risorsa necessaria per lo sviluppo della società nel suo complesso. Si legge che il volontariato sembrerebbe tuttavia molto più orientato a sostenere progetti di "auto mutuo aiuto" e meno "disponibile" a promuovere progettualità "esterne" ai sodalizi. Così come si apprende di un calo delle "vocazioni" volontarie.

Ma quali sono gli "ingredienti" giuridico-istituzionali capaci di promuovere una autentica cultura del volontariato e quindi un"effettiva coesione sociale? Proviamo a ricostruire, ancorché in forma molto sintetica, il quadro di riferimento in cui le organizzazioni non lucrative oggi operano. Il contesto moderno è caratterizzato dai seguenti aspetti:

  1. principio di sussidiarietà:
  2. rapporti enti locali – non profit:
  3. federalismo fiscale:
  4. cinque per mille:
  5. modelli giuridico-organizzativi.

 

Come noto, l"art. 118, u.c. Cost. riconosce e favorisce l"azione dei corpi intermedi che perseguono finalità di pubblico interesse. Pertanto, le organizzazioni non profit sono considerate a pieno titolo attori protagonisti dei servizi e degli interventi di welfare, finanche potendo essere invitati a partecipare – in conformità a quanto stabilito dall"art. 19 della l. n. 328/2000 – alla definizione dei piani di zona territoriali.

Le disposizioni della legge n. 328/2000 e i successivi decreti attuativi (in specie il dpcm 30 marzo 2001), riconoscono una specifica area di intervento per le organizzazioni non profit e gli enti della cooperazione, nella quale la loro capacità progettuale e di innovazione possano essere coerentemente riconosciute, stabilendo, al riguardo, il divieto del massimo ribasso.

Il processo avviato di progressivo spostamento della responsabilità finanziaria dallo Stato alle Regioni, attraverso l"implementazione dei principi del federalismo municipale, da un lato e di quello regionale, dall"altro, non potrà che avere ripercussioni sul sistema dei servizi e degli interventi di natura sociale e socio-sanitaria cui anche le organizzazioni non profit debbono assolvere.

Benché il c.d. "cinque per mille" non sia ancora – nonostante i ripetuti proclami in tal senso – diventata una misura stabile per il comparto degli enti non profit italiani, esso rappresenta un importante forma di fund raising in uno Stato che – a differenza di altre realtà nazionali, es. Inghilterra – non ha mai storicamente fatto leva sulle agevolazioni fiscali per sostenere il non profit.

A differenza che in passato, oggi il panorama delle forme giuridico-organizzative a disposizione per realizzare interventi e servizi nel comparto socio-sanitarie è molto variegato e composito. Alle tradizionali organizzazioni di volontariato e alle cooperative sociali, si affiancano nella progettazione, organizzazione e gestione dei servizi socio-sanitari altre forme giuridiche, quali le fondazioni, le società miste, le imprese sociali, ecc.

I cinque "elementi" sopra richiamati contribuiscono a definire un contesto che in linea teorica risulterebbe positivo e favorevole ad un rinnovato e maggiormente incisivo ruolo delle organizzazioni non profit. E così in questi anni è stato: si pensi, per esempio, all"evoluzione che le associazioni hanno potuto vivere con riferimento all"amministratore di sostegno e al più ampio "campo" del "dopo di noi".

Tuttavia, non può essere sottaciuto un elemento che forse più di altri costituisce il "filo rosso" che caratterizza una ancora (forse troppo) sottorappresentazione del fenomeno non profit nel nostro Paese. Intendiamo riferirci all""utilizzo" delle organizzazioni non profit nell"erogazione dei servizi socio-sanitari. Invero, in questo comparto si confrontano due posizioni contrapposte: da una parte, le organizzazioni non profit (come sopra richiamato) dovrebbero poter beneficiare, in ragione delle finalità perseguite e della struttura organizzativa peculiare, di qualche forma di "corsia preferenziale" rispetto alle più tradizionali forme societarie. Dall"altra, proprio queste, in ragione dei principi di libera concorrenza, non possono essere escluse a priori dall"aggiudicazione di servizi, anche nel settore dei servizi socio-sanitari. Si aggiunga che in questa contrapposizione si inserisce proprio il volontariato che, per sua stessa natura, non dovrebbe rispondere a canoni e paradigmi di carattere commerciale, ma che, infatti, anche recentemente (si vedano i contributi pubblicati su questo sito) è stato legittimato a partecipare alle gare per l"affidamento dei servizi socio-sanitari. E poi ancora, in molte regioni italiane, si stanno implementando i percorsi relativi all"accreditamento degli operatori che erogano servizi di pubblico interesse (tra i quali spiccano quelli sociali e socio-sanitari) che, da un lato, sottendono il riconoscimento della "bontà" di chi esiste e, dall"altro, debbono poter prevedere l""ingresso" anche di soggetti nuovi.

Di quale fenomeno dunque si tratta? Indubbiamente, per utilizzare una espressione coniata dal prof. Giulio Ponzanelli quasi 20 anni fa, quando affrontiamo le organizzazioni non profit, dobbiamo considerare che esse costituiscono un "universo" di realtà, di esperienze, di forme giuridiche, di "peso specifico" ricoperto nel contesto locale, ecc. ecc. Conseguentemente, anche per il volontariato non possiamo ridurre la variegata esperienza di impegno civile e sociale ad un"unica definizione ovvero identificazione. Una simile riduzione non può che nuocere al volontariato inteso in termini di coinvolgimento personale e di risorse messe in campo. Invero, sembra più corretto, non solo dal punto di vista sistemico ma anche giuridico-organizzativo, parlare di "volontariati", distinguendo tra quello vocato a promuovere cittadinanza attiva e a tutelare i diritti delle persone, in specie quelle più fragili e quello maggiormente vocato a realizzare interventi e azioni di welfare (rectius: a produrre beni e servizi). Se, in qualche modo, non si perviene a questa suddivisione, le leggi speciali e i paradigmi di riferimento difficilmente possono risultare coerenti ai tempi mutati.




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