-  Fiorentin Fabio  -  22/03/2015

IL GIUDICE ORDINARIO DOPO IL PARERE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA C-2/13 DEL 18.12.2014 - P.P.GORI

Pubblichiamo l'interessante saggio di Pierpaolo Gori  - di prossima pubblicazione anche sulla Rivista online "Questione Giustizia" - sulle ricadute che il parere n. 2/13 del 18.12.14 reso dalla CGUE potrebbe avere sulla efficace tutela dei diritti fondamentali nello spazio giuridico europeo. Lo studio si segnala, oltre che per l'estrema attualità della tematica affrontata, per l'esaustività dell'analisi e per le utili indicazioni sul ruolo del giudice comune. (f.f.)

Il ruolo del giudice ordinario dopo il parere della Corte di Giustizia C-2/13 del 18.12.2014, tra efficacia ed esecuzione delle sentenze CEDU

di Pierpaolo Gori

SOMMARIO: 1. Il contesto e le aspettative per il parere 2/13 - 2. La complessa triangolazione tra giudici nazionali e Corti del Lussemburgo e di Strasburgo: il caso Bosphorus - 3. Efficacia della Convenzione nell'ambito dei diritti fondamentali (sentenze CGUE Kamberaj, Fransson e Siragusa) - 4. L'efficacia della CEDU nella prospettiva interna, il percorso tracciato dalla Corte Costituzionale - 5. La mancata esecuzione delle sentenze della Corte EDU e le violazioni seriali della Convenzione - 6. L'elaborazione della giurisprudenza interna: 6.1 il richiamo alla CEDU ai fini dell"interpretazione conforme e come argomento rafforzativo; 6.2 Ricorso alla CEDU per colmare una lacuna nella disciplina interna; 6.3 Evoluzioni nell'interpretazione conforme; 6.4 Richiamo alla CEDU nella qualificazione del fatto – 7. L'elaborazione della giurisprudenza interna: l'angolo visuale civile: 7.1 Esecuzione diretta parziale; 7.2 Mancata esecuzione e mancato rinvio di costituzionalità - 8. Elementi sintomatici di una nuova tendenza all'efficacia della sentenza CEDU - 9. Efficacia ultra partes delle sentenze CEDU e rilievo d'ufficio del giudice comune - 10. Conclusioni

Abstract: Il tema dell'efficacia e della omogeneità nella protezione dei diritti fondamentali in Europa è divenuto cruciale, tanto nella sua estensione di 47 Stati che hanno ratificato la Convenzione Europea per i Diritti dell"Uomo, quanto nel nucleo ristretto che compone l"Unione Europea. Questa diversa geometria della Convenzione nell"ambito del Consiglio d"Europa e dell"ordinamento giuridico comunitario, e le diverse finalità cui sono preposti, di proteggere i diritti umani e di favorire il mercato unico, pareva consentire una sinergia, attraverso l"adozione della Carta dei Diritti Fondamentali in seno all"ordinamento comunitario, e l"adesione dell"UE alla Convenzione. Con il Parere 2/13 del 18.12.2014 della CGUE questo processo di integrazione subisce una importante battuta di arresto sul piano istituzionale.

Per l"Italia, e per la sua parte il giudice comune italiano, questo significa non attendere "soluzioni europee" delle proprie contraddizioni interne. Si tratta di dare impulso, come non è sempre stato adeguatamente fatto, all"effettiva conoscenza ed esecuzione alle sentenze della Corte di Strasburgo, la quale al tempo stesso interpreta la Convenzione e in via pretoria assicura standard minimi di rispetto dei diritti umani. Ciò è necessario per l"Italia utroque iure, sia per evitare ulteriori condanne a Strasburgo per violazioni sistematiche della CEDU, già denunciate e mai risolte, e sia perché i diritti fondamentali, quali garantiti dalla stessa CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni, sono "principi generali" dell"Unione Europea.

Il presente contributo ripercorre brevemente nella prima parte il contesto ordinamentale in cui è intervenuto il parere della CGUE 2/13; nella seconda la via scelta dopo le sentenze gemelle del 2007 dalla Corte Costituzionale per l"esecuzione delle sentenze della Corte EDU da parte dei giudici comuni, ed il self restraint della CGUE sul punto; nella terza è offerta una panoramica di alcune delle più recenti pronunce dei giudici italiani di merito in materia; nella quarta sono offerti alcuni spunti comparativi e di diritto internazionale che evidenziano l"immenso sviluppo dell"efficacia delle sentenze del giudice europeo dei diritti umani avvenuto negli ultimi anni.

Le conclusioni, aperte, tentano di individuare i margini a disposizione dei giudici comuni, "giudici naturali" tanto della CGUE che della Corte EDU, per contribuire a risolvere il rebus.

1. Il rapporto tra giudici nazionali, Corte di Strasburgo e Corte del Lussemburgo non si presta ad una rapida schematizzazione secondo principi gerarchici, e la stessa collocazione statica della Convenzione Europea per i Diritti Umani nel panorama nelle fonti non è sufficiente a coglierne immediatamente il ruolo nel nostro ordinamento giuridico[1]. Basti dire che la Convenzione contiene molti diritti protetti già presenti nella Carta Costituzionale italiana del 1948, fondamento della nostra tradizione repubblicana, la quale anzi presenta, una varietà di diritti protetti più ampia. Ciò è vero anche per la Carta dei Diritti Fondamentali dell"UE, di più recente genesi e quindi formalmente più completa.

Tuttavia, la sola Corte EDU, a differenza della Corte Costituzionale e della CGUE, può essere adita con un ricorso individuale per la violazione di delle disposizioni sostanziali contenute nella Convenzione e nei Protocolli, ciascuna di immediata applicazione. Inoltre, se la violazione è accertata, dà diritto ad una soddisfazione equitativa e pone a carico dello Stato un preciso obbligo giuridico di eseguire la sentenza, ove possibile, in forma specifica.

Nonostante la forza di questo strumento di diritto internazionale, grazie anche al suo costante rinnovamento interno pretorio, la Corte EDU non è una corte gerarchicamente superiore rispetto alle autorità giudiziali nazionali, dal momento che la protezione dei diritti umani a livello nazionale e internazionale opera secondo criteri di effettività e di sussidiarietà[2]. Così pure, il rapporto tra la CEDU e la CGUE, nelle controversie in cui si ponga un problema di applicazione di diritto comunitario in allegato contrasto con diritti umani protetti dalla Convenzione, non è di tipo verticale.

Inoltre, il giudice nazionale comune è il giudice naturale di entrambe le giurisdizioni europee, in primo luogo di quella della Corte di Giustizia UE attraverso il meccanismo della disapplicazione della dottrina Simmenthal [3] e del rinvio pregiudiziale dell'art.234 TCE (oggi 267 TUE). Così pure lo è di della Corte EDU, imperniata sul ricorso individuale da parte di chi alleghi la violazione del diritto protetto dalla Convenzione[4], ma che pure presuppone come condizione di ricevibilità del ricorso (Art.35 Conv.) il previo esperimento dei rimedi interni, in larga parte giurisdizionali cui spetta il potere-dovere di effettuare un primo fondamentale vaglio del rispetto dei diritti umani protetti dalla Convenzione nel caso concreto.

Da tempo la dottrina si concentra sugli sviluppi delle relazioni tra la Corte di Strasburgo, la Corte del Lussemburgo ed i giudici nazionali, ai fini di una adeguata protezione multilivello dei diritti fondamentali in Europa. In particolare, secondo il principio di sussidiarietà[5], nella prospettiva dei giudici comuni sono di grande momento i rimedi applicabili nel caso concreto per consentire un'effettiva tutela dei diritti umani. Operando una semplificazione, si possono riassumere nella terna dell'interpretazione conforme (applicazione indiretta della Convenzione), della disapplicazione della legge nazionale (controllo diretto di Convenzionalità diffuso), ed infine del rinvio di costituzionalità per un controllo centralizzato ex post in capo alla Corte Costituzionale anche ai fini del rispetto da parte della Convenzione dei contro-limiti individuati dalla Consulta.

Questa ricchezza plurale di voci, che ha consentito negli anni di costruire un proficuo dialogo tra Corti nella protezione dei diritti fondamentali, è stata anche fonte di considerevoli tensioni. In particolare, per risolvere il problema del rapporto tra diritto comunitario e applicazione della Convenzione EDU, ordinamenti di diritto internazionale diversi per oggettiva finalità e soggettiva adesione[6], sono stati da tempo suggeriti due percorsi convergenti. Il primo è stato fornire il sistema del diritto comunitario di una sua propria enunciazione di diritti fondamentali, in modo che la protezione di un nocciolo di diritti intangibili, largamente coincidenti con i diritti della CEDU, trovasse una fonte interna all"Unione. E" così stata adottata la Carta di Nizza o Carta dei Diritti Fondamentali dell"Unione Europea[7].

Il secondo, travagliato, percorso, è stato individuato nell'adesione dell'Unione Europea alla Convenzione EDU, come soggetto giuridico destinato a ratificare il trattato in posizione paritaria con i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa. L"adesione è un vero e proprio dovere giuridico per l'Unione Europea, previsto dall'articolo 6 § 2 TEU.

In questo contesto, dopo un precedente parere chiesto dal Consiglio dell"UE alla CGUE, con esito negativo[8], è stato chiesto un nuovo parere alla Corte di Giustizia sull'adesione, dopo una laboriosa bozza di accordo negoziata tra i Governi degli Stati Membri e firmata nell'aprile 2013. L'attesa per il parere 2/13 era dunque molto forte, almeno per quanti agognavano ad una riduzione delle incertezze nell'applicazione delle fonti di diritto internazionale nella protezione dei diritti fondamentali in Europa.

Nonostante la sostanziale adesione da parte dei Governi di tutti gli Stati dell'UE, così non è stato, per una serie di ragioni di sostanza e procedurali stigmatizzate dalla CGUE nel parere 2/13 del 18 dicembre 2014, i quali sono stati oggetto di analisi e prevalentemente di critica, più che di plauso da parte della dottrina internazionale[9]. E" indubbio che questo nuovo parere, dopo quello del 1996, renderà molto difficile in futuro l'adesione[10].

Ma perché era considerato così importante questo Parere, e perché da oltre 20 anni si sta inutilmente cercando di perseguire la prospettiva dell'adesione dell'Unione Europea alla Convenzione EDU? Naturalmente non si tratta di qui di svolgere delle considerazioni di natura politica, ma di comprendere la portata del problema giuridico su cui si confrontano da tempo i giudici nazionali e le Corti del Lussemburgo e di Strasburgo in merito alla tutela dei diritti fondamentali.

 

2. Tra i molti casi che si possono fare di complessa triangolazione tra giudici nazionali e Corti del Lussemburgo e di Strasburgo[11], per la portata delle decisioni che hanno fissato sino ad ora un precario equilibrio nel dialogo tra le Corti, è particolarmente istruttivo il caso Bosphorus, il quale ha a sua volta sviluppato la decisione della Commissione (CEDU) nel caso M. & Co.[12]. La fattispecie concreta è stata originata dal fatto che una compagnia aerea turca, la Bosphorus Airways aveva stipulato un contratto di "dry leasing" di un'aereomobile di proprietà della compagnia di bandiera jugoslava, destinato a sole rotte tra la Turchia e Stati dell'UE. L"aereomobile, nel 1994, era stata sequestrata dal governo irlandese presso l'aeroporto di Dublino, in applicazione dell'art. 8 del Regolamento CE n. 990/93, in forza del quale, nell"ambito delle misure di embargo varate nei confronti della Serbia e Montenegro al tempo in guerra nei Balcani, il governi degli stati dell'UE erano tenuti a sequestrare:

 

"tutte le imbarcazioni, tutti i veicoli da trasporto, tutto il materiale rotabile e tutti gli aeromobili la cui proprietà è detenuta da una persona o da un"impresa stabilita nella Repubblica federale di Iugoslavia o operante a partire da quest"ultima."

La società turca Bosphorus aveva adito tutti i gradi di giudizio avanti all'autorità giudiziaria irlandese, la quale a sua volta aveva anche provocato un rinvio pregiudiziale alla Corte del Lussemburgo, conclusosi con decisione del 30 luglio 1996[13] che confermava l'interpretazione del diritto comunitario data dal governo. A questo punto, la Bosphorus aveva ricorso alla Corte EDU lamentando la violazione dell'art.1 Convenzione e dell'art.1 Protocollo No.1 (diritto di proprietà)[14].

La Corte EDU, nel decidere la controversia, ha presunto che il diritto dell'Unione Europea offrisse una protezione equivalente a quella della Convenzione in punto di rispetto dei diritti umani, e ha ritenuto non sussistente la violazione della Convenzione dal momento che:

 

"nella prospettiva della Corte, un"azione assunta nel rispetto di tali obbligazioni giuridiche (il rispetto del diritto del'UE) è giustificato purché la rilevante organizzazione sia considerata protettrice dei diritti fondamentali, sia per quanto riguarda le garanzie sostanziali sia in merito al meccanismo deputato al controllo del loro rispetto, in un modo che può essere considerato come minimo equivalente a quello offerto dalla Convenzione".

Per "equivalente", la Corte EDU intende "comparabile", dal momento che ogni richiesta di protezione "identica" potrebbe portare ad agire conto l'interesse della cooperazione internazionale.

"Tuttavia, ogni statuizione di equivalenza non può essere definitiva, ed è suscettibile di essere riconsiderata alla luce di ogni rilevante cambio nella protezione dei diritti fondamentali. Se si considera che l'organizzazione sembra offrire una protezione equivalente, allora si deve presumere che lo Stato rispetti i requisiti della Convenzione, nel momento in cui non fa altro che eseguire delle obbligazioni giuridiche contratte per effetto dell'adesione all'organizzazione"[15].

 

Vi è un unico limite per il superamento della presunzione, costituito dalla dimostrazione di un'insufficienza manifesta nella protezione comparabile e, in quanto tale, presunta equivalente. In tal caso, come sancito dalla giurisprudenza Loizidou,

 

"il ruolo della Convenzione, "quale strumento costituzionale dell'ordine pubblico europeo" nell'ambito dei diritti dell'uomo, prevarrebbe sull'interesse alla cooperazione internazionale"[16].

 

Si tratta di un'affermazione che non ha avuto sino ad ora conseguenze pratiche, dal momento che la Corte di Strasburgo non ha mai ritenuto provata quella insufficienza manifesta per superare la presunzione nei confronti dell'Unione Europea, benché il sistema della Convenzione trovi il suo caposaldo nel principio del ricorso individuale e, al contrario, il rimedio dell'art.267 TUE (già 234 TCE) avanti ai giudici del Lussemburgo, sia diretto alla sola interpretazione del diritto comunitario e soprattutto non sia esperibile direttamente da chi lamenta essere vittima della violazione del diritto umano[17].

In concreto, in applicazione di questo self restraint, la Corte EDU non si è mai spinta allo scrutinio nel merito sulla compatibilità del diritto dell'Unione con la Convenzione. Tuttavia, come si legge nella motivazione della sentenza, la Corte è giunta a questa costruzione e precario punto di equilibrio tra ordinamento interno, internazionale della Convenzione e Comunitario, dopo aver dato atto dei progressi compiuti dall'ordinamento comunitario, che non nasce avendo al suo centro il rispetto dei diritti fondamentali, ma, in primo luogo, la costruzione di un mercato unico europeo. Tuttavia, la Corte ha tenuto conto del fatto che, dopo il Trattato di Amsterdam e la proclamazione della Carta di Nizza, l"UE ha adottato la Carta dei Diritti Fondamentali, largamente ispirata alla stessa CEDU, e che individua la stessa Convenzione come standard minimo dei diritti umani, ed ha previsto l'adesione dell'Unione alla Convenzione.

Ora, dopo il Parere 2/13 del 18.12.2014 fornito dalla CGUE cosa succederà?

Il Presidente della Corte di Strasburgo, Spielmann, nel suo rapporto annuale ha recentemente dichiarato:

 

"non dimentichiamo che le principali vittime saranno quei cittadini cui questa opinione (No.2/13) sottrae il diritto di avere atti dell'Unione Europea soggetti allo stesso scrutinio esterno di rispetto dei diritti umani cui è soggetto qualsiasi atto di uno Stato membro. Più di sempre, perciò, l'onere sarà della Corte di Strasburgo per fare quanto può nei casi portati avanti a lei per proteggere i cittadini dagli effetti negativi di questa situazione"[18].

 

3. Svolgendo uno sforzo ricostruttivo, si può tracciare una prima linea di distinzione tra la protezione dei diritti umani nell'ambito della materia comunitaria, i c.d. "diritti fondamentali" in senso stretto, e le allegate violazioni di diritti umani in materie che si collocano al di fuori di questo perimetro.

Nell'ambito della prima, va ricordato innanzitutto che la Carta dei Diritti Fondamentali recepisce largamente alla lettera la Convenzione EDU e, nell'interpretarli e così garantire il rispetto dei diritti fondamentali nella materia comunitaria, la giurisprudenza della CGUE richiama espressamente la giurisprudenza della Corte EDU. Dal momento che i Diritti Fondamentali, quali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri ex art.6 § 3 TUE sono "principi generali del diritto dell'Unione"[19], è stato autorevolmente sostenuto che già ora il diritto della CEDU è vincolante per effetto della sua incorporazione nei principi generali dell"Unione, ma diverrà direttamente vincolante per la UE per effetto dell"adesione dell"Unione[20].

Parte della giurisprudenza italiana, soprattutto amministrativa[21], all"indomani dell"adozione della Carta di Nizza (nella sua seconda versione) e del Trattato di Lisbona[22], si è spinta oltre, chiedendosi se, essendo la Carta dei Diritti Fondamentali ormai divenuto diritto dell'Unione con efficacia pari ai Trattati[23], la protezione dei diritti umani accordata dalla Convenzione e dalla giurisprudenza della Corte EDU fosse divenuta direttamente vincolante per il giudice comune italiano, al punto da determinare il potere-dovere di disapplicare la legge interna con essa incompatibile. La risposta data alla Corte Costituzionale con sentenza del 7 marzo 2011 n.80, come è stato autorevolmente scritto[24], ha posto un "freno alla fuga in avanti" dei giudici amministrativi, secondo cui l"art. 6 § 2 TUE avrebbe superato la differenza di efficacia interna tra diritto dell"UE e della Convenzione, riferimento considerato prematuro nelle more dell'adesione dell'UE alla CEDU[25]. Soprattutto, la Consulta ha statuito in questa importante sentenza che:

 

"Rimane, perciò, tuttora valida la considerazione per cui i principi in questione (ossia i "principi generali" che contengono il richiamo alla CEDU[26]) rilevano unicamente in rapporto alle fattispecie cui il diritto comunitario (oggi, il diritto dell"Unione) è applicabile, e non anche alle fattispecie regolate dalla sola normativa nazionale".

 

In questo contesto di triangolazioni pericolose, di poco successiva è la sentenza della CGUE Kamberaj, provocata da un rinvio pregiudiziale del Tribunale di Bolzano[27], sentenza che ha a sua volta chiarito come, per quanto ai sensi dell"articolo 6 § 3 TUE, i diritti fondamentali, così come garantiti dalla CEDU e quali risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, fanno già parte del diritto dell"Unione in quanto principi generali, tuttavia:

 

"l"articolo 6, paragrafo 3, TUE non disciplina il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell"ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale"[28].

 

La CGUE ha così concluso che il rinvio operato dall"articolo 6, paragrafo 3, TUE alla CEDU non impone al giudice nazionale (ma non lo vieta nemmeno), in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e la Convenzione, di disapplicare la norma di diritto nazionale in contrasto con essa. Pertanto, preso atto del fatto che, secondo la Corte Costituzionale (sentenza 80/2011[29]) il Trattato di Lisbona non ha posto la Convenzione ed il Diritto dell'unione Europea sullo stesso piano in termini di gerarchia delle fonti agli occhi del giudice nazionale, la CGUE ha evitato di prendere posizione a favore o contro la disapplicazione. In buona sostanza, la Corte del Lussemburgo ha esercitato una sorta di self restraint, chiarendo che le relazioni tra la CEDU e gli ordinamenti degli Stati membri non sono una questione attribuita né esercitata dagli organismi comunitari, questione regolata in modo variegato ma fermo da ciascun ordinamento nazionale[30].

Dunque, il diritto della Convenzione richiamato dalla Carta dei Diritti Fondamentali, non consente la disapplicazione della legge italiana per contrasto con la CEDU che si verifichi in fattispecie regolate unicamente dalla legge nazionale.

Ci si può chiedere però se già ora, nell"ambito circoscritto di applicazione del diritto UE, la Convenzione richiamata dalla Carta possa consentire la disapplicazione della legge nazionale contrastante. In questo caso, si avrebbe applicazione ortodossa della giurisprudenza Simmenthal, in quanto:

 

"il diritto dell"Unione osta a una prassi giudiziaria che subordina l"obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa giurisprudenza, dal momento che essa priva il giudice nazionale del potere di valutare pienamente, se del caso con la collaborazione della Corte, la compatibilità di tale disposizione con la Carta medesima"[31].

 

Questo conferma come, nonostante le differenze, vi sia anche sotto il profilo della disapplicazione, sia pure entro i circoscritti limiti della "tutela dei diritti fondamentali nel diritto dell"Unione" individuati dalla CGUE[32], un certo margine per il giudice comune di operare una convergenza nell"applicazione del diritto dell"Unione e della Convenzione[33].

 

4. Ricade sui giudici di Strasburgo valutare come procedere in futuro nei confronti delle allegate violazioni della Convenzione da parte del diritto dell'UE, ma grava sulle autorità nazionali il preciso obbligo giuridico di dare adeguata esecuzione alle sentenze CEDU in applicazione dell'art.46 §1 della Convenzione, nonostante il processo di integrazione tra i due sistemi, della Convenzione e Comunitario, abbia subito una battuta di arresto.

In primo luogo, questo compito ricade sul legislatore, soprattutto per i casi di violazione seriale, cui è possibile porre rimedio effettivo solo con un intervento di portata generale[34]. 

Tuttavia, in tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa sono in primo luogo i giudici nazionali a sostenere il difficile ruolo di garanti del rispetto dei diritti umani, assicurando l'effettività e l'omogeneità della protezione, ed applicando i principi della giurisprudenza della Corte EDU nel caso concreto. Per questo sono giudici a quibus, ossia naturali interlocutori della Corte di Strasburgo.

Il sentiero che può percorrere il giudice italiano è delimitato, in primo luogo, dalle sentenze "gemelle" della Corte costituzionale nn. 348 e 349 del 22 ottobre 2007 che impongono al giudice interno, ove non fosse possibile una interpretazione conforme della disposizione legislativa interna, nel ritenuto contrasto con la Convenzione EDU, di sollevare questione di costituzionalità. Questo, per escludere un ingresso automatico nel nostro ordinamento giuridico della disciplina convenzionale, e consentire alla Consulta un controllo centralizzato ex post della stessa norma della Convenzione, la quale si colloca ad un livello legislativo rinforzato (o sub-costituzionale) e, dunque, potrebbe porsi anche in conflitto con altre norme della Costituzione (contro-limiti)[35]. Inoltre, il sindacato della Corte Costituzionale consente una pronuncia sulla legge nazionale con effetti erga omnes che garantisce un'adeguata certezza dell'applicazione diritto, soprattutto in materia penale[36].

Come noto, a partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, la giurisprudenza della Corte Costituzionale è stata costante nel ritenere che le previsioni della Convenzione come interpretate dalla Corte EDU integrino, quali norme interposte, il parametro costituzionale dell"art. 117 1° comma Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli "obblighi internazionali", anche dopo l"entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007[37].

Importante è stato anche l'apporto delle sentenze nn. 113 e 246 del 2011 della Consulta, secondo le quali è vincolato al rispetto della Convenzione non solo lo Stato apparato, ma anche le articolazioni interne dello Stato, incluse le autorità giudiziarie. Con la prima sentenza, è stato anche superato il dogma del giudicato penale, in applicazione dell'art. 46 § 1 CEDU che comporta:

 

"anche l"impegno degli Stati contraenti a permettere la riapertura dei processi, su richiesta dell"interessato, quante volte essa appaia necessaria ai fini della restitutio in integrum in favore del medesimo, nel caso di violazione delle garanzie riconosciute dalla Convenzione, particolarmente in tema di equo processo".

 

Per tali ragioni, la Corte Cost. con sentenza additiva ha dichiarato l"illegittimità costituzionale dell"art. 630 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell"art. 46 § 1 della Convenzione.

Oggi è possibile che un percorso analogo porti al superamento dell'intangibilità pure del giudicato civile attraverso il meccanismo della revisione, in quanto con ordinanza depositata il 4.3.2015 l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[38] ha sollevato avanti alla Corte Costituzionale la questione dell'assenza di revocazione delle sentenze passate in giudicato emesse da giudici amministrativi e, in parallelo, anche civili essendo richiamati tra gli altri anche gli artt.395 e 396 cod. proc. civ., che si pongano in violazione della Convenzione dichiarata con sentenza della Corte EDU divenuta definitiva.

 

5. Questo tracciato, imperniato sul controllo esclusivo centralizzato ex post di compatibilità della legge con la Convenzione, e sulla dottrina dei contro-limiti, ha avuto delle decisive ricadute nel circoscrivere l"elaborazione giurisprudenziale interna in materia di diritto della Convenzione a partire dal 2008, il quale è ancora limitatamente conosciuto[39] ed applicato dal giudice comune, sia pure in chiave interpretativa secondo l"ortodossia indicata dalla Corte Costituzionale. Certo, l'esecuzione delle sentenze della Corte EDU, ai sensi dell'art.46 § 1 Convenzione gravano sugli Stati membri in tutte le loro articolazioni, in primo luogo sul legislatore e sul governo che hanno gli strumenti, attraverso atti aventi forza di legge di disciplinare in via generale ed astratta rimuovendo la causa della violazione sistematica. Questo è stato il caso della c.d. legge Pinto[40] e, più di recente, degli adeguamenti normativi necessari per dare esecuzione alla sentenza Torreggiani[41]. Tuttavia, si è anche accennato a come non vada sottovalutata l'importanza che, in altri Stati, svolge il giudice nazionale nell'assicurare il rispetto del diritto della Convenzione, come ad es. in Francia ove al controllo di costituzionalità ex post, si accompagna un contrôle de conventionnalité ex ante, ossia diffuso in capo ad ogni giudice comune, il quale può ricorrere alla disapplicazione della legge interna in contrasto con la CEDU. Si noti che la Francia non è nemmeno uno di quegli Stati, come l"Austria ed i Paesi Bassi in cui la Convenzione è stata espressamente costituzionalizzata. 

In effetti, garantire un'effettiva esecuzione alle sentenze CEDU è il vero problema che affligge l'Italia di fronte alla giurisdizione di Strasburgo, la cui soluzione è indispensabile per prevenire nuove violazioni sistematiche, e non solo seriali. Secondo le rilevazioni statistiche ultime pubblicate dal Registry della Corte, a gennaio 2015 risultano pendenti 15.645 processi proposti contro l'Italia e di questi, al 1 luglio 2014, i casi ripetitivi, tra tutti i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa, erano 11.639 per l'Italia, 11.558 per l'Ucraina, 5.871 per la Turchia, 2.551 per la Federazione Russa, 1.702 per la Serbia, 1.633 per la Romania e 1.047 per il Regno Unito[42].

Nell'arco temporale di un anno, da ottobre 2013 a ottobre 2014, si legge nel Rapporto del Comitato sugli Affari Legali e Diritti Umani presso il Consiglio d"Europa 2014, che la Corte ha accertato 11 violazioni maggiori di diritti umani nei confronti dell'Italia, ossia per violazione dell'art.2 (diritto alla vita) e 3 (proibizione di tortura, e comportamenti inumani e degradanti), il nucleo dei diritti assoluti che non consentono bilanciamento alcuno da parte delle autorità nazionali, né della Corte stessa.

Dei 15.645 casi di violazione ripetitivi, circa 4.200,00 ricorsi riguardavano posizioni analoghe a quelle del ricorrente Torreggiani, poi cancellati dal ruolo in conseguenza dei provvedimenti specificamente adottati dal Governo Italiano nel corso del 2014 in esecuzione della sentenza omonima. Anche a voler sottrarre un altro filone di violazioni ripetute per irragionevole lunghezza del processo, considerata sono in apparenza una violazione meno grave dei diritti dell'uomo[43], il numero residuo che casi ripetitivi concernenti l'Italia resta enorme, del tutto fuori proporzione rispetto ad altre democrazie occidentali per dimensioni paragonabili.

Alla fine del 2013, gli Stati contraenti con il maggior numero di casi sotto osservazione da parte del Comitato dei Ministri presso il Consiglio d'Europa per mancata esecuzione di sentenze CEDU erano: Turchia (13%) , Federazione Russa (11%), Ucraina (8%), Bulgaria (7%), Romania (6%), Moldavia e Italia (5% ciascuna), Grecia, Polonia e Croazia (4% ciascuna)[44].

In altri termini, solo una effettiva esecuzione delle violazioni accertate dalla CEDU può prevenire future violazioni, e consentire una diminuzione effettiva del contenzioso per il futuro oltre che, e questo è centrale nella prospettiva della giurisdizione, un effettivo rispetto dei diritti umani nel nostro Paese.

Per dare un'idea delle differenze nella odierna applicazione della CEDU da parte dei giudici nazionali, è utile qui di seguito richiamare alcune recenti pronunce, molto distanti tra loro nelle conclusioni.

 

6. Sotto l'angolo visuale penale, la tecnica di applicazione della CEDU e della giurisprudenza di Strasburgo più frequente da parte del giudice italiano è il richiamo ai fini dell"interpretazione conforme e, spesso, anche solo come argomento rafforzativo accessorio ad colorandum, rispetto ad un'argomentazione logico giuridica già autoportante.

6.1 Si può menzionare come esempio recente di questa applicazione, una sentenza del 13 gennaio 2014 del Tribunale di Milano in materia di fecondazione eterologa:

 

"In tale accezione, è escluso che il divieto di diventare madre ricorrendo alla fecondazione eterologa possa rientrare tra i principi fondanti dell"ordine pubblico internazionale: a tacer d"altro, per la circostanza che questa forma di procreazione assistita è praticata e consentita dalla maggior parte dei Paesi che aderiscono all"Unione Europea (criterio adottato, tra l"altro, da Cass. civ., SS. UU., 5.7.2011 n. 14650, Rv n. 618434 per stabilire la compatibilità con l"ordine pubblico della norma inglese che ammette l"acquisto di un bene in conseguenza di un patto commissorio, in violazione del divieto contemplato dall"art 2744 c.c.) e di quelli che hanno sottoscritto la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell"uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4.11.1950, di cui l"Italia è uno dei promotori. La Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell"uomo, decidendo il 3 novembre 2011 in grado di appello il caso S. H. e altri c. Austria in tema di fecondazione eterologa, ha anzi ribadito che il diritto di una coppia di concepire un figlio mediante le tecniche di procreazione assistita rientra nella sfera di applicazione dell"art. 8 della Convenzione, in quanto chiara espressione del diritto di libera determinazione nella vita privata e familiare (...)."[45].

 

Non è affatto secondaria l'importanza dell'inserimento nella motivazione del riferimento alla CEDU, nello specifico l'art.8 diritto alla vita familiare come interpretato dall'importante sentenza S.H. e altri c. Austria[46], dal momento che questo iter rende la sentenza oggettivamente più forte.

Nel senso che, ove la questione giuridica venisse portata avanti ai giudici di Strasburgo, una volta esauriti i rimedi interni secondo la regola di ammissibilità, la Corte potrebbe intervenire in modo limitato. La Corte potrebbe rovesciare il bilanciamento effettuato dal giudice comune tenuto conto del diritto della Convenzione solo in presenza di gravi motivi, in quanto vi è stata una previa valutazione di compatibilità con la CEDU (come interpretata dalla Corte) da parte del "giudice naturale" dei diritti umani, che non è quello di Strasburgo ma il giudice più prossimo alle parti del giudizio: ciò allarga il margine di apprezzamento di cui gode lo Stato[47]. Dunque, secondo sussidiarietà, verificato che il giudice nazionale ha correttamente impostato il bilanciamento tra diritti protetti dalla Convenzione, richiamando la pertinente interpretazione giurisprudenziale della Corte EDU, il giudice europeo deve astenersi dal proseguire nella valutazione nel merito[48], e fermarsi davanti al margine di apprezzamento che è tenuta a lasciare, in primo luogo in materia di diritti non inderogabili[49], alle autorità nazionali, salvo casi eccezionali.

 

6.2 Più raramente, il giudice penale si spinge ad una applicazione diretta della Convenzione, ma senza disapplicare una norma interna, bensì per colmare una lacuna nella disciplina interna. Questo è ad esempio avvenuto in una pronuncia del 4 ottobre 2014 del Tribunale di Varese relativa ad un'ipotesi di maternità surrogata, in cui il giudice ha riscontrato l'esistenza di un falso ex art.495 cod. pen. ma, in presenza di una lacuna nella disciplina legislativa, lo ha ritenuto innocuo alla luce del diritto della Convenzione, in particolare dell'art. 8 della Convenzione come interpretato dalle sentenze del 26 giugno 2014 Mennesson[50] e Labassee[51]. Così scrive il Gup di Varese:

"È, dunque, coerente con il paradigma interpretativo prescelto affermare che l"attestazione della qualità di genitore innanzi al pubblico ufficiale rilasciata dagli agenti non ha comportato alcun nocumento per il bene giuridico tutelato dalla norma penale (veridicità della dichiarazione) in un sistema giuridico come quello attuale  in cui è divenuto sostanzialmente  ininfluente -secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani- il metodo di concepimento della prole quale presupposto per il riconoscimento della maternità e paternità, attesa al contempo l"inerzia del legislatore nazionale che non ha previsto, né imposto che le parti interessate si esprimano in merito alle tecniche cui hanno fatto ricorso per la fecondazione al fine di ponderare almeno la posizione del genitore naturale."[52].

 

Nel caso di specie il percorso del giudice non è stato dunque di ritenere la norma interna in contrasto con il diritto della Convenzione, e pertanto non di interpretazione conforme si tratta, ma di rilevamento di un vuoto di disciplina normativa interna, poi colmato attraverso l"applicazione diretta della fonte di diritto internazionale della Convenzione EDU.

6.3 L'elaborazione giurisprudenziale sull'interpretazione conforme da parte della Corte di Cassazione si è spinta sino a ritenere praticabile il superamento del giudicato in assenza di ricorso alla revocazione, in particolare in tema di esecuzione della pena. Con sentenza del 26 giugno 2014[53] la S.C. ha affermato che:

"l'obbligo di interpretazione conforme alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo impone di includere nel concetto di nuovo "elemento di diritto", idoneo a superare la preclusione, di cui all'art. 666 c.p.p., comma 2, anche il mutamento giurisprudenziale che assume, specie a seguito di un intervento delle Sezioni Unite, carattere di stabilità e integra il "diritto vivente", con la conseguenza che una tale operazione ermeneutica si rende necessaria e doverosa nel caso in cui è funzionale a garantire il rispetto di diritti fondamentali, riconosciuti anche da norme comunitarie o sopranazionali a carattere imperativo, di fronte ai quali la citata preclusione, che ha natura e funzione diverse dal giudicato, non può che essere recessiva [54].

La ricaduta di un tale orientamento, che impone certamente di rimuovere, la preclusione del giudicato esecutivo nell'ipotesi di mutamento giurisprudenziale determinato dall'intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, non esclude che analoga rimozione possa e debba operare al cospetto di un mutamento giurisprudenziale, con caratteristiche di stabilità, determinato dal normale esercizio della funzione nomofilattica attribuita al Giudice di legittimità.

Ciò che si richiede è che, per i fatti pregressi, il mutamento di giurisprudenza non comporti soluzioni sfavorevoli per i diritti della persona."  

6.4 Il richiamo alla CEDU è talvolta utilizzato nella stessa qualificazione della fattispecie concreta, per individuare i presupposti necessari all"applicazione della disciplina normativa prevista dalla fonte primaria. In merito all'individuazione delle situazioni concrete che determinano l'applicazione del nuovo Art.35 ter O.P. (Ordinamento Penitenziario)[55], introdotto in esecuzione del pilot judgment Torreggiani, il Magistrato di Sorveglianza di Spoleto ha statuito con ordinanza del 14 ottobre 2014:

"Più specificamente, la Corte ha sostenuto che il sovraffollamento carcerario, ove sia grave, basta ad integrare la violazione dell"art. 3 ed in tal senso, pur a fronte di una valutazione compiuta dal Comitato europeo per la Tortura per cui nelle celle collettive è auspicabile che ciascun detenuto abbia uno spazio non inferiore a 4 mq, ha riconosciuto che ove lo spazio concesso ad un ricorrente sia inferiore a 3 mq la violazione è integrata, mentre ove lo spazio sia compreso tra i 3 ed i 4 mq, occorre dar rilievo all"esame di altri profili significativi concernenti la possibilità di utilizzare servizi igienici riservati, areazione disponibile, accesso alla luce ed all"aria naturali, qualità del riscaldamento e rispetto delle esigenze sanitarie di base (giurisprudenza inaugurata sui profili generali nel caso Karalevicius c. Lituania del 2005, Kantyrev c. Russia del 2007 e, per l"Italia, con la sentenza Sulejmanovic del 2009, poi seguita dalla già citata Torreggiani e, in materia più strettamente connessa alle condizioni di salute dei ricorrenti, Tellissi del 2013 e G. contro Italia del 2014)."[56].

Dal momento che l'art.35 ter O.P. non fornisce indicazioni precise su cosa sia l'inumana detenzione, il giudice fa riferimento alla giurisprudenza di Strasburgo per riempire di significato la disciplina interna e, conseguentemente, individuare l'esatto ambito di applicazione dell'art.35 ter O.P., non limitato allo spazio minimo disponibile nelle celle.

In generale, il richiamo alla giurisprudenza della CEDU per la qualificazione dei fatti non è passivo, né la Convenzione si sostituisce alla Carta Costituzionale, dal momento che i limiti dell'interpretazione aperta al diritto internazionale sono contenuti nella Costituzione stessa. Infatti, l"interpretazione non può condurre ad una riduzione nella protezione dei diritti umani garantiti dalla nostra carta fondamentale. Questo vale per ogni Stato membro del Consiglio d'Europa, non solo per l'Italia, come ha ad es. affermato anche il Bundesverfassungsgericht[57], ed è espressamente previsto da una clausola di non regresso contenuta nella stessa Convenzione all'art.53:

"Nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell"uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi.".

7. L'elaborazione della giurisprudenza interna secondo l'angolo visuale civile offre una notevole varietà di applicazioni della CEDU. E' opportuno sin da subito precisare che nella prospettiva di applicazione della CEDU, la nozione "civile" è molto ampia, ed ha una grande rilevanza in termini di disciplina processuale del giusto processo, particolarmente in materie ai limiti come il diritto tributario ed amministrativo, che tradizionalmente non sono considerati diritto civile classico. La Convenzione infatti non contiene alcuna definizione di cosa si intenda per "diritti civili ed obbligazioni" menzionata in primo luogo nell'art.6 in riferimento al "giusto processo". Tuttavia, è un principio consolidato nella giurisprudenza della Corte che la nozione di "diritti civili ed obbligazioni" non possa essere interpretata solo con riferimento alla legge nazionale dello Stato responsabile, e solo la natura del diritto in gioco è di primaria rilevanza[58]. Perciò, l'articolo 6 CEDU non copre solo controversie tra individui o tra un individuo e lo Stato a condizione che quest'ultimo agisca come privato, soggetto al diritto privato, mentre quale sia l'autorità giurisdizionale investita della relativa giurisdizione non è elemento decisivo[59].

7.1 In un'ordinanza del 23 settembre 2013 del Tribunale di Roma[60] originata dalla importante sentenza della Corte EDU Costa e Pavan c. Italia[61], il giudice capitolino ha sostenuto l'esistenza di un doppio regime valevole in presenza di contrasto della legge interna con la Convenzione EDU. Secondo questa ricostruzione, la Convenzione troverebbe immediata applicazione ove contenga una disciplina puntuale, mentre in caso contrario dovrebbe essere sollevata questione di legittimità costituzionale. In un significativo passaggio della motivazione, il Collegio, richiamate le sentenze della Corte Costituzionale 7 marzo 2011 n.80, 7 aprile 2011 n.113 e 19 luglio 2011 n.236 afferma:

 

"Ai principi consacrati nelle citate superiori pronunce, aderenti a quella parte della dottrina che intende l"art.46 della Convenzione diretto non solo allo Stato-persona, bensì anche ai suoi organi, giudici compresi, consegue necessariamente che il giudice comune sia chiamato a dar seguito alle decisioni di condanna del giudice europeo senza necessità di sollevare l"ulteriore pregiudiziale di costituzionalità, ogni qualvolta la regola ricavabile dalla sentenza CEDU sia sufficientemente precisa ed incondizionata da sostituirsi, senza margini di ambiguità, a quella interna riconosciuta contraria alla Convenzione, laddove la rimessione alla Corte Costituzionale dovrà essere limitata alle sole questioni che pur in presenza di una regola CEDU autoapplicativa, evidenzino un possibile contrasto tra quest"ultima e i principi supremi dell"ordinamento costituzionale.".

 

La pronuncia è stata oggetto di critica da parte della Dottrina[62], la quale ha osservato come nel caso di specie non si trattasse di valutare la portata di una sentenza della Corte EDU pronunciata nei confronti di un altro Stato membro del Consiglio d'Europa, o comunque tra parti diverse, ma di dare esecuzione interna ad una sentenza della Corte di Strasburgo definitiva, in applicazione dell"art. 46 CEDU[63].

 

7.2 Un caso diverso, riconducibile al contenzioso ATA e sollevato avanti al Tribunale di Milano sotto il profilo risarcitorio, è stato affrontato con sentenza depositata il 6 gennaio 2015 nei seguenti termini:

"la sentenza Agrati[64] si pone in contrasto con la pronuncia della Corte Costituzionale italiana,

si ritiene però che non sia necessario interpellare nuovamente la Corte Costituzionale per varie ragioni: nella presente controversia, come detto,  non si fa questione della applicazione della norma 266/2005  atteso che la vicenda processuale che ha visto coinvolto il Bettini contro il MIUR e quindi la questione della interpretazione/applicazione  della L.124/1999 come successivamente interpretata  dalla legge 266/2005, si è definitivamente risolta con il passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello di Milano del 30.1.2008; non ponendosi  il problema della applicazione o meno della norma in assunto violativa della Convenzione, non sussiste il problema della verifica di costituzionalità della suddetta norma; comunque la pronuncia della Corte Costituzionale  del 2009 appare coerente, motivata e condivisibile; la Corte europea ha ritenuto la violazione della Convenzione forse non approfondendo adeguatamente le considerazioni della Corte interna; in ogni caso una rimessione alla Corte costituzionale non si appalesa necessaria, atteso che la decisione 311 del 2009, sebbene antecedente alla sentenza Agrati, considera i medesimi problemi, prendendo posizione non solo sulla sussistenza nel caso in esame dei "motivi imperativi di interesse generale", ma anche, più in generale, sulla competenza a valutarli (come chiaramente indicato nelle sentenze 5416/2013 e 4049/2013 della stressa Corte di Cassazione),

riassumendo: non si ritiene che il sistema preveda la tutela risarcitoria innanzi al giudice comune per la violazione delle norme della Convenzione dei diritti dell"uomo se tale diritto non sia previsto da una norma interna; se anche fosse possibile valutare il comportamento dello Stato legislatore e qualificarlo come  inadempimento ex lege o come illecito extracontrattuale, nel caso di specie,  visto il chiaro e condivisibile dettato della Corte Costituzionale non si potrebbe configurare alcuna violazione o alcun illecito originante un diritto al risarcimento del danno"[65].

Il passaggio in giudicato di una sentenza interna, come sopra visto, non impedisce di per sé l'esecuzione della sentenza CEDU, o in via interpretativa attraverso l"interpretazione conforme[66] oppure, se non ritenuto ciò possibile, essendo lo Stato tenuto alla riapertura del processo, attraverso il rimedio della revisione del processo, come affermato dalla Corte Cost. n.113/2011 con riferimento al giudicato penale. Analoga pronuncia di incostituzionalità con sentenza additiva per ora non è avvenuta con riferimento al giudicato civile, ma è significativo che sia stata sollevata la questione, come visto, da parte dell"Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato[67].

Nel caso di specie, il giudice ha accertato prima ancora del contrasto tra CEDU e norma interna, quello tra l"interpretazione della legge 266/2005  datane dalla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato la legge non costituzionalmente illegittima per i profili di contrasto con la CEDU sollevati dal giudice remittente, e la successiva sentenza della Corte EDU, resa in caso seriale analogo a quello dell'attore, la quale ha ritenuto l'intervento del legislatore contrario alla Convenzione.

Il giudice meneghino ritiene inoltre di non dover nemmeno sollevare nuova questione di costituzionalità in applicazione dei canoni fissati dalla Consulta con le sentenze nn. 348 e 349/2007, perché già sollevata in precedenza e decisa dalla Corte Cost. con sentenza n.311/2009, benché anteriormente alla sentenza della Corte EDU Agrati del 7.6.2011.

Si noti che la sentenza della Corte non era stata resa nei confronti dell'attore che ha agito avanti al Tribunale di Milano, il quale dunque non era stato in precedenza uno dei ricorrenti avanti alla Corte EDU nel processo Agrati, ma è pur sempre portatore di un interesse giuridico analogo a quello dei ricorrenti che sono prevalsi nel decisum della Corte. In un contesto penale, la S.C. a SS.UU. ha affermato come:

 

"le decisioni della Corte EDU che evidenzino una situazione di oggettivo contrasto - non correlata in via esclusiva al caso esaminato - della normativa interna sostanziale con la Convenzione EDU assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell'ambito del quale è intervenuta la pronunzia della predetta Corte internazionale"[68]. 

* * *

Ci si può chiedere dopo questa breve rassegna di recente giurisprudenza del giudice comune, penale e civile, se a soffrire in Italia sia la stessa omogeneità nella tecnica di applicazione della Convenzione come interpretata dalla giurisprudenza della Corte EDU, e se questo determini rischi per il rispetto di uno standard di protezione dei diritti umani in Italia, in linea con quello degli altri Stati membri del Consiglio d'Europa.

 

8. La Convenzione, tradizionalmente si afferma, vincola gli Stati. E' poi indubbio che il vincolo riguardi le parti del processo, ossia le autorità nazionali che sono tenute a dare esecuzione alla sentenza CEDU nei confronti delle parti coinvolte nella controversia oggetto della decisione. Tuttavia, già con la risoluzione No.122 del 28 settembre 2000 l"Assemblea Parlamentare del Consiglio d"Europa aveva spinto con decisione per l"effetto obbligatorio erga omnes del diritto vivente della Convenzione:

 

"secondo il principio di solidarietà, la giurisprudenza della Corte fa parte integrante della Convenzione, sì che il carattere giuridicamente obbligatorio della Convenzione è allargato "erga omnes" (a tutte le altre parti). Da ciò consegue che gli Stati membri devono non solo eseguire le sentenze pronunciate dalla Corte, ma devono ugualmente tener conto delle eventuali incidenze che le sentenze pronunciate in altri casi possono avere sui loro sistemi e sulle loro prassi giuridiche".

 

Negli ultimi anni sono poi ravvisabili elementi senza dubbio sintomatici di una nuova tendenza espansiva dell'efficacia della sentenza CEDU, per effetto della stessa giurisprudenza della Corte EDU.

a) Il principio di sussidiarietà dopo la Dichiarazione di Brighton (2012)

Il rafforzato principio di sussidiarietà, già affermato in via pretoria dalla Corte EDU, è stato uno dei portati principali della Dichiarazione di Brighton dell'aprile 2012, conclusiva dei lavori della Conferenza di Alto Livello sul futuro della Corte, promossi dalla presidenza britannica del Consiglio d"Europa. Si è evidenziato che molti dei casi potenzialmente fondati derivano da una mancata attuazione al livello nazionale dell'esecuzione delle sentenze di Strasburgo e, al tempo stesso, alcuni dei governi degli Stati membri hanno lamentato l'intervento della Corte nell'ambito di quello che hanno considerato legittimo margine di apprezzamento dell'assicurare un adeguato bilanciamento tra diritti umani protetti a livello interno. Per effetto della Dichiarazione di Brighton sul futuro della Corte, è stato redatto in Protocollo No.15, in corso di ratifica da parte degli Stati membri che prevede, all'articolo 1, che alla fine del preambolo della Convenzione sia aggiunto un nuovo considerando così redatto:

 

"Affermando che spetta in primo luogo alle Alte Parti contraenti, conformemente al

principio di sussidiarietà, garantire il rispetto dei diritti e delle libertà definiti nella presente

Convenzione e nei suoi protocolli e che, nel fare ciò, esse godono di un margine di

apprezzamento, sotto il controllo della Corte europea dei Diritti dell"Uomo istituita dalla

presente Convenzione".

 

E' la prima volta che il principio di sussidiarietà, già enucleato giurisprudenzialmente dalla

Corte EDU su derivazione dal diritto dell'Unione Europea, viene esplicitato nei testi ufficiali che compongono il sistema della Convenzione.

Non si tratta di un passaggio senza significato in quanto, da un lato sul versante della Corte impone una più attenta considerazione del margine di apprezzamento da parte delle autorità interne e, dall'altro, pone a carico degli Stati - e per essi anche i giudici nazionali -obblighi di puntuale esecuzione delle sentenze CEDU. A questo secondo proposito, per la prima volta, impone esplicitamente di dar conto non solo delle norme della Convenzione ma anche della specifica giurisprudenza della Corte EDU.

In precedenza, le sentenze potevano essere ritenute vincolanti nei confronti del solo Stato nei cui confronti erano state pronunciate mentre, nei confronti degli altri Stati, benché si trattasse di un"autorevolissima interpretazione di cui non si poteva non tener conto, in linea di principio non vi era un esplicito vincolo giuridico all'applicazione ed esecuzione. Da qui l'innovazione contenuta nella Dichiarazione, che impone alle autorità nazionali, inclusi i giudici comuni, una nuova consapevolezza della giurisprudenza della Corte, per dare effettiva esecuzione alla CEDU[69].

 

b) Il rinvio pregiudiziale interpretativo

Il Protocollo No.16, in corso di ratifica, ha poi rafforzato il ruolo delle Corti nazionali, sia pure solo di ultima istanza, attraverso la possibilità di un rinvio pregiudiziale interpretativo alla CEDU, strumento idoneo a stimolare il dialogo istituzionale tra Corti. Proprio questo è stato uno dei rilievi che hanno spinto la CGUE nel Parere 2/13 a rigettare il progetto di adesione dell'UE alla Convenzione. Se è previsto un rinvio interpretativo a Strasburgo, prima che le corti supreme nazionali decidano la controversia significa, che il giudice europeo si potrà pronunciare sulla questione di diritto sul versante della compatibilità con la Convenzione, sollevando nuovi interrogativi sulla possibilità a seguito di tale pronuncia di una eventuale disapplicazione della norma interna, secondo la tecnica della giurisprudenza Simmenthal. Si tratta di una delle ragioni principali di attrito con la CGUE, sebbene il rimedio del Protocollo No.16, peraltro non ancora in vigore, sia molto distante dal rinvio pregiudiziale dell'art.267 TUE, il quale è consentito a qualsiasi giudice nazionale e dunque ha una portata ben diversa.

 

c) Sentenze dichiarative e prescrittive.

Tradizionalmente si afferma che la Convenzione vincola solo gli Stati coinvolti nel singolo processo e che la sentenza della Corte EDU non ha efficacia erga omnes. In effetti, per una scelta precisa degli Stati nazionali, di cui vi è ampio riscontro nei Travaux Préparatoires[70] della Convenzione, la Corte non è stata dotata del potere di pronunciare sentenze di condanna né costitutive capaci di incidere direttamente sugli atti posti in essere in violazione della Convenzione, ma solo di accertare la violazione della Convenzione e di individuare una satisfaction équitable, ossia un indennizzo e non un risarcimento ai fini della restitutio in integrum. Quindi, in applicazione di una logica di riparto di poteri tra giudiziario ed esecutivo, l'attuazione concreta della sentenza della Corte EDU, è stata lasciata alla competenza istituzionale del Comitato dei Ministri presso il Consiglio d'Europa, deputato a sorvegliare che lo Stato responsabile prenda i necessari accorgimenti per rimuovere la causa della violazione.

L'insuccesso di questo limitato presidio all"esecuzione è progressivamente divenuto evidente, come si è cercato di dare conto attraverso alcuni dati statistici sopra richiamati, numeri che pure non dicono tutto in caso di violazione dei diritti dell'uomo, non riuscendo forse a far cogliere immediatamente la gravità del problema. Per questo, la Corte ha risposto progressivamente entrando in modo più profondo nella fase dell'esecuzione attraverso un dispositivo preciso e dettagliato che vincoli il governo a determinati obblighi di facere individuati, almeno in certi gravi casi[71].

Ciò anche in quanto, in determinati casi di violazione dei diritti umani, il mero indennizzo è apertamente non adeguato a costituire un ristoro per la violazione subita. Ad esempio, nel caso Assanidze la Grande Camera all'unanimità ha ordinato alla Georgia l'immediata liberazione di un detenuto in violazione dell'art. 5 § 1 della Convenzione[72]. E' poi emblematico il caso Volkov, per le ricadute degli importanti principi del giudice naturale precostituito per legge e di separazione dei poteri tra esecutivo e giudiziario. In questa sentenza nel dispositivo è stato statuito che l'Ucraina dovesse provvedere immediatamente al reinsediamento del ricorrente nel posto di giudice della Corte Suprema[73]. Non è un caso che l'opinione concorrente del giudice Pinto de Albuquerque nella sentenza Fabris si sia spinta a dichiarare, in modo acutamente provocatorio che "le sentenze della Corte non sono più puramente dichiarative ma prescrittive"[74]. In realtà si tratta di eccezioni, e nella larghissima maggioranza alle violazioni accertate non seguono ordini consequenziali, talvolta per una precisa volontà di non interferire negli affari interni dello Stato sovrano[75], talaltra preferendosi raccomandazioni o delle indicazioni contenute non nel dispositivo, ma nel corpo della motivazione che non è suscettibile di passare in giudicato.

 

d) La procedura delle sentenze pilota.

Prima in via pretoria e poi con il Protocollo No.14 è stato introdotto il meccanismo del pilot judgment, con la selezione di un caso tra i molti seriali cui dare la priorità di celere trattazione e sospensione delle more degli altri processi analoghi. Con questa procedura di infrazione è stata de facto estesa l'efficacia della sentenza ad un numero molto ampio di ricorrenti formalmente non parti di quel processo. Inoltre, lo Stato responsabile è stato vincolato ad un facere puntuale entro un orizzonte temporale definito, per ottenere la declaratoria di improcedibilità dei ricorsi sospesi, previa dimostrazione di aver rimosso la causa della violazione. Il primo in questo senso è stato il caso Broniowski [76] attinente un vasto progetto espropriativo, ma in Italia è ben più famoso il già citato caso Torreggiani in cui, accertata la violazione della Convenzione per condizioni di detenzione inumane e degradanti nelle carceri, sono stati dati all'Italia 12 mesi decorrenti dalla definitività (27 maggio 2013) per iniziare a risolvere concretamente il problema sistemico[77]. Nel 2014, dopo una prima verifica degli strumenti normativi ed organizzativi concretamente adottati, in particolare il nuovo 35 ter OP[78], il Comitato dei Ministri del Consiglio d"Europa ha riconosciuto i progressi ottenuti, disponendo un differito riesame dei progressi effettuati a giugno 2015. A fine 2014, circa 4.200 ricorsi analoghi al caso Torreggiani sono stati cancellati dal ruolo. Di questa efficacia accresciuta per effetto della procedura della sentenza pilota sono ben consapevoli le SS.UU. della Cassazione[79].

 

e) Natura delle sentenze e meccanismo del precedente

Anche la progressiva strutturazione dell'iter motivazionale e del meccanismo di decisione della Corte, incidono in modo considerevole sull'incrementata efficacia delle sue sentenze. Oggi, benché non formalmente legata al principio del binding case tipico della Common Law, la Corte regolarmente utilizza la propria pregressa consolidata giurisprudenza richiamandola ampiamente per assicurare adeguata certezza del diritto. Questo ne estende la portata de facto quasi erga omnes, soprattutto nei casi in cui la violazione sia stata commessa in forza di una disposizione normativa interna generale ed astratta, non solo nei confronti di quello Stato membro giudicato responsabile, ma anche degli altri Stati membri del Consiglio d'Europa affetti da problemi sistemici analoghi[80]. Per evitare il rischio di affermare diversi standard di protezione dei diritti umani tra Stati, in questioni seriali che si fondano su disposizioni generali, o prevalentemente normative, come nel caso della irragionevole durata dei processi, o prevalentemente organizzative, come nel caso della detenzione inumana o degradante, la giurisprudenza della Corte è molto coerente. A titolo di esempio, la una giurisprudenza sulla condizione carceraria affermata nel 2013 nei confronti dell'Italia, attraverso pilot judgment, è poi stata applicata sostanzialmente senza modifiche interpretative di rilievo nel 2014 nei confronti del Belgio[81].

 

9. Tutti gli elementi sopra evidenziati spingono nel senso di un efficacia della sentenza pronunciata dalla Corte EDU che va ben al di là del caso specifico deciso. Questa efficacia extra partes, viene estesa con forza, al di là di un rigido collocamento in termini di gerarchia delle fonti, dall'autorevolezza del giudice europeo dei diritti umani, in tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa, come dimostrano le brevi considerazioni, anche comparative, sopra svolte. Di questo gli operatori del diritto, avvocati e magistrati, devono essere ben consapevoli nel momento in cui impostano, un'azione giudiziaria e un"istruttoria o decisione della controversia, civile o penale che sia.

Consegue a questa consapevolezza l"utilizzo di un importante strumento di cui il giudice nazionale dispone, nell"alveo dell"interpretazione offerta dalla Consulta che non considera la CEDU costituzionalizzata, per assicurare attraverso l"interpretazione conforme un"effettiva protezione dei diritti umani. Si tratta del rilievo d'ufficio della compatibilità della legge con la CEDU, presupposto spesso indispensabile per procedere ad un'interpretazione conforme della prima alla luce della seconda, in assenza di doglianza da parte delle difese della violazione della Convenzione.

Probabilmente non vi è ancora adeguata consapevolezza tra gli operatori del diritto della centralità della CEDU nell'ambito della tutela dei diritti umani in Europa e nel ruolo, per molti aspetti, di Corte costituzionale europea che ha progressivamente assunto la Corte EDU, funzione che le è riconosciuta in altri ordinamenti giudici europei, sia pure non senza critica[82]. In realtà, la Corte ha da sempre un ruolo duale[83], da un lato di salvaguardia per gli individui i cui diritti e libertà non sono assicurati a livello nazionale attraverso standard minimi e, dall'altro, di autorità interpretativa della Convenzione[84].

In questo contesto, vi è conforto all"utilizzo del rilievo d"ufficio in primo luogo nella prevalente giurisprudenza della Corte di Cassazione, elaborata soprattutto in materia penale[85], ma che sul punto, per l"autorevolezza dell"insegnamento, anche a Sezioni Unite[86], e per la natura trasversale del diritto della Convenzione può senz"altro estendersi ad ogni contezioso del giudice comune, anche civile e amministrativo.

Ci sono importanti poi argomenti a favore della rilevabilità d'ufficio ricavabili dalla stessa giurisprudenza della Corte di Strasburgo la quale affermare che, ai fini della disamina della ricevibilità di un ricorso a Strasburgo ai fini e per gli effetti dell'art. 35 Convenzione, non è necessario che sia stata prima esplicitamente lamentata avanti al giudice nazionale la violazione della Convenzione, con indicazione dell'articolo o del diritto umano asseritamente violato. E" sufficiente infatti è che la doglianza sia stata sollevata almeno nella sua sostanza[87].

Ciò che è importante è che sia stato dato modo ai giudici nazionali di rimediare all'allegata violazione anteriormente alla proposizione del caso avanti alla Corte EDU[88]. Talvolta, la domanda è stata ritenuta ricevibile addirittura anche se la violazione della Convenzione non era mai stata sollevata prima, neppure avanti all'ultimo grado di giurisdizione nazionale, ad es. quanto manca uno specifico rimedio interno di impugnazione avverso l'atto lesivo del diritto umano protetto, rimedio che sia effettivo[89]. Ma se la questione può essere portata avanti alla Corte EDU anche in assenza di contestazione formale della violazione davanti alle autorità nazionali, significa che non si tratta di un onere strettamente delle parti, ma di un potere-dovere di cui il giudice comune gode secondo il principio iura novit curia, e che non ha esercitato come avrebbe dovuto per "rimediare" alla violazione.

Da ultimo, nel senso del senso della rilevabilità d'ufficio della violazione, oltre alla prevalente giurisprudenza della Cassazione e alla consolidata giurisprudenza della Corte EDU, vi sono anche significativi riscontri in dottrina[90], ed il conforto che questa è prassi normale in altri Stati membri del Consiglio d'Europa di diritto romano-germanico[91].

 

 

10. Procedendo verso le conclusioni, l'intervento sempre più pro-attivo della Corte EDU, per effetto dell"iniziativa dell"Assemblea Parlamentare del Consiglio d"Europa, di Protocolli recentemente introdotti e di una innovativa giurisprudenza pretoria (pilot judgments, principio del precedente rafforzante, sentenze non solo dichiarative ma anche precettive e, in prospettiva, rinvio pregiudiziale), ha esteso progressivamente l'efficacia della res judicata ben oltre le parti del singolo processo deciso a Strasburgo.

Queste novità, e l'immensa autorevolezza progressivamente acquisita dal giudice europeo dei diritti umani, spiegano bene la centralità del diritto della Convenzione negli ordinamenti giuridici nazionali europei, compreso il nostro, che non si coglie solo da una sua "statica" collocazione nel panorama delle fonti su di un piano rafforzato rispetto a quello della legge ordinaria.

Il giudice comune italiano, a differenza di altri ordini giudiziari di Stati europei che hanno costituzionalizzato la Convenzione, è tenuto con onestà intellettuale al tempo stesso a rispettare la via disegnata dalla Corte Costituzionale inaugurata dalle sentenze 348 e 349/2007. Pertanto, è la sola Corte EDU ad enucleare il diritto (vivente) della Convenzione ai fini di una sua applicazione da parte del giudice comune attraverso l'interpretazione conforme, ma ad un tempo il controllo di convenzionalità delle leggi italiane è centralizzato in capo alla Consulta con preclusione della loro disapplicazione da parte del giudice naturale in caso di contrasto non uniformabile in via interpretativa.

La disamina di alcuni recenti casi concreti proposti nella parte centrale della relazione suggerisce che la distanza tra i due "motori" europei dei diritti esiste nel nostro Paese, e che questo stato di cose è fonte di incertezze nella protezione giudiziale concreta da parte del giudice comune, tanto dei diritti fondamentali quanto del diritto della Convenzione. Tale stato di cose potrebbe essere una delle ragioni principali della limitata conoscenza della giurisprudenza della Corte EDU da parte degli avvocati e dei giudici comuni, che non sono incoraggiati ad individuare nelle sentenze di Strasburgo uno strumento immediatamente applicabile nella fattispecie concreta.

Questo è molto penalizzante per la giurisdizione italiana, in quanto una sentenza che pone in bilanciamento i diritti protetti dalla Convenzione come interpretati dalla Corte EDU è una sentenza più forte, davanti alla quale il giudice europeo dei diritti umani si dovrà fermare, salva l'esistenza di eccezionali ragioni. Al contrario, una pronuncia del giudice comune, anche al massimo grado di giudizio, cui "formalmente" non è sollevata la violazione della Convenzione, ma davanti al quale la questione "sostanziale" viene sottoposta, è molto più vulnerabile all'eventuale successivo scrutinio da parte dei giudici di Strasburgo.

Soprattutto, così facendo il giudice comune non concorre in modo attivo alla protezione dei diritti umani nella misura in cui avviene nei maggiori Stati d"Europa, e così rinuncia ad assicurare una più completa tutela del cittadino e, al tempo stesso, a fornire un apporto creativo all"elaborazione giurisprudenziale della Corte EDU, come ad es. da tempo avviene nel dialogo tra giudici tedeschi e giudice europeo dei diritti umani.

L'adesione dell'Unione Europea alla Convenzione EDU avrebbe forse potuto contribuire, particolarmente in Italia, a mitigare queste differenze nei rimedi tra diritto dell'UE e Convenzione, rafforzando l'uniformità della protezione sostanziale del binomio "diritti fondamentali-diritti umani" da parte del giudice comune.

Negli ultimi 30 anni, lo stesso dialogo tra le Corti del Lussemburgo, di Strasburgo e giudici nazionali si era nutrito di questa attesa, bene riassunta nel caso Bosphorus. Ora, il Parere 2/13 della CGUE, ostativo all'adesione, preclude la possibilità che le nostre attuali inadeguatezze possano trovare una soluzione esterna per intervento della CGUE. Come in fondo già anticipato dalla sentenza CGUE Kamberaj, il punto di equilibrio tra efficacia ed esecuzione del diritto della Convenzione nel nostro ordinamento giuridico non pare poter essere ricercato nel Lussemburgo. Tuttavia, questo equilibrio non è impossibile. E" nelle mani in primo luogo del giudice comune, attraverso un consapevole ricorso al rilievo d"ufficio della violazione della Convenzione, e attraverso un ricorso all"interpretazione conforme penetrante che abbia, come stella polare, l"effettiva protezione dei diritti fondamentali, attraverso l"applicazione e così esecuzione delle sentenze della Corte EDU.

E" anche praticabile allo stato, nel rispetto la giurisprudenza CGUE Kamberaj, Fransson e Siragusa, la disapplicazione, ma circoscritta alla sola area della "tutela dei diritti fondamentali nel diritto dell"Unione".

Infine, ci si può chiedere se vi siano spazi per usare il diritto della Convenzione al fine di colmare dei vuoti normativi. La risposta non è facile, in particolare nel diritto penale, dovendosi prendere attentamente in considerazione i principi di obbligatorietà dell"azione penale, tipicità e certezza.

Per il resto, non resta che auspicare un rafforzato dialogo tra Corte Costituzionale, Corti europee e giudici comuni, su basi di rinnovata mutua fiducia, senza che nessuno si senta unico custode delle stelle nella notte, e con l'obiettivo comune di fornire ciascuno con umiltà un piccolo apporto integrativo alla difesa dei diritti umani. C"è ancora spazio per migliorare.

 



[1] Cfr, ex multis, A. Ruggeri, Rapporti tra CEDU e diritto interno: Bundesverfassungsgericht e Corte costituzionale allo specchio (2011), in www.diritticomparati.it. Variegata è la collocazione della CEDU nell'ambito di ben 47 Stati membri, in cui si passa da alcuni Stati come l'Austria e i Paesi Bassi ove ha una collocazione interna di rango costituzionale, Stati ove si colloca ad un livello superiore a quello della legge ordinaria, come in Francia, Belgio, Spagna e Portogallo, e Stati come il Regno Unito, ove il rango è legislativo, per effetto del Human Rights Act del 1998, il quale ha incorporato nella Statutory Law tutti i diritti sostanziali protetti dalla Convenzione. Tuttavia, al di là della classificazione formale che spesso dipende dall'atto interno di recepimento dello strumento di diritto internazionale, è cruciale l'applicazione datane dai giudici nazionali. In Italia e Germania, ad es. per effetto della giurisprudenza della Corte Costituzionale la CEDU gode di un rango diverso da quello delle altre fonti del diritto internazionale. Cfr. L. Montanari, I diritti dell'uomo nell'area europea tra fonti internazionali e fonti interne (2002); M. Cartabia, La CEDU e l'ordinamento italiano: rapporti tra fonti, rapporti tra giurisidizioni, in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (eds), All'incrocio tra Costituzione e CEDU. Il rango delle norme della Convenzione e l'efficacia interna delle sentenze di Strasburgo (2007); H. Keller e A. Stone Sweet (eds.), A Europe of Rights: The Impact of the ECHR on National Legal Systems (2009); G. Martinico, Is the European Convention Going to Be "Supreme"? A Comparative-Constitutional Overview of ECHR and EU Law before National Courts, in The European Journal of International Law (2012), 404-7.

[2] C. Tomuschat, The Effects of the Judgments of the European Court of Human Rights According to the German Constitutional Court (2012), 521.

[3] CGUE, Simmenthal C-106/77, 9 marzo 1978.

[4] Il c.d. "Victim status" dell'Art.34 Conv..

[5] Ora espressamente codificato nel Protocollo No.16 alla Convenzione EDU, in corso di ratifica.

[6] Semplificando, l"UE è un ordinamento giuridico in primo luogo diretto a favorire la libera circolazione di beni, persone e servizi (mercato comune) con competenze estese anche alla politica estera e difesa, la CEDU è un trattato internazionale diretto a proteggere i diritti umani in Europa; il Trattato di Maastricht fondativo dell"UE è stato firmato da 28 Stati europei, la Convenzione è stata ratificata da 47 Stati Europei, corrispondenti all"intera Europa geografica con l"eccezione della Bielorussia.

[7] La Carta è stata solennemente proclamata il 7 dicembre 2010 e, in un secondo momento adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo.

[8] CGUE, parere al Consiglio UE 2/94 del marzo 1996. Da conto di questo, tra gli altri, Ilaria Anrò, Il parere 2/13 della Corte di giustizia sull'adesione dell'Unione europea alla CEDU: questo matrimonio non s'ha da fare? in www.diritticomparati.it.

[9] Non rientra tra gli scopi di questo contributo l"analisi analitica delle ragioni seguite dalla CGUE per giungere alle sue conclusioni, né dare conto esaustivo delle critiche mosse al Parere su di un piano dottrinale. Si rinvia al proposito a Eleanor Spaventa, A Very Fearful Court? The Protection of Fundamental Rights in the European Union after Opinion 2/13, in corso di pubblicazione su Maastricht Journal of European and Comparative Law.

[10] Su di un piano degli effetti, ai sensi dell'art.218 § 11 TUE in caso di parere negativo da parte della CGUE è preclusa l'entrata in vigore dell'accordo, salva la modifica dei Trattati.

[11] Si pensi ad esempio in relazione alla disciplina del sistema radio televisivo italiano, in cui la sentenza Corte EDU Centro Europa 7 S.r.l. e Di Stefano c. Italia No. 38433/09 [GC] 7 giugno 2012 è sopravvenuta dopo più sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato. In particolare, quest"ultimo giudice aveva sospeso ed effettuato un ricorso ex art.243 TCE alla CGUE (causa C-350/05) chiedendole di pronunciarsi sull"interpretazione delle previsioni normative contenute nel Trattato sulla libera prestazione di servizi e sulla concorrenza, della direttiva 2002/21/CE (direttiva "quadro"), nella direttiva 2002/20/CE (direttiva "autorizzazioni"), nella direttiva 2002/77/CE (direttiva "concorrenza"), e nell"articolo 10 della Convenzione europea dei Diritti dell"Uomo, nella parte in cui l"articolo 6 del Trattato sull"Unione europea vi faceva riferimento. Con sentenza del 31 gennaio 2008 la CGUE nel dispositivo dichiarò che i disposti normativi oggetto di rinvio pregiudiziale "(…)devono essere interpretati nel senso che essi ostano, in materia di trasmissione televisiva, ad una normativa nazionale la cui applicazione conduca a che un operatore titolare di una concessione si trovi nell'impossibilità di trasmettere in mancanza di frequenze di trasmissione assegnate sulla base di criteri obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati".

Con successiva sentenza del 31 maggio 2008, il Consiglio di Stato dichiarò che non poteva sostituirsi al Governo per assegnare le radiofrequenze, né poteva costringerlo a farlo e, con ulteriore sentenza del 20 gennaio 2009, il Consiglio di Stato ex art. 2043 del codice civile condannò il Ministero delle Telecomunicazioni a versare alla ricorrente, a titolo di risarcimento danni, € 1.041.418 per aver rilasciato una concessione a Centro Europa 7 S.r.l. senza poi assegnarle le radiofrequenze necessarie per la trasmissione. Le frequenze erano state nel frattempo occupate da diverso operatore sul mercato italiano.

[12] Corte EDU, M. & Co. c. Germania, No.13258/87, [dec.] 9 febbraio 1990.

[13] CGUE, Bosphorus, causa C- 84/95.

[14] La nozione del diritto di proprietà nel sistema della CEDU non coincide con il diritto reale assoluto della tradizione romano germanica, ed ha un nozione più ampia estesa ai diritti di credito.

[15] Corte EDU, Bosphorus Hava Yolları Turizm ve Ticaret Anonim Şirketi c. Irlanda, No. 45036/98, [GC] 30 giugno 2005, § 155, il testo ufficiale francese recita: "De l'avis de la Cour, une mesure de l'Etat prise en exécution de pareilles obligations juridiques doit être réputée justifiée dès lors qu'il est constant que l'organisation en question accorde aux droits fondamentaux (cette notion recouvrant à la fois les garanties substantielles offertes et les mécanismes censés en contrôler le respect) une protection à tout le moins équivalente à celle assurée par la Convention (M. & Co., décision précitée, p. 152, démarche à laquelle les parties et la Commission européenne souscrivent). Par « équivalente », la Cour entend « comparable » : toute exigence de protection « identique » de la part de l'organisation concernée pourrait aller à l'encontre de l'intérêt de la coopération internationale poursuivi (paragraphe 150 ci-dessus). Toutefois, un constat de « protection équivalente » de ce type ne saurait être définitif : il doit pouvoir être réexaminé à la lumière de tout changement pertinent dans la protection des droits fondamentaux.

156.  Si l'on considère que l'organisation offre semblable protection équivalente, il y a lieu de présumer qu'un Etat respecte les exigences de la Convention lorsqu'il ne fait qu'exécuter des obligations juridiques résultant de son adhésion à l'organisation.".

[16] Il testo francese della sentenza da ultimo citata recita al § 156: "Dans un tel cas, le rôle de la Convention en tant qu'« instrument constitutionnel de l'ordre public européen » dans le domaine des droits de l'homme l'emporterait sur l'intérêt de la coopération internationale (Loizidou c. Turquie (exceptions préliminaires), arrêt du 23 mars 1995, série A no 310, pp. 27-28, § 75.".

[17] Si rinvia sul punto all"interessante opinione concorrente annessa alla sentenza, espressa, tra gli altri, dal Giudice eletto nei confronti dell"Italia, Zagrebelsky.

[18] Cfr. Annual Report 2014, Provisional Version (Foreword), Strasbourg 2015: "The end of the year was also marked by the delivery on 18 December 2014 of the Court of Justice of the European Union"s (CJEU) eagerly awaited opinion on the draft agreement on the accession of the European Union to the European Convention on Human Rights. Bearing in mind that negotiations on European Union accession have been under way for more than thirty years, that accession is an obligation under the Lisbon Treaty and that all the member States along with the European institutions had already stated that they considered the draft agreement compatible with the Treaties on European Union and the Functioning of the European Union, the CJEU"s unfavourable opinion is a great disappointment. Let us not forget, however, that the principal victims will be those citizens whom this opinion (no. 2/13) deprives of the right to have acts of the European Union subjected to the same external scrutiny as regards respect for human rights as that which applies to each member State. More than ever, therefore, the onus will be on the Strasbourg Court to do what it can in cases before it to protect citizens from the negative effects of this situation.".

[19] L'art. 6 § 2 TEU dispone: "i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione Europea per i Diritti Umani e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell"Unione in quanto principi generali".

[20] "the ECHR (…) is now still binding by way of its incorporation in the general principles, but (…) will become directly binding on the EU after the Union's accession", B. De Witte, The Use of the ECHR and Convention case law by the ECJ, in P. Popelier, C. Van de Heyning and P. Van Nuffel (eds.), Human rights protection in the European legal order: The interaction between the European and the national courts (2011), 17 e ss..

[21] Così ad es. Consiglio di Stato, 2 marzo 2010 n.1220; Tar Lazio, 18 maggio 2010 n.11984.

[22] I due documenti sono quasi coevi, essendo il secondo stato firmato il 31.12.2007, entrato in vigore il 1.1.2009.

[23] Così prevede espressamente l"art.6 TUE.

[24] Cfr. Corte Cost. 7 marzo 2011 n.80: "Di conseguenza, tutti i diritti previsti dalla CEDU che trovino un «corrispondente» all"interno della Carta di Nizza dovrebbero ritenersi «tutelati (anche) a livello comunitario (rectius, europeo, stante l"abolizione della divisione in "pilastri"), quali diritti sanciti […] dal Trattato dell"Unione». Ciò avverrebbe anche per il diritto alla pubblicità delle procedure giudiziarie, che trova riconoscimento nell"art. 47 della Carta in termini identici, anche sul piano testuale, a quelli dell"art. 6 della Convenzione («ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata […] pubblicamente»).

A fronte di ciò, il giudice comune sarebbe tenuto quindi a disapplicare qualsiasi norma nazionale in contrasto con i diritti fondamentali sanciti dalla CEDU, in base al principio, fondato sull"art. 11 Cost., secondo cui «le norme di diritto comunitario sono direttamente operanti nell"ordinamento interno»".

[25] Cass. Pen., SS.UU., 7 maggio 2012 n.34472, Ercolano.

[26] La Corte Cost. ricorda con precisione poco prima del passaggio citato che: "la tutela dei diritti fondamentali nell"ambito dell"Unione europea deriva (o deriverà) da tre fonti distinte: in primo luogo, dalla Carta dei diritti fondamentali (cosiddetta Carta di Nizza), che l"Unione «riconosce» e che «ha lo stesso valore giuridico dei trattati»; in secondo luogo, dalla CEDU, come conseguenza dell"adesione ad essa dell"Unione; infine, dai «principi generali», che – secondo lo schema del previgente art. 6, paragrafo 2, del Trattato – comprendono i diritti sanciti dalla stessa CEDU e quelli risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri". Il riferimento, dunque, è a quest"ultima fonte di protezione.

[27] G. Bianco, G. Martinico, The Poisoned Chalice: An Italian view on the Kamberaj case (2013). Si tratta forse di un esempio italiano di casi in cui, per risolvere contrasti interni tra Corti, viene invocata la CGUE da parte di uno dei giudici nazionali. Sono casi tutt"altro che rari, ad. es., in Romania, dove la Corte Suprema ha di frequente orientamenti meno aperti all"interazione con l"ordinamento comunitario dei giudici di merito, spesso di formazione successiva alla c.d. caduta del muro di Berlino.

[28] CGUE, Kamberaj , C‑571/10, Grande Sezione, sentenza 24 aprile 2012, § 62.

[29] A ben vedere, la Corte Costituzionale ha a più riprese negato che il Trattato di Lisbona abbia mutamento la posizione della CEDU nel sistema delle fonti, evidenziando la differenza di ruolo tra la Corte Costituzionale e la Corte di Strasburgo: "A differenza della Corte EDU, questa Corte (…) opera una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, ed è, quindi, tenuta a quel bilanciamento, solo ad essa spettante (…)", cfr. Corte Cost. n. 80/2011. Pertanto, in ultima analisi, secondo la Consulta resta una considerevole differenza in termini di efficacia tra il diritto dell'Unione e quello della Convenzione, in quanto la CEDU è un trattato di diritto pubblico internazionale che comporta, né può comportare alcuna limitazione alla sovranità nei termini di cui all'art.11 Cost.. Cfr. O. Pollicino, The Italian Constitutional Court at the Crossroads between Constitutional Parochialism and Co-operative Constitutionalism. Judgments Nos. 348 and 349 of 22 and 24 October 2007, G. Martinico e O. Pollicino (eds.) in The Interaction between Europe's Legal Systems. Judicial Dialogue and the Creation of Supranational Laws (2012).

[30] Cfr. CGUE, Kamberaj, § 6.1. sent. ult. cit..

[31] CGUE, Fransson C-617/10, 26 febbraio 2013, § 48 e dispositivo.

[32]Cfr. CGUE, Siragusa C-206/13, 6 marzo 2014, § 35. La Corte si è dichiarata incompetente in quanto il giudice del rinvio (TAR Sicilia) non aveva dimostrato, provando l"esistenza di un collegamento sufficiente, che la legge nazionale oggetto di regolamento pregiudiziale interpretativo (l"articolo 167, comma 4, lettera A, del decreto legislativo n. 42/2004) rientrasse nell"ambito di applicazione del diritto dell"Unione o costituisse attuazione del medesimo.

[33] Cfr. G. Martinico, Is the European Convention Going to Be "Supreme"? A Comparative-Constitutional Overview of ECHR and EU Law before National Courts, in The European Journal of International Law (2012), 402.

[34] A. Wittling Vogel, The Role of the Legislative Branch in the Implementation of the Judgments of the ECHR, in A. Seibert-Fohr e M. E. Villiger (eds.), Judgments of the European Court of Human Rights – Effects and Implementation (2014), 59 e ss..

[35] La dottrina dei contro-limiti, elaborata dalla Corte Costituzionale della Germania è stata accolta anche dalla Corte EDU e da diverse Corti Costituzionali di diritto romano-germanico, incluse quelle Italiana e Spagnola. In relazione a quest"ultima, la CGUE ha affermato che tale meccanismo può essere censurato, almeno nella misura in cui venga il gioco il diritto dell"UE ed in particolare i diritti fondamentali tutelati dalla Carta dei Diritti Fondamentali, la quale a sua volta in larga misura recepisce diritti protetti dalla CEDU: CGUE, Melloni C-399/11, sentenza di Grande Camera del 26 febbraio 2013.

Cfr. anche G. De Amicis, All"incrocio tra diritti fondamentali, mandato d"arresto europeo e decisioni contumaciali: la Corte di Giustizia e il caso Melloni (2013) in www.penalecontemporaneo.it.

[36] Corte Cost., 4 aprile 2011 n.113.

[37] Corte Cost., sentenza n. 80 del 2011, già citata.

[38] L"ordinanza, al momento di scrittura di questo contributo è inedita, ma reperibile sul sito www.giustizia-aministrativa.it.

[39] Una importante differenza con le sentenze della CGUE, tradotte in linea di principio in tutte le lingue ufficiali della UE, è data dal fatto che le lingue ufficiali usate dalla Corte EDU sono solo il francese e l"inglese (Regola 34 del Regolamento di Procedura).

Nel 2012 è stata negoziata una convenzione tra la Corte EDU e il Ministero della Giustizia per inserire nella banca dati HUDOC un numero sempre crescente di traduzioni delle sentenze della Corte, redatte nelle lingue ufficiali alternative inglese e francese (congiunte in caso di sentenze di Grande Camera), in corso di attuazione. Auspicabilmente costituirà un utile strumento di accessibilità al diritto della CEDU da parte dei cittadini italiani. Questa iniziativa si affianca alla banca dati già da ora disponibile presso il CED della Corte di Cassazione, in cui sono presenti anche numerose traduzioni di sentenze della Corte di Strasburgo. Sul sito www.echr.coe.int è poi disponibile anche una traduzione in italiano, aggiornata al 2013, del Regolamento di Procedura.

[40] Legge 24 marzo 2001, n. 89, come successivamente modificata, sull"equa riparazione per irragionevole durata del processo.

[41] Corte EDU, Torreggiani c. Italia, Nos.43517/09, 46882/09, 57875/09, 61535/09, 35315/09 e 37818/10, 8 gennaio 2013.

[42] Committee on Legal Affairs and Human Rights, The effectiveness of the European Convention on Human Rights: the Brighton Declaration and beyond, p.7; rapporto doc. AS/Jur (2014) 33 adottato all'unanimità dal Comitato il 10 dicembre 2014.

[43] Infatti si tratta di una tutela strumentale non di rado ad ottenere la protezione di diritti sostanziali protetti dalla Convenzione.

[44] Cfr pag.17 del rapporto ult. cit..

[45] Tribunale di Milano, est. Cernuto, 15.10.2013 – 13.1.2014, pubblicata in Diritto Penale Contemporaneo, reperibile sul sito www.penalecontemporaneo.it.

[46] Corte EDU, S.H. e altri c. Austria No. 57813/00, [GC] 3 novembre 2011.

[47] Cfr. Corte EDU, Dickson c. Regno Unito, No.44362/04, [GC] 4 dicembre 2007, § 78.

[48] "In exercising its supervisory function, the Court"s task is not to take the place of the national courts, but rather to review, in the light of the case as a whole, whether the decisions they have taken pursuant to their power of appreciation are compatible with the provisions of the Convention relied on (see Petrenco v. Moldova, no. 20928/05, § 54, 30 March 2010; Polanco Torres and Movilla Polanco, cited above, § 41; and Petrov v. Bulgaria (dec.), no. 27103/04, 2 November 2010)", così Corte EDU, Axel Springer AG c. Germania, No.44362/04, [GC] 7 febbraio 2012, § 86.

[49] Si tratta dei diritti umani sostanziali di maggiore momento, protetti dalla Convenzione in primo luogo agli artt.8 (diritto alla vita familiare), 9 (libertà di religione), 10 (libertà di espressione), e 11 (libertà di associazione).

[50] Corte EDU, Mennesson c. Francia, No. 65192/11, 26 giugno 2014.

[51] Corte EDU, Labassee c. Francia, No. 65941/11, 26 giugno 2014.

[52] E' opportuno dare anche brevemente conto di un altro passaggio dell'articolato percorso motivazionale seguito dal Giudice: "Prescindendo da ogni valutazione critica rispetto alla correttezza o condivisibilità dell'approccio metodologico prediletto dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, preme a questo punto constatare che, a fronte della indiscutibile rilevanza assunta da simili pronunce per il tema di interesse, il legislatore interno non ha inteso prendere posizione alcuna, deferendo la soluzione di ogni connesso problema alle corti di giustizia e alla buona volontà dei singoli.

Ne discende, pertanto, che ad oggi il soggetto che ricorre a metodi di fecondazione diversi da quelli consentiti e disciplinati dalla legge nazionale non può vedersi disconoscere sic et simpliciter il proprio rapporto genitoriale, perché ciò costituirebbe una lesione intollerabile all'identità del figlio, ma al contempo non può formalmente dichiarare le circostanze in cui è nato il discendente, perché non è stata introdotta alcuna legislazione in ambito interno destinata a disciplinare simili attestazioni (quanto meno con riferimento alla linea biologica parentale) né tanto meno è stata approntata una   regolamentazione utile a definire le modalità di conservazione dei dati concernenti  i profili biologi degli ascendenti naturali, così di fatto privando i nati con simili metodi procreativi di ogni possibilità di reperire -seppur a determinate condizioni- informazioni essenziali circa la propria provenienza e origine. (…)

Non solo. L"ordinamento interno non consente neppure ai genitori che hanno fatto ricorso a simili pratiche di segnalare formalmente tale circostanza alla pubblica autorità e di chiedere contestualmente la trascrizione dell"atto di nascita formato in Paese straniero per le parti conformi alle disposizioni nazionali, non potendosi di certo alterare o scindere il complessivo contenuto del documento nelle sue diverse componenti ad uso e consumo dell"ufficiale di stato civile interno (quanto meno con riferimento all"attestazione della sola paternità biologica).

Appare allora evidente, anche all'analisi di un profano, che in un simile contesto ogni dichiarazione rilasciata dal genitore al pubblico ufficiale in merito al metodo procreativo prescelto è divenuta assolutamente inidonea a vulnerare l'interesse legalmente tutelato posto a presidio della veridicità dell'attestazione, in quanto l"atto di nascita oggetto di trascrizione non dispone più di alcuna capacità certificativa o probatoria rafforzata a definizione del legame biologico esistente  nel rapporto di parentela dichiarato (...)", Tribunale di Varese, est. Sala, 4 ottobre 2014, pubblicata in Diritto Penale Contemporaneo con nota adesiva di Tommaso Trinchera. Entrambi i documenti sono reperibili sul sito www.penalecontemporaneo.it.

[53] Cass. pen., 26 giugno 2014 n.27702, Auricchio

[54] Principi espressi da Cass. pen, Sez. U, 21 gennaio 2010 n. 18288, Beschi.

[55] L"art. 35-ter O.P. è stato introdotto dall"art. 1 d.l. 26 giugno 2014 n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014 n. 117, ed è entrato in vigore in data 28 giugno 2014.

[56] M.S. Spoleto, est. Gianfilippi, 14.10.2014, inedita.

[57] Corte Costituzionale Tedesca, Nos. 2 BvR 2333/08, Sicherungsverwahrung II, decisione del 4 maggio 2011, 128 BverfGE 326.

[58] Corte EDU, König c. Germania, No.6232/73, 28 giugno 1978, §§ 88-90.

[59] Corte EDU, Ringeisen c. Austria, No.2614/65, 16 luglio 1971, § 94; ulteriori riferimenti in P. Gori, Articolo 6 Diritto ad un equo processo-diritto ad un'udienza pubblica: selezione in materia civile (settembre 2013), in www.associazionemagistrati.it.

[60] Pubblicata su Giurisprudenza Costituzionale, reperibile sul sito www.giurcost.it.

[61] Corte EDU, Costa e Pavan c. Italia, No.54270/10, 28 agosto 2012.

[62] Antonio Ruggeri, Spunti di riflessione in tema di applicazione diretta della CEDU e di efficacia delle decisioni della Corte di Strasburgo, in www.diritticomparati.it.

[63] La previsione citata, modificata per effetto dell"entrata in vigore il 1° giugno 2010 del Protocollo n. 14 alla Convenzione, ratificato e reso esecutivo in Italia con legge 15 dicembre 2005 n. 280, al § 1 recita "Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti.". Nell'interpretazione data a questa disposizione dalla Corte Costituzionale, l'espressione "si impegnano" è un elemento testuale non superabile che esclude ogni effetto immediatamente abrogativo di norme interne sin dalla fondamentale sentenza della Corte Cost. n. 347/2007.

[64] Si tratta di un caso di grande importanza, emblematico del difficile dialogo tra Corti. La questione del personale ATA ha visto pronunciarsi la CEDU il 7.6.2011 (Nos. 43549/08, 6107/09, 5087/09 Agrati c. Italia), e la Grande Sezione della CGUE il 6 settembre 2011 (C-108/10, Scatton c. Miur), i cui giudici naturali sono stati rispettivamente per la prima il giudice del lavoro di Milano, la Corte d"Appello e la Cassazione e, per la seconda, il Tribunale di Venezia.

La Corte Costituzionale con sentenza n.311/2009 aveva ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge n.266/2005, tenuto diffusamente e specificamente conto nella sua motivazione della CEDU.

Ciò nonostante, la Corte EDU ha dichiarato all"unanimità la violazione dell"art.6 § 1 della Convenzione e dell"articolo 1 del Protocollo No.1 da parte della legge italiana n.266/2005.

La CGUE, adita in sede di rinvio pregiudiziale ha dichiarato a grande sezione nel dispositivo che: "1) La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un"altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell"ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro.

2) Quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all"applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all"anzianità lavorativa, l"art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell"anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all"atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest"ultimo. È compito del giudice del rinvio esaminare se, all"atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo."

 

[65] Tribunale di Milano, est. Cattaneo, 6 gennaio 2015.

[66] Cass. 26 giugno 2014 n.27702 Auricchio, cit..

[67] Cfr. Cons. Stato Ad. Plen. (ord.) 2.3.2015, cit…

[68] Cass. Pen., SS.UU., 19 aprile 2012 n.34472, Ercolano.

[69] D. Walton, Subsidiarity and the Brighton Declaration, in A. Seibert-Fohr e M. E. Villiger (eds.), Judgments (cit.) (2014), 200.

[70] Cfr. E. Steiner, Just Satisfaction under 41 ECHR: A Compromise in 1950 – Problematic Now, in A. Fenyves e altri (eds.), Tort Law in the Jurisprudence of the European Court of Human Rights (2011), § 1/9.

[71] Per ampi riferimenti casistici, si rinvia a Julia Laffranque, Can't Get Just Satisfaction, in A. Seibert-Fohr e M. E. Villiger (eds.), Judgments (cit.) (2014), 75 e ss.

[72] Assanidze c. Georgia, No. 71503/01, [GC] 8 aprile 2004. Si veda anche Corte EDU Del Rio Prada c. Spagna, No.42750/09, [GC] 21 ottobre 2013, in conseguenza della quale la Corte Suprema spagnola ha disposto la liberazione immediata della detenuta, condannata in sentenza passata in giudicato, senza necessità di un rinvio alla Corte Costituzionale spagnola, in quanto le sentenze della Corte EDU non solo obbligano gli Stati a provvedere all"esecuzione in conseguenza dell"obbligo internazionale derivante dalla ratifica della CEDU, ma hanno portata generale perché affermano i valori fondamentali comuni agli Stati membri. La Suprema Corte spagnola, in precedenza aveva applicato retroattivamente alla ricorrente, e a decine di altri casi analoghi di imputati per reati di terrorismo, una nuova interpretazione di legge utile ad estendere la pena detentiva.

[73] Corte EDU, Oleksandr Volkov c. Ucraine, No.21722/11, 9 gennaio 2014, punto 9 del dispositivo: "Holds that Ukraine shall secure the applicant"s reinstatement to the post of judge of the Supreme Court at the earliest possible date".

[74] Corte EDU, Fabris c. Francia, No.16574/08, [GC] 7 febbraio 2013, opinione concorrente annessa alla sentenza.

[75] Corte EDU, Iskandarov c. Russia, No.17185/05, 23 settembre 2010, § 161.

[76] Corte EDU, Broniowski c. Polonia, No. 31443/96, 22 giugno 2004 §§ 188 e ss..

[77] Il pilot judgment Torreggiani ha posto le condizioni per tentare di trovare una soluzione al problema del sovraffollamento carcerario. Da un lato ha sospeso i processi analoghi pendenti avanti alla Corte e, dall'altro, ha assegnato termine all'Italia di 12 mesi per provvedere ad "adottare un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, in conformità con i principi della Convenzione come interpretati dalla giurisprudenza della Corte". La sentenza è divenuta definitiva il 27 maggio 2013 dopo il rigetto della richiesta del Governo italiano di impugnazione straordinaria e, da allora, è decorso il termine di 12 mesi assegnato.

[78] Non si è trattato del solo rimedio adottato dal Governo in questo lasso di tempo. Ad agosto 2014, la popolazione carceraria è complessivamente scesa a 54.252 persone, rispetto ad una capienza regolamentare di 49.397 (dati pubblicati su www.giustizia.it). Il risultato è stato ottenuto attraverso misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria introdotte con il d.l. 23 dicembre 2013 n.146, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 2014, n. 10, pubblicata in G.U. del 21 febbraio 2014, n. 43. La legge delega 28 aprile 2014 n.67 ha poi previsto tra le linee guida il potenziamento della detenzione non carceraria.

Poco dopo la scadenza dei termini assegnati con la sentenza pilota Torreggiani, è stato infine adottato il nuovo art.35 ter O.P. il d.l. 26 giugno 2014 n.92. con modifiche in sede di legge di conversione, ad opera della n. 117/2014 pubblicata nella G.U. Serie Generale n.192 del 20 agosto 2014, entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione, 21.8.2014. Per una rassegna sull"applicazione del rimedio si rinvia a F. Maisto, Profili processuali dei rimedi risarcitori ai sensi dell'art. 35 ter ord pen e casistica (2015), in www.questionegiustizia.it

[79] "L'effettività dell'esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo è stata, inoltre, accresciuta sensibilmente, sul piano internazionale, dall'entrata in vigore, nel giugno 2010, del Protocollo n. 14 alla CEDU, il quale, modificando l'art. 46 della Convenzione, ha introdotto una procedura di infrazione, che «giurisdizionalizza il meccanismo di supervisione sull'attuazione delle sentenze della Corte», meccanismo certamente attivabile anche in caso di mancato rispetto di «sentenza pilota»", Cass. Pen., SS.UU., 7 maggio 2012 n.34472, Ercolano.

[80] A. Seibert-Fohr e M. E. Villiger, Current Challenges in European Multlevel Human Rights Protection, in A. Seibert-Fohr e M. E. Villiger (eds.), Judgments (cit.) (2014), 16.

[81] Corte EDU Vasilescu c. Belgio, No. 64682/12, 25 novembre 2014; attualmente vi è una domanda di rinvio alla Grande Camera pendente.

[82] Cfr. le dichiarazioni del Ministro della Giustizia del Regno Unito alla House of Commons, in merito al Parere 2/13: "(…) in ultima analisi, l'attuale situazione comporta che in molti aspetti la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo è divenuta la nostra suprema Corte Costituzionale". Nel testo originale, House of Commons, document (32123), 10817/10, intervento orale del 12 gennaio 2015: "If you cut through all of the judgment (Il parere della CGUE 2/13), you come down to a simple proposition, which is that the ECJ is unimpressed by the idea that it will become a junior court. The truth is that that is precisely what the accession to the ECHR does. Ironically, from a very different route, the ECJ have reached the same conclusion that I have about the ECHR. Now, the ECJ have reached it on the basis that they want all the power themselves; I do not agree with that bit but, at the end of the day, the current situation means that in many respects the European Court of Human Rights has become our supreme constitutional court.".

[83] M. Ruotolo, La funzione ermeneutica delle convenzioni sui diritti umani nei confronti delle disposizioni costituzionali, in Dir. Soc. (2000), 198 e ss.

[84] Per una maggiore valenza interpretativa della giurisprudenza della Corte EDU è M. Cartabia, Le sentenze "gemelle": diritti fondamentali, fonti, giudici, in Giur. Cost. (2007), 3573.

[85] "2.1 Benché non sia oggetto di specifico motivo di ricorso, si deve comunque rilevare come la vicenda esaminata rientri in quella fattispecie affrontata dalla Corte EDU nella sentenza del 5 luglio 2011, nel caso Dan vs Moldavia (…)", Cass. 26 giugno 2013 n.28061, Marchetti; cfr la stessa Cass. Pen., SS.UU., 7 maggio 2012 n.34472, Ercolano; "La sentenza, quindi, oggettivamente, pone il problema del se e in che termini abbia violato l'art. 6 della CEDU" Cass. 21 marzo 2014, 13233, Trupiano; "20.3.2. Pertanto, in presenza di una espressa indicazione in tal senso della Corte EDU, nel predetto senso, ed alla luce dei fin qui riepilogati riferimenti, non può essere condiviso il contrario orientamento che nega la rilevabilità di ufficio della questione (Sez. V, sentenza n.51396 del 20.11.2013, CED Cass. n. 257831; orientamento, peraltro, non pacifico, poiché contrastato da Sez. fer., sentenza n. 53562 dell'11 settembre 2014, Lembo ed altri, condivisibilmente orientata nel senso della doverosa rilevabilità d'ufficio)." Cass. 12 gennaio 2015 n.677, Di Vincenzo; "2.1. All'esito della delibazione dei motivi di ricorso e delle richieste avanzate dalla difesa del ricorrente, rileva il Collegio che risulta pregiudiziale l'esame della eccepita violazione del ne bis in idem. Al riguardo, non è di ostacolo alla rilevanza delle questioni la circostanza che detta violazione sia stata dedotta per la prima volta dinanzi a questa Corte". In questa declaratoria di non tardività dell"eccepito ne bis in idem, Cass. Pen. 15 gennaio 2014 n.1782, Chiarion, fa espressamente riferimento a questo presupposto per valutare gli effetti nel caso concreto della sentenza della Corte EDU, Grande Stevens c. Italia, No. 18640/10, 4 marzo 2014.

[86] Cass. Pen., SS.UU., 7 maggio 2012 n.34472, Ercolano.

[87] Corte EDU, Castells c. Spagna, No.11798/85, 23 aprile 1992, § 32:: "Accordingly, the Court considers that the applicant did invoke before the Constitutional Court, "at least in substance", the complaints relating to Article 10 (art. 10) of the Convention. The objection that Mr Castells failed to exhaust domestic remedies must therefore be dismissed."; nel medesimo senso, inammissibilità per non aver fatto valere il rimedio sostanzialmente idoneo, Corte EDU Azinas c. Cipro, No.56679/00, [GC] 28 aprile 2004 § 40-41.

[88] Corte EDU, Gäfgen c. Germania, No.22978/05, [GC] 3 giugno 2010, § 142: "While Article 35 § 1 of the Convention must be applied with some degree of flexibility and without excessive formalism, it does not require merely that applications should be made to the appropriate domestic courts and that use should be made of effective remedies designed to challenge decisions already given. It normally requires also that the complaints intended to be brought subsequently before the Court should have been made to those same courts, at least in substance and in compliance with the formal requirements and time-limits laid down in domestic law".

[89] Corte EDU, Costa e Pavan c. Italia, No. 54270/10, 28 agosto 2012, § 37.

[90] In Dottrina, si veda in particolare Roberto Conti, Contrasto tra norma interna e CEDU: fra rilevabilità ex officio e controllo diffuso di convenzionalità, in Questione Giustizia, reperibile on line su www.questionegiustizia.it.

[91] "It goes without saying that EctHR judgments should be taken into consideration by a judge also ex officio not only at the request of the parties to the procedure.", J. Chlebny, How a National Judge Implements Judgments of the Strasbourg Court, in A. Seibert-Fohr e M. E. Villiger (eds.), Judgments (cit.) (2014), 248.




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