-  Trisolino Luigi  -  17/11/2015

IL FANCIULLO CHÈ SEMPRE IN ME CONTRO IL RAZZISMO – Luigi TRISOLINO

-La pulsione alla dimensione euristica e la scoperta incessante della bellezza della verità

-Tessiamoci con la pura e fervida stoffa del bambino ch"è dentro di noi: contro il razzismo

-Mio racconto "In Italia ricco, in Sudan felice", scritto nel 2003

 

La bellezza della verità è nello stimolo al raggiungimento della stessa, e nell"appagamento propulsivo della convulsa quiete del raggiungimento di frammenti di essa, ove sia possibile un raggiungimento nel continuo divenire delle cose.

E se il mondo sembra tragico, e tragico in vari aspetti infatti è, comunque la bellezza della verità non perde di colore, s"è ben nutrita dalla linfa del coraggio condito di fortezza e connubiato alla speranza.

Propongo qui di seguito "In Italia ricco, in Sudan felice", un mio racconto, scritto nel 2003, ove penso che verità, tragedia e bellezza della vita, attraverso la potenza dell"animo umano, si adeschino, e si fondano in situazioni complesse descritte con molta semplicità, da un bambino in crescita che si sentiva vivo e realizzantesi (anche) scrivendo, come in una catarsi misteriosa nell"inesplorato esplorabile dell"essere ch"è fermo eppur scorre, incessantemente. La riflessione sul denaro, sulla sua azione nei processi formativi tipici della causalità psichica, e ancora, la riflessione sulla essenza della libertà morale interiore riflessa nei rapporti con il prossimo, con l"altro, sono i cardini che mi mossero a scrivere un breve racconto semplice in forma dialogale.

In mezzo ai tanti necessitati flussi migratori e alle tragedie del mare, in mezzo alle misantropie di matrice xenofobista e razzista, ancor oggi purtroppo presenti, risuonino le note concettuali – semplici nella forma e complesse nel proprio in-sé – del bambino ch"era in noi.

Buona lettura!

 

IN ITALIA RICCO, IN SUDAN FELICE

 

Marquic era un ragazzo sudanese di diciotto anni. La sua mamma e i suoi fratelli, le sue sorelle erano neri. Vivevano in un piccolo villaggio molto distante da Khartoum, la città più popolata e importante. Lavorava come trasportatore di pezzi presso il fiume Bahr el Jebel dal quale prendeva l"acqua per portarla alla sua povera famiglia. Non aveva un padre, o meglio, lo aveva, ma in seguito ad una grave malattia lo perse un anno prima. Il suo papà, Manni, era un grand"uomo, coraggioso, leale, gentile con tutti… Era Marquic l"uomo più grande di casa dalla morte di Manni e da allora ebbe un sacco di responsabilità in più. Aveva da pensare a sfamare la sua mamma, diventata un po" aggressiva da quando si vide vedova, però per Marquic era sempre la sua brava mamma Taila. Aveva anche da pensare a soddisfare i bisogni dei suoi fratelli Mic, Sabo, Armenio, Mimi, e ancora, delle sue sorelle Sassa, Carbona, Ganda e Falce.

Il diciottenne era molto legato alla sua famiglia, alla sua terra: questi sono valori da non sottovalutare. Anche se la sua terra fosse la più povera al mondo Marquic la amava più delle altre, perché era lì che era nato, era quello il luogo nel quale era cresciuto, si era formato, aveva conosciuto tanta gente poverissima come lui, ma che non si dannava o lamentava mai, anzi, che cercava sempre di lavorare e dare il meglio per un futuro migliore.

Anche Marquic aveva ereditato questo modo di pensare e di fare, il lavoro lo aveva nel sangue.

Ogni mattina il povero ragazzo si svegliava all"alba e raggiungeva le sponde del fiume. Ritornava a casa stanco, con le mani sporche, tutto indolenzito con un canestro pieno di squisitezze che bastava a mala pena a sfamare tutta la sua famiglia. In quelle terre non esisteva il consumismo, anzi, si prediligeva il conservare, il privarsi, il mettere da parte al consumo immediato, al voler sempre di più. In quel villaggio molta gente moriva per la fame, per le malattie… c"era una precarietà che faceva paura. Quando ci si vedeva tutti ricoperti di piaghe, quando non si vedeva più niente, quando non si poteva più camminare, né parlare… allora la gente era segnata, non tanto dal destino di morire (quello ormai era comune a tutti), ma dal sapere di non esistere più, dal sapere che già stanno preparando la fossa dove essere sepolti in pace, in eterno. Era una cosa brutta, strana. Al villaggio nel quale viveva Marquic arrivarono tanti missionari che offrivano la possibilità, agli abitanti del luogo, di poter raggiungere la bella, ricca Italia.

Allora Marquic decise di raggiungere la penisola italiana per poter guadagnare qualcosa e poi ritornare in Sudan a mantenere meglio la sua famiglia. Prendendo molto leggermente l"offerta proposta dai missionari, il ragazzo volle andare in Italia. Pensava di poter far ritorno molto presto al suo villaggio.

-        Mamma… m"hanno fatto una proposta stamane.

-        Quale proposta, figlio mio?

-        Mamma… andrò in Italia, terra di ricchezza, di lavoro tutelato da molti diritti, di…

-        E mi lasci qui, sola? Mi lasci marcire qui coi tuoi fratelli e le tue sorelle? Tuo padre è morto. Chi penserà a noi? Una volta che troverai una sistemazione in Italia non ci penserai mai più: i tuoi fratelli e le tue sorelle moriranno di fame, di sete, di solitudine. Io morirò. Tu hai il coraggio di farci questo?

-        Mamma… io ho il coraggio e la volontà di andare in Italia, di lavorare seriamente, di guadagnare tanti bei soldini e di far ritorno, spero il più presto, in questa terra. Ma ora, ti prego… lasciami partire! Aspettami! Aspetta che io ritorni da te, dai miei fratelli, dalle mie sorelle. Di tutto ciò io ho il coraggio, però, di abbandonarvi e di arricchirmi alle vostre spalle, che sarebbero anche le mie spalle, no…

-        Io lo so. Io lo so cosa fanno i soldi sulla mente dell"uomo. I soldi sono una luce oscura che accecano l"umanità più di quanto tu creda. Figlio… tu sei troppo ingenuo ancora. Forse questo tuo essere ti aiuterà a non voltarci le spalle quando vedrai nelle tue mani un bel gruzzoletto di soldi. Allora, caro mio, parti. Ma ricordati sempre di noi!

E fu così che Marquic, dopo qualche iniziale dispiacere della madre, raggiunse l"Italia con i missionari che provvidero a trovargli un piccolo e misero impiego.

-        Ma io non posso lavorare qui. Qui mi pagheranno peggio di quanto mi pagavano in Sudan.

-        In Sudan ti pagavano con qualche pezzo di pane, caro mio giovanotto. Sei ancora molto giovane. In Sudan la tua famiglia non è per niente considerata numerosa. Ci sono ragazzi più grandi di te che hanno famiglie il triplo della tua, con madri che dovranno partorire gemelli, mogli, figli, non solo fratelli e sorelle, come te.

-        Ma promettetemi che appena si libera un posto mi chiamate!

-        Vedremo cosa possiamo fare.

-        Quando ero in Sudan m"incitavate a venire in Italia. Ma in Italia non c"è lavoro nemmeno per gli Italiani. Lì c"è un uomo che sta gridando. Cosa cerca? Un lavoro?

-        Devi solo aspettare, aver tanta pazienza.

-        Voi non mi sembrate della brava gente. Voi siete o non siete missionari? Gli uomini che di solito vengono da noi a portarci cose belle sono persone buone, e si chiamano missionari.

-        Ragazzo… vuoi tornare in Sudan?

-        No. Io ho promesso a mia madre che le avrei portato tanti soldi fra un bel po".

Passarono due settimane, e Marquic non aveva ancora guadagnato un soldo bucato. Conobbe alcune persone italiane che lo fecero mangiare e bere. Dormiva anche insieme a loro. Però, in cambio di questi favori, questa gente gli chiese di unirsi al loro gruppo: erano dei delinquenti.

-        Cosa dirà tua madre se non gli porterai niente? Cosa diranno i tuoi fratelli? E le tue sorelle?

-        Cosa dovrei fare? Da dove li vado a prendere i soldi.

-        Quei missionari ti hanno detto che sono disposti a riportarti al tuo villaggio! Non ritornare ora! Adesso devi pensare solo a guadagnare tanti soldi.

-        E come faccio?

-        Non importa come. L"importanza è che tu segua sempre i nostri consigli.

-        Sono disposto a tutto pur di guadagnare qualcosa.

-        Allora dovrai andare a casa del signor Montelf a prendere tutti i soldi che trovi.

-        Mia madre mi disse che non bisogna mai rubare. Non bisogna mai usufruirsi delle cose altrui, sempre se non ci è stato dato il permesso dal legittimo proprietario.

-        Noi siamo i legittimi proprietari di quei soldi. Quel signore da strapazzo ce li ha rubati tutti.

-        Allora chiamate la polizia!

-        Zitto! Comunque so anche che tua madre ti disse di tornare a casa con tanti soldi. Non ti suggerì anche come avresti dovuto prenderli.

-        Che sai tu?

-        Ho provato ad indovinare. Io ho un certo intuito!

-        Che hai?

-        Niente.

-        Comunque ora vado!

-        Bravo. Così mi piaci!

E fu così che il povero Marquic si ritrovò ladro in casa di altra gente. Quando vide che riceveva qualche decina di euro in più, prese gusto ad andare in casa della gente a rubare. Però un giorno i suoi compagni gli chiesero di più.

-        Marquic, vai all"ufficio postale e portaci alcuni euro! Forza!

-        Basta! Con voi non posso più stare. Ho i soldi per pagarmi l"affitto di un buco di casa. Da oggi sono indipendente.

-        Come vuoi. Ma non venire più da noi quando ti servirà un centesimo. Anzi… qualche decina di euro! Oggi i soldi non bastano più. E comunque, non dirmi che te ne vai sul serio! Ci servi. Noi ti serviamo.

-        Quando vorrò finire in gattabuia verrò certamente da voi. Ma ora ho tutt"altri pensieri. Ho una famiglia da mantenere! E ho tanto da fare.

Così Marquic lasciò quel lavoro disonesto e si recò subito ai pressi di un vialone dove erano concentrati migliaia di negozi. Doveva proprio cercarsi un lavoro.

-        Buongiorno. Sono un ragazzo di diciotto anni e mi chiamo Marquic. Vengo dal Sudan. Cerco un lavoro onesto. Voi sareste disposto ad assumermi?

-        Non se ne parla nemmeno! Non ne voglio neri in casa mia.

Quanto razzismo! Quanto distacco dal mondo di Marquic e quello detto sviluppato in termini sociali, economici, non in sensibilità.

-        Come ti chiami? Io sono Giord. Vivo per strada, sotto i ponti, all"aria aperta. È uno spasso. Mi diverto sempre un mondo.

-        Io vengo dal Sudan.

-        Lo so. Ti ho sentito mentre parlavi con quel razzista. Vuoi vivere con me?

-        Mi piacerebbe molto. Mi aiuti a cercare un lavoro? Mia madre è vedova. Ho fratelli e sorelle da mantenere. Li ho lasciati a casa, nel mio villaggio.

-        Io vivo senza un lavoro, ma io non ho nessuno da mantenere. Per questo ti aiuterò. Contaci!

-        Qual è lo spazio dove dormi?

-        Potrei dormire dappertutto, ma se ci tieni a risiedere sempre allo stesso punto!

-        Beh… dovrò lavorare! Come si chiamano quegli animali. Non sono tuoi?

-        Nessuno è di qualcuno. Siamo tutti liberi. Loro non sono miei. Tu non sei mio. Io non sono di nessuno. Siamo tutti creature di Dio. Comunque li ho chiamati Simon, il cane, Key, il gatto, e Faffu, il topolino.

-        Mi hai detto che mi aiuterai a trovare un lavoro, ma come farai?

-        Ho tanti amici che cercano un operaio. Più di questo non posso farti.

-        Questo già è tanto. Pian piano riuscirò a creare qualcosa di grande e lavorerai insieme a me.

-        No. Grazie, ma sto bene così. E comunque solo la divinità può creare. L"uomo si limita a scoprire e a costruire dal creato divino. Il ferro, secondo te, da dove deriva?

-        Dai minerali. Credo!

-        E i minerali chi li ha creati?

-        Dio.

-        Vedi che ti trovi con la mia affermazione! Idea che potresti come non potresti condividere.

Così Marquic riuscì a trovare un lavoro presso un"azienda. Il suo compito era quello di sorvegliare l"edificio in orari diurni, di accudire i cani del presidente e di possedere le chiavi dell"ufficio della presidenza. Compiti estremamente leggeri e facili per il ragazzo. Il presidente non aveva figli, o meglio, ne aveva perso uno dalla bella pelle scuretta, avuto da una donna nera. Lo aveva perso per strada, durante un viaggio in Belgio. La madre di questo bambino morì per una gravissima malattia.

Marquic era l"unica persona che potesse assomigliarsi di più al figliuolo perduto.

-        Caro Marquic, tu conosci la storia di mio figlio… e vorrei farti una proposta.

-        Parlate pure signor presidente!

-        Fra tre mesi andrò in pensione, e vorrei affidare la presidenza di questa grande azienda nelle tue mani. Sei d"accordo?

-        Signor presidente… è una proposta fantastica. Grazie. Certo che accetto! Non finirò mai di ringraziarvi e di benedirvi. Grazie. Grazie di cuore!

-        Allora firma questo documento. Sei molto istruito e hai subito imparato la lingua italiana.

-        Ho imparato la lingua italiana grazie ai missionari che quasi ogni quattro mesi venivano a farmi visita in Sudan.

-        Sono fiero di te. Credo che sarai all"altezza dell"incarico, del grande incarico che ti ho proposto quest"oggi. E comunque grazie a te di aver accettato!

Quei tre mesi passarono in fretta e Marquic divenne subito il presidente dell"azienda.

Marquic propose all"amico barbone di lavorare presso la sua azienda.

-        Caro Marquic… ora che sei ricco non hai più bisogno di venire a dormire sotto i ponti con me. Caro Marquic… ora mi proponi di lavorare con te. Io non voglio lavorare. Non voglio essere schiavo dei soldi. Voglio essere libero. E comunque sei cambiato.

-        In che senso? Cosa vuoi insinuare?

-        Voglio dire che prima che ti facessi lavorare tramite quel mio amico che ti ha lasciato il suo posto di presidente nell"azienda, mi dicesti che dovevamo lavorare insieme e mi facesti capire che dovevamo essere allo stesso posto. Ora che hai tanto potere mi chiedi di lavorare presso te come un facchino. Caro mio… io non lavoro. Se avessi voluto lavorare sarei entrato nell"azienda che ora tu presiedi in un batter d"occhio.

-        Ma chi ti credi di essere, barbone da strapazzo?

-        Son barbone, son povero, o meglio, non posseggo niente, ma son felice. Tu ora sei ricco, ma la tua felicità è rimasta nelle campagne sottosviluppate del Sudan. Ricordi di avere una famiglia da mantenere?

-        Si saranno trovati un"altra persona.

-        Ma quella persona non potrà mai prendere il tuo posto. Tua madre vuole te. I tuoi fratelli, le tue sorelle ti aspettano. Poveretti! Poveretti tutti. Tu sei oppresso dai soldi. I soldi bloccano la tua corsa, la tua libertà. Io non sono invidioso di te. Anzi, mi fai pena.

-        Tieni mille euro. Ma stai zitto.

-        Ti credi di potermi comprare con quei soldi che non sono tuoi? Tieniteli. I soldi che hai in mano sono le sbarre della gabbia che il tuo cuore si è costruita per il potere che hai avuto senza far niente, dall"oggi al domani. Non dico che tu debba lasciare la presidenza dell"azienda, ma almeno che vada dalla tua famiglia a portare i soldi.

-        Lì non ci sono uffici postali per poter spedire i soldi.

-        Ma tu puoi andare.

-        Sono troppo impegnato per pensare a quei poveri incivili. Mi sporcherei in mezzo a loro.

-        No. Sono loro che si sporcherebbero a vederti in questo stato.

-        Indosso un vestito prezioso. Tu non sai quanto costa. Per te costerebbe un"eredità… per me costa niente.

-        Mi stai sporcando. Mi allontano da te, mio caro Marquic il presuntuoso, arrogante, vile… mi allontano da te, perché mi stai sporcando.

-        Vai pure. Barbone sei nato e barbone resterai se non accetti la mia proposta.

-        È colpa mia…

-        Che cosa?

-        Ti ho ridotto io in questo stato. Sono stato io l"artefice della tua rovina. Io ti sono stato vicino e ti ho fatto lavorare.

-        Veramente è stato l"ex presidente a darmi il posto di lavoro.

-        Perché l"ex presidente è amico mio. Gli dirò che sei diventato presuntuoso.

-        Di" pure a tutti ciò che ti frulla in quella testa piena di capelli. Tanto il presidente non può più tornare indietro nella sua decisione. Ormai tutta questa azienda è solo mia. Mia e basta.

Passò più di un anno e l"azienda di Marquic fruttava una meraviglia. Il giovane ventenne aveva tantissimi soldi in mano. Non aveva mai mandato un soldo bucato alla sua famiglia.

Un giorno Marquic s"accorse di non aver nemmeno un amico: i suoi operai lo odiavano e si erano licenziati da soli, perché si vedevano trattati come schiavi e non pagati… il senzatetto aveva per sempre rotto con Marquic e tutta la città dove era situata l"azienda vedeva il giovane sudanese come un ragazzo che era venuto a conquistare e a sottomettere i popoli bianchi.

-        A cosa servono i soldi se non c"è qualcuno che ha bisogno di me, se non c"è qualcuno a cui portarli? A cosa serve vivere da solo con tanti soldi che non si sono nemmeno guadagnati?

Marquic prese il coltello che gli aveva regalato la madre prima che partisse per l"Italia, era il coltello del padre del giovane sudanese, e cercò di uccidersi. Mentre, in riva ad un fiume, gridava disperato, mentre gridava addio al mondo terreno, subito accorse il suo ex amico senzatetto, con il quale aveva avuto un"acerba discussione.

-        O caro amico… sono il ricco disperato. Perché quel giorno accettai di venire in Italia? La mia mamma me lo disse, mi avvisò che qualora avessi trovato un posto sicuro dove vivere sarei diventato come tanti e tanti uomini sviluppati. Ora sono disperato. Non so come fare ad uscire da questa situazione.

-        Devi solo prendere i tuoi soldi… tutti, ritornare al tuo villaggio in Sudan, e cercare di creare un qualcosa di bello lì, che serva alla tua famiglia, ai tuoi compaesani. Questo devi fare!

-        Tu dici? Tu dici che dovrei ritornare dai miei? Non mi vorranno più. Mi odieranno, m"impiccheranno. Li ho abbandonati. Li ho traditi.

-        Il tuo posto è in Sudan, accanto alla tua famiglia, alla tua gente… persone che ti spettano con gioia, pensando, magari, a te come un re, come il loro futuro salvatore. E chissà se non staranno preparando una bella festa per il tuo ritorno.

-        Mi hai convinto! Ritorno dai miei!

-        Bravo… vai incontro alla tua felicità, alla gioia della vita. Vai incontro alle bellezze della vita, specialmente se queste faranno del bene al prossimo.

E fu così che Marquic ritornò a vivere nel suo villaggio, il luogo nel quale aveva lasciato gran parte del suo cuore dimenticato a causa dei soldi, sbarre soffocanti, purtroppo indispensabili, ma che sono talvolta un male per l"uomo che accecato, perde i suoi valori.

-        Cara mamma mia, finalmente ti riabbraccio. Sono stato meschino, bruto e accecato dai soldi in questo periodo.

-        Figlio mio, non ho mai dubitato di te. Anch"io mi sono lasciata trasportare dal tempo, e ho creduto di averti perso, ma poi i tuoi fratelli e le tue sorelle mi han fatto ritrovare quello spirito di speranza che non riuscivo più ad avere da quando morì tuo padre. Ora starai sempre con me… vero?

-        Non ci lasceremo mai. Siamo una famiglia.

-        Lo siamo stati sempre. Come è andata in Italia?

-        In Italia ero ricco, ora ho consegnato i soldi ad un"associazione che ci aiuterà…

-        Adesso non sei più ricco, figlio mio?

-        Adesso sono più ricco di prima. Adesso sono felice!

 

 

3 Aprile 2003, ore 22.13

 




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