-  Negro Antonello  -  06/06/2015

IL DANNO TANATOLOGICO – App. Palermo 364/2015 – Antonello NEGRO

Danno tanatologico

I familiari della vittima di un naufragio chiedevano il risarcimento del danno tanatologico patito dal congiunto

La Corte di Appello di Palermo ha affermato che tale danno è risarcibile purché sussista un lasso di tempo tra evento e morte e purché la vittima abbia avuto coscienza della fine imminente

Il caso deciso della Corte di Appello di Palermo riguarda il risarcimento del danno tanatologico definito, nell"allegata sentenza, quale sofferenza della vittima che assiste lucidamente allo spegnersi della propria vita.

Nella fattispecie si era verificato il naufragio di un"imbarcazione e tre persone a bordo – non tempestivamente avvertite dal capitano della nave – avevano perso la vita.

La Corte di Appello, nel confermare sul punto la pronuncia di primo grado, ha osservato che il danno tanatologico entra a far parte del patrimonio del soggetto deceduto ed è quindi trasmissibile iure hereditatis.

I presupposti per la risarcibilità di tale danno – ha proseguito l"estensore della sentenza – possono essere sintetizzati nell"accertamento di un lasso di tempo (spatium vivendi) tra evento e morte e nell"accertamento della coscienza, da parte della vittima, della fine imminente.

Correttamente la Corte di Appello ha precisato che la valutazione dell"angoscia della vittima non si deve risolvere in una pura e semplice quantificazione cronologica, ma deve basarsi sull"accertamento dell"esistenza di uno stato di coscienza della persona nel breve intervallo intercorrente tra il sinistro e la morte.

Dall"istruttoria espletata nanti il Tribunale era emerso, infatti, che le vittime avevano avuto la percezione di trovarsi in una situazione di gravissimo pericolo senza vie d"uscita.

A mio avviso il danno patito negli ultimi momenti di vita non è necessariamente soltanto morale, ben potendo sussistere una compromissione, ovviamente temporanea, della salute: l"orientamento preferibile appare essere quello che pone l'accento sul danno non patrimoniale patito dalla vittima senza una rigida misurazione del lasso di tempo tra lesione e morte con una valutazione dell"intensità della lesione, del dolore effettivamente (o presumibilmente) patito e della consapevolezza della propria tragica situazione.

Per le Sezioni Unite (Cass. 26972/2008) – rilevo infine – nel caso in cui la vittima sia sopravvissuta per un breve lasso di tempo tra l'evento lesivo e la morte, l'unico danno risarcibile è quello morale (e non il danno biologico).

Tale argomentazione non convince appieno in quanto, se vi è stata una sofferenza apprezzabile ed in qualche modo misurabile, presumibilmente la vittima avrà patito un danno biologico (per quanto peculiare e temporaneo) liquidabile equitativamente.




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