-  Redazione P&D  -  23/01/2007

GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA IN TEMA DI CONTRIBUTI - Cristiano GOBBI

La Corte di Giustizia in tema di contributi è intervenuta più volte al fine di verificarne la rilevanza ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

In ambito domestico occorre osservare come il d.p.r. 633/1972 sussuma nell’ambito dell’imposta quei corrispettivi ritratti dalla cessione di beni o dalla prestazione di servizi. Per prestazioni di servizi si intendono anche le prestazioni d’opera d’intellettuale e le obbligazioni di fare, non fare o permettere.
Ora, considerando che le cessioni di denaro si situano fuori campo IVA (art. 2, 3° co.), si rende necessario “stabilire quando un corrispettivo è, o meno, la “controprestazione” di una cessione o di una prestazione, o, comunque di un’obbligazione di “fare”, “non fare”, o di “permettere” (P. Merlo, Quando i contributi sono da assoggettare all’imposta, in Fisco, 2001, 24, 8516).

Ciò detto il negozio può avere rilevanza ai fini IVA qualora sia rilevabile tra le parti un rapporto sinallagmatico, sicchè la riscossione del contributivo si configura quale corrispettivo in denaro per l’effettuazione di una data prestazione.

Una tale ricostruzione ha sempre trovato l’avvallo della prassi. L’amministrazione finanziaria infatti con la Risoluzione ministeriale 7 aprile 1997, n. 56/E (Fisco, 18, 1997, 4903) ha tra l’altro affermato che “se i contributi percepiti rientrano in una operazione sinallagmatica, e costituiscono quindi una parte del corrispettivo pattuito, sono rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”. Nel caso di specie veniva poi affermato che gli aiuti, i contributi, i premi e le compensazioni finanziaria erogate all’ente beneficiario a sostegno dell’agricoltura non si potevano considerare prestazioni imponibili ai fini dell’IVA poiché non potevano considerarsi connesse ad alcune contro-prestazione. Il negozio insomma mancava del requisito della corrispettitività, come espressamente richiesto dall’art. 13 del d.p.r. 633/1972. Il medesimo punto di vista trovava poi espressione nella Risoluzione ministeriale 24 aprile 2001, n. 54/E.

Ciò premesso, la sesta direttiva assoggetta all’IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all’interno di un paese da un soggetto che agisce in quanto tale. L’art. 4, n. 1 della stessa direttiva considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente una delle attività economiche di cui al n. 2 di tale disposizione. La nozione di attività economica è definita all’art. 4, n. 2, nel senso di comprendere tutte le attività di produttore, di commerciante o di prestatore di servizi, e in particolare le operazioni che comportino lo sfruttamento di un bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità.

Ad un tale quadro fa tuttavia eccezione l’art. 4, n. 5, 1° co., ove viene precisato che gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazioni a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni.

L’art. 13, parte A, n. 1 prevede infine delle esenzioni per alcune attività di interesse pubblico: “Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile, frode, evasione ed abuso”. La lett. i) poi dispone che: “L’educazione dell’infanzia e della gioventù, l’insegnamento scolastico o universitario, la formazione o la riqualificazione professionale nonché le prestazioni di servizi e le forniture di beni con essi strettamente connesse compiuti da organismi di diritto pubblico, o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalità simili”.

Nel caso di contributi versati a comuni, province, altri organismi di diritto pubblico, istituti occorre verificare come indicato, i caratteri del contratto su cui si basa la prestazione contributiva. In ogni caso secondo la Corte di Giustizia 20 giugno 2002, c. C-287/00, l’esenzioni di cui all’art. 13 della sesta direttiva devono essere interpretate restrittivamente, dato che costituiscono deroghe al principio generale secondo cui l’IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso da un soggetto passivo. Ed inoltre, occorre verificare che l’oggetto del contratto sia teleologicamente orientato al raggiungimento delle finalità pubbliche caratterizzanti ogni singolo ente.

Quanto sopra deve poi essere coordinato con ulteriori sentenze della Corte di Giustizia. In questo senso la sentenza 14 settembre 2000, c. C-384/98, ha opportunamente precisato che il mero interesse generale della prestazione non giustifica di per sé l’esenzione prevista dalla sesta direttiva.

In conclusione come osservato dalla Corte di Giustizia con la sentenza 12 settembre 2000, c. C-359/97, per l’applicazione della esenzione devono essere soddisfatte due condizioni, vale a dire l’esercizio di attività da parte di un ente pubblico e l’esercizio di attività in veste di pubblica autorità.




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