-  Caporale Sabrina  -  23/03/2014

FALSA MARCATURA 'CE' SU BENI POSTI IN COMMERCIO CHE NE SIANO PRIVI E REATO – Cass. 13060/2014 – S. CAPORALE

Imputato per il reato di frode in commercio e vendita di prodotti industriali con segni mendaci, nonché di contraffazione di segni distintivi di prodotti industriali (articoli 515,517 e 473 c.p.), lo stesso veniva condannato alla pena ivi prevista, perché "in qualità di titolare di una società esercente l'attività di stoccaggio, confezionamento e stagionatura di formaggi, aveva messo in vendita prodotti caseari, utilizzando la bollatura sanitaria identificativa di uno stabilimento concorrente e detenendo il relativo marchio contraffatto".

Ebbene, proposto ricorso per Cassazione giungeva così la sentenza di seguito riportata in estratto.

«Occorre premettere – afferma la Suprema Corte - che la bollatura sanitaria, in esecuzione di Regolamenti CE, concerne gli stabilimenti che manipolano prodotti di origine animale, compresi quelli di latte e a base di latte, da immettere poi sul mercato, ed attesta la provenienza da impianti riconosciuti idonei per la commercializzazione, nell'ambito comunitario: essa, sotto tale profilo, rappresenta una validazione dei requisiti sanitari dell'alimento prodotto. [Come noto, essa] è costituita dall'impronta di un timbro ovale, nel quale sono contenute, tra l'altro, la indicazione del Paese e del numero di riconoscimento del singolo stabilimento nel quale avviene la manipolazione dell'alimento di origine animale, nonché la sigla CE; il numero di riconoscimento viene rilasciato dalla competente autorità sanitaria (Regione) e sta ad attestare la conformità dello stabilimento, ai requisiti generali e a quelli specifici contenuti negli appositi I Regolamenti (CE) ( v. in particolare il n. 852/2004 e il n. 853/2004)».

Ciò premesso, osservano gli ermellini, errato è l"addebito posto a carico dell"imputato perché non rispondente alla normativa di cui all"art. 473 cp, in materia di contraffazione di marchio. «Come, infatti, già rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. 2, Sent. n. 36228 del 19/06/2009, Rv. 245594), l'uso indebito del marchio CE non integra le ipotesi criminose di cui agli artt. 473 e 474 cp, le quali fanno riferimento al marchio, inteso come elemento (segno o logo) idoneo a distinguere il singolo prodotto industriale rispetto ad altri (art. 2569 c.c. e R.D. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1 e successive modifiche), non il marchio inteso come elemento che serve ad attestare la conformità del prodotto appartenente ad una determinata tipologia o a normative specifiche. In altri termini, la ragione di tutela del marchio consiste nella capacità di questo di distinguere un prodotto dall'altro che, come tale, giustifica il monopolio di un segno e l'esclusività dell'uso; mentre la funzione del marchio "CE" è quella di tutelare interessi pubblici come la salute e la sicurezza degli utilizzatori dei prodotti, appartenenti ad una determinata tipologia, assicurando che essi siano conformi a tutte le disposizioni comunitarie che prevedono il loro utilizzo. La marcatura CE non funge da marchio di qualità o d'origine, ma costituisce un puro marchio amministrativo, che segnala che il prodotto marcato può circolare liberamente nel mercato unico dell'UE».

Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, quanto a tale contestazione, perché il fatto non sussiste!

È principio ormai consolidato (Sez. 5, Sentenza n. 5068 del 26/10/2012) «che l'apposizione di una falsa marcatura CE su beni posti in commercio che ne siano privi, se non dà luogo, per le ragioni dette, al reato di cui all'art. 473 cod. pen., integra però il reato di frode nell'esercizio del commercio (art. 515 cod. pen.) , considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 515 cod. pen. fà riferimento al marchio come elemento che serve, appunto, ad attestare la conformità del prodotto a normative specifiche, ed è posta a tutela degli acquirenti dei beni, siano essi consumatori finali oppure commercianti intermediari nella catena distributiva. Fà analogamente notare, Sez. 3, Sentenza n. 27704 del 21/04/2010, che il detenere merce, anche presso un esercizio commerciale di distribuzione e vendita all'ingrosso, con marcatura "CE" contraffatta, rientra nella sfera di operatività della norma appena citata perchè la presenza della marcatura è finalizzata ad attestare la conformità dei prodotto a standard minimi di qualità. (…) la marcatura "CE" è stata istituita dalla normativa comunitaria in quanto, con l'apposizione della stessa, il produttore o il suo legale rappresentante dichiara che è stata certificata la conformità dei suo prodotto con i requisiti essenziali richiesti dal mercato europeo. La funzione della marcatura "CE", infatti, è quella di tutelare gli interessi pubblici della salute e sicurezza degli utilizzatoti dei prodotti, assicurando che essi siano adeguati a tutte le disposizioni comunitarie che prevedono il loro utilizzo. Detta marcatura, pur non fungendo da marchio di qualità o di origine, costituisce tuttavia un marchio amministrativo, che segnala che il prodotto marcato può circolare liberamente nel mercato unico dell'Unione Europea (vedi Cass, Sez. 2 18.9.2009, n. 36228)».

Orbene, la fattispecie in esame, atteso che la condotta accertata è stata soltanto quella della avvenuta cessione, a terzi rivenditori al dettaglio, di taluni prodotti caseari con marchio CE contraffatto ( consegna dell'aliud pro alio), e non anche quella di immagazzinamento, di altri prodotti con le stesse caratteristiche, finalizzato alla distribuzione, o quella della circolazione della merce destinata alla messa in vendita, non integra in nessun verso né gli estremi dell"art. 517 cp,, né quelli della violazione amministrativa ex art. 13 I. n. 283 del 1962. «Tale norma concernente la pubblicità ingannevole, sancisce, invero, il divieto di offrire in vendita o propagandare a mezzo della stampa ed in qualsiasi altro modo, sostanze alimentari, adottando denominazioni o nomi impropri, frasi pubblicitarie, marchi o attestati di qualità o genuinità da chiunque rilasciati, nonché disegni illustrativi tali da sorprendere la buona fede o da indurre in errore gli acquirenti circa la natura, sostanza, qualità o le proprietà nutritive delle sostanze alimentari stesse o vantando particolari azioni medicamentose. Essa, secondo una parte della giurisprudenza (Sez. 3, Sentenza n. 137 del 21/01/1997, Rv. 207771), si pone come speciale rispetto a quella di cui all'art. 517 cod. pen., poiché entrambe le norme puniscono il fatto di porre in circolazione , anche per la vendita, prodotti con denominazioni o nomi idonei ad indurre in errore il compratore sulle qualità o provenienza del prodotto, ma l'art. 13 citata legge n.283 del 1962 prevede in più, come elemento specializzante, che il prodotto offerto sia una sostanza alimentare, sicché, come norma speciale, prevale su quella di cui all'art. 517 cod. pen. in base all'art.15 stesso codice».

In vero, «proprio l"assenza, nel caso di specie, di una condotta individuabile come "messa in circolazione", diversa ed ulteriore rispetto a quella della accertata cessione dell'aliud pro alio, rende improponibile, oltre alla già evidenziata questione del concorso fra le due norme del codice penale, anche quella posta sul rapporto di specialità fra la norma penale e quella amministrativa, disciplinanti, entrambe, tal genere di comportamento».

Non può dunque che concludersi per l"annullamento della sentenza impugnata de quo.




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