-  Gasparre Annalisa  -  27/04/2015

ESTETICA: INFILTRAZIONI DI FILLER AL VOLTO SENZA IDONEO CONSENSO INFORMATO - Cass. pen. 4613/15 - A. GASPARRE

- medicina estetica

- consenso informato

- condanna per lesioni personali gravissime

L'imputato aveva sottoposto la paziente ad una seduta di infiltrazioni di un filler al volto che cagionava un'infiammazione cronica con reazione da corpo estraneo con conseguente sfregio permanente al viso. Di qui la condanna per lesioni personali gravissime date dall'assenza di idoneo consenso informato circa le possibili complicanze dell'intervento di medicina estetica.

La Corte territoriale ha sostenuto che la colpa del sanitario è consistita "nell'omissione da parte del sanitario delle doverose informazioni circa le possibili complicazioni dell'intervento, desumendone che l'obbligo di comunicazione doveva investire non solo gli effetti della pratica ma anche l'indicazione della qualità della sostanza iniettata, della quale il medico avrebbe dovuto garantire l'assoluta atossicità". In sostanza era mancato un "adeguato avvertimento sulle eventuali conseguenze del trattamento da praticare", erano inoltre mancati "accertamenti preventivi finalizzati a testare le reazioni allergiche".

 

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-01-2015) 30-01-2015, n. 4613

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -

Dott. ZOSO Liana Maria T. - Consigliere -

Dott. IANNELLO Emilio - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.S., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 3708/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 19/06/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/01/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. IANNELLO EMILIO;

udito il Procuratore Generale in persona del Dott. CEDRANGOLO Oscar, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

udito per la parte civile il difensore di fiducia Avv. FERRANDINO Luigi, del Foro di Napoli che si è associato alle conclusioni del P.G., depositando conclusioni e nota spese.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12/2/2010 il Tribunale di Napoli dichiarava V.S. colpevole del reato di lesioni personali gravissime ai danni di R.A. e lo condannava pertanto alla pena (sospesa) di mesi due di reclusione, oltre che al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede, al pagamento di una provvisionale e alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile.

Secondo l'accusa formulata nel capo d'imputazione il predetto, in assenza di idoneo consenso informato circa le possibili complicanze, aveva sottoposto la paziente a una seduta di infiltrazioni di un filler al volto che cagionava alla predetta un'infiammazione cronica con reazione da corpo estraneo, da cui esitava uno sfregio permanente al viso: fatto commesso nell'(OMISSIS).

Interposto gravame, la Corte d'appello di Napoli, con sentenza del 19/6/2013, dichiarava non doversi procedere in ordine al reato contestato, perchè estinto per prescrizione, ma confermava le statuizioni civili.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputato, per mezzo del proprio difensore, sulla base di tre motivi.

2.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al rigetto del primo motivo di appello con il quale si eccepiva la tardività della querela presentata dalla parte offesa nel dicembre 2005, a distanza di oltre tre mesi dalla piena conoscenza del fatto-reato, acquisita, secondo l'odierno ricorrente, già nel (OMISSIS), quando fu effettuato il prelievo sulla parte infiammata presso l'ospedale (OMISSIS).

Premesso che già in quella data, all'esito di tali esami, la R. apprese direttamente dai sanitari che la crisi allergico- infiammatoria era conseguente all'effettuata infiltrazione, essendo anche evidenziata nel referto istologico la presenza di un granuloma da corpo estraneo, e che pertanto già allora la predetta era a conoscenza del fatto esattamente come descritto, nelle sue componenti oggettive e soggettive, nel capo d'imputazione; ciò premesso, rileva il ricorrente che illogicamente i giudici d'appello, a supporto della decisione negativa sul punto, hanno attribuito rilievo agli accertamenti successivamente eseguiti, su richiesta della stessa parte offesa, presso l'Università degli Studi di (OMISSIS), Dipartimento di ingegneria dei materiali e della produzione, allo scopo di individuare esattamente la tipologia del materiale impiegato nell'intervento, trattandosi di aspetto ulteriore e diverso rispetto agli elementi contestati nel capo d'imputazione e che, peraltro, non ha avuto alcun rilievo ai fini della condanna, essendo stato ritenuto inattendibile e, comunque, irrilevante, dal giudice di primo grado, l'esito di quegli accertamenti.

Rimarca che sul punto il Tribunale era peraltro incorso in errore nella ricostruzione cronologica degli aspetti salienti, collocando nell'(OMISSIS) la conoscenza degli esiti dell'esame istologico disposto dai sanitari dell'ospedale (OMISSIS), laddove tali esiti, come desumibile dalla querela e dal referto in atti, erano stati resi noti già in data (OMISSIS).

2.2. Con il secondo motivo deduce inosservanza delle norme processuali di cui all'art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), per non avere il giudice di primo grado detto nulla sulle prove documentali prodotte dall'imputato e per aver fatto riferimento solo ad alcune delle circostanze riferite dai testi D. e D.S., omettendo di motivare su quanto riferito dalla prima circa le informazioni offerte dall'imputato alla persona offesa in ordine al trattamento estetico cui stava per sottoporsi, nonchè sulla correttezza di tali informazioni, confermata peraltro dal perito.

Lamenta inoltre che il Tribunale ha omesso di motivare in ordine alla tesi difensiva con cui si deduceva la imprevedibilità e eccezionalità della reazione allergica patita dalla R., nonchè sulla pure dedotta non conoscenza della nocività del prodotto applicato all'epoca in cui fu effettuato il trattamento estetico.

2.3. Con il terzo motivo deduce, infine, vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena, avendo omesso il primo giudice di illustrare compiutamente il calcolo attraverso il quale è pervenuto alla pena finale.

Motivi della decisione

3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e, comunque, inammissibile per difetto di specificità e del requisito di autosufficienza.

Le censure svolte dal ricorrente in ordine al rigetto della preliminare eccezione di tardività della querela non si misurano con il reale contenuto delle motivazioni addotte nella sentenza impugnata e con tutte le alternative ragioni che supportano la decisione sul punto da parte della Corte territoriale.

Occorre anzitutto rilevare, invero, che diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale attribuisce rilievo agli esiti delle analisi condotte presso il Dipartimento di ingegneria dei materiali e produzioni dell'Università di (OMISSIS), ritenendo sulla scorta di essi che effettivamente la sostanza impegnata nell'intervento fosse ascrivibile alla tipologia del silicone e non dell'Alcamid, come indicato al momento dell'intervento. La Corte inoltre ha attribuito, a tale emergenza, specifico rilievo anche ai fini dell'addebito di responsabilità, ponendola in correlazione con il capo di imputazione. Ha osservato, infatti, che quest'ultimo enuclea il profilo di colpa nell'omissione da parte del sanitario delle doverose informazioni circa le possibili complicazioni dell'intervento, desumendone che l'obbligo di comunicazione doveva investire non solo gli effetti della pratica ma anche l'indicazione della qualità della sostanza iniettata, della quale il medico avrebbe dovuto garantire l'assoluta atossicità.

In sentenza, comunque, non si fa riferimento soltanto al rilievo che gli accertamenti effettuati nell'ottobre 2005 avrebbero assunto ai fini di una compiuta rappresentazione del fatto da parte della persona offesa, osservandosi infatti, alla stregua di una argomentazione aggiuntiva e per così dire di chiusura, altresì che l'interessato non ha comunque fornito "la prova rigorosa della mancata conoscenza del fatto tipico da parte della titolare del diritto di querela".

A tale rilievo il ricorrente si limita a contrapporre la tesi secondo cui in realtà tale conoscenza sarebbe da ritenersi coeva all'acquisizione degli esiti dell'esame istologico prescritto dai sanitari l'ospedale (OMISSIS) il (OMISSIS), ma omette di indicare le fonti di prova da cui tale circostanza dovrebbe emergere e comunque di allegarle al ricorso in violazione del requisito di autosufficienza.

4. Il secondo motivo è infondato.

La Corte d'appello giustifica, infatti, adeguatamente il proprio convincimento, conforme sul punto a quello del giudice di primo grado, circa la mancanza di un adeguato avvertimento sulle eventuali conseguenze del trattamento da praticare, evidenziando anzitutto l'assenza della necessaria formalizzazione del consenso e facendo comunque riferimento alle dichiarazioni in tal senso della stessa parte offesa, che la Corte rileva non potersi ritenere contraddette da elementi di segno contrario e segnatamente dal contenuto della brochure di presentazione del prodotto.

Attribuisce inoltre rilievo alla assenza di accertamenti preventivi finalizzati a testare le reazioni allergiche e alla non contestata circostanza che l'iniezione è stata praticata in un centro estetico che, benchè autorizzato, per definizione non può essere destinato a trattamenti invasivi.

A fronte di un tale impianto motivazionale il ricorrente si limita a lamentare genericamente una omessa valutazione di elementi di prova senza illustrarne, se non in minima parte, il contenuto, nè soprattutto le ragioni per cui dovrebbero questi valere a disarticolare il ragionamento seguito dai giudici di merito, finendo così con il prospettare una mera opposta valutazione delle emergenze processuali in termini sostanzialmente apodittici, inidonei a disvelare evidenti carenze o illogicità del percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale.

L'unico specifico riferimento contenuto in ricorso, riguardante un'affermazione della teste D., secondo cui la paziente "ha visto delle brochure, si parlava con altri clienti" - a prescindere dall'assorbente rilievo di non autosufficienza del motivo, in mancanza dell'allegazione del verbale ove è trascritta la richiamata deposizione - con ogni evidenza non presenta un contenuto tale da potersi definire decisivo nel senso di prospettare circostanze idonee di per sè a contrastare radicalmente la validità logica della complessiva valutazione espressa dai giudici di merito, tanto più che l'esistenza della brochure è espressamente considerata nella sentenza impugnata e ragionevolmente ritenuta priva di rilevanza alcuna.

Giova al riguardo rammentare che compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Pertanto, "la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto" (cfr. Sez. 2^, n. 18163 dei 6/5/2008, Ferdico, Rv. 239789). Di contro, "solo esaminando il compendio probatorio nel suo complesso, all'interno del quale ogni elemento è stato contestualizzato è possibile verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini" della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione.

La mera prospettazione, dunque, di una diversa valutazione, più favorevole ai ricorrenti, delle emergenze processuali non costituisce vizio che comporti controllo di legittimità (Sez. 5^, n. 7569 del 11/6/1999, Jovino, Rv. 213638). Resta perciò esclusa la possibilità di sindacare le scelte che il giudice ha operato sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche (cfr. Sez. 3^, n. 40542 del 6/11/2007, Marrazzo e altro, Rv. 238016), cosa che nel caso in esame non è consentito ritenere.

Inconferente è infine il riferimento alla imprevedibilità ed eccezionalità della reazione allergica al prodotto Bioalcamid, considerato che nella sentenza impugnata, come detto, viene acclarato e indicato come specifico motivo di addebito l'impiego di sostanza diversa e notoriamente altamente pericolosa, quale il silicone.

5. Il terzo motivo è infine palesemente inammissibile per evidente difetto di interesse.

La Corte d'appello, infatti, con la sentenza impugnata, in riforma della sentenza di primo grado (cui con ogni probabilità si riferisce ancora la doglianza in esame, per un probabile refuso nella redazione del ricorso), ha - come detto -dichiarato estinto il reato per prescrizione.

Nessuna sanzione penale pertanto risulta irrogata nei confronti dell'imputato, di cui lo stesso abbia ragione di dolersi con il motivo in esame.

6. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali, oltre che alla rifusione delle spese in favore della parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2015.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2015




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