-  Campagnoli Maria Cristina  -  30/03/2013

EMOTRASFUSIONE INFETTA: INDENNIZZO E LEGITIMATIO PASSIVA AD CAUSAM - App. Torino 11.3.13 - M. Cristina CAMPAGNOLI

L'Autrice, Collega del Foro di Lodi, torna ad occuparsi di responsabilità della struttura sanitaria come con il contributo inserito sulla nostra Rivista online il 30 gennaio 2013, stesso lemma, sottovoce 'nascita indesiderata', ma stavolta il tema è quello della responsabilità connessa all'uso del sangue umano per scopo terapeutico; il metodo utilizzato è quello dell'analisi concettuale degli argomenti e delle soluzioni fornite dalla giurisprudenza di Cassazione e di merito; buona lettura e ...Buona Pasqua a tutti i graditi visitatori di P&D. (Paolo M. STORANI)

CORTE D"APPELLO DI TORINO, SEZ. III, 11 MARZO 2013, N. 358

EMOTRASFUSIONE INFETTA: INDENNIZZO E LEGITIMATIO PASSIVA AD CAUSAM (Maria Cristina Campagnoli)

Il fatto – Con atto di citazione ritualmente notificato Caia, vedova di Sempronio, evocava in giudizio il Ministero della salute, la Gestione Liquidatoria della soppressa USSL 34 di Orbassano nonché l"Azienda Ospedaliera San Luigi di Orbassano e la Regione Piemonte chiedendone, iure hereditatis, la solidale condanna al risarcimento del danno subito dal proprio congiunto in conseguenza dell"infezione da epatite C e B da quest"ultimo contratta durante il ricovero presso la predetta struttura ospedaliera. Diversamente dagli altri convenuti, che provvidero a costituirsi contestando gli assunti, l"azienda sanitaria – viceversa – decideva di rimanere contumace. La Regione, inoltre non esitò a chiamare in giudizio le proprie Compagnie di Assicurazione onde essere manlevata nell"ipotesi di soccombenza. Poiché documentale, il giudice designato tratteneva la controversia in decisione, ritenendo prescritto il diritto attoreo e dichiarando il difetto di legittimazione passiva delle convenute Gestione Liquidatoria e Azienda Sanitaria, rigettando – altresì – le domande proposte contro l"Amministrazione della salute e la Regione Piemonte. Avverso detto provvedimento giudiziale l"attrice proponeva appello, contestando la ritenuta esclusione della legittimazione passiva di due degli enti convenuti nonché la pronuncia in tema di prescrizione; riproponeva, quindi, le domande originarie. La causa veniva ulteriormente istruita mediante espletamento di una CTU medico-legale sulle circostanze dell"avvenuto contagio, sulle sue conseguenze e sulla riferibilità del decesso al contagio stesso.

Il nesso causale fra condotta e danno – Seguendo il prevalente orientamento giurisprudenziale formatosi in materia, nel 2008 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sentenza 11 novembre 2008, n. 26974) non ha mancato di aderire alla nota teoria della causalità adeguata o regolarità causale, secondo cui la responsabilità non si estende ai danni che, rispetto al comportamento del danneggiante, non potevano essere previsti come regolare svolgimento causale in base ad un giudizio da compiersi ex ante. Le stesse Sezioni Unite hanno, poi, osservato come non rilevi la circostanza che l"evento sia prevedibile da parte dell"agente, bensì che ciò risulti in base a "regole statistiche e/o scientifiche", chiarendo, inoltre, che il parametro da applicare é quello delle migliori condizioni del momento. Va da sé, comunque, che le considerazioni svolte sull"accertamento del nesso causale sono applicabili a tutte le condotte umane, siano esse di tipo commissivo che di tipo omissivo. Per queste ultime, vale sempre il criterio probabilistico, sebbene possa essere più difficoltoso spiegare se ed in che termini l"omissione di una condotta abbia prodotto un determinato evento. Non va, poi, dimenticato che pure la concomitanza di cause e fattori imprevedibili in cui il paziente si trova già diventa molto frequente e, spesso, giunge a configurarsi in modo tale da rompere il nesso di causalità fra la condotta del sanitario e l"evento pregiudizievole.

Danno da emotrasfusione e diritto al risarcimento – Anteposto quanto sopra, e dando per pacifico che tra la emotrasfusione ed il contagio del paziente sia intercorso un nesso di causalità tale per cui il fatto dannoso risulta inequivocabilmente generato dalla trasfusione medesima, é – in ogni caso – doveroso esaminare i rimedi esperibili nonché la tipologia di "errore" risarcibile; colui che in seguito ad emotrasfusione contragga un virus ha, infatti, a disposizione diversi rimedi per vedere soddisfatte le proprie pretese risarcitorie. In primo luogo e, senza che sussista dubbio alcuno, potrà essere fatta valere tanto la responsabilità contrattuale, quanto quella extracontrattuale del medico e della struttura presso la quale é stata effettuata la somministrazione di sangue; ciò in quanto l"insorgere della malattia costituisce una menomazione del bene salute costituzionalmente garantito con conseguente danno biologico a prescindere dalla capacità lavorativa dell"individuo. Tuttavia e, non potendo negare che la scoperta di avere una malattia grave ed invalidante (specie nei rapporti sociali) come l"epatite B e/o C , getti moralmente nello sconforto la persona malata, é impossibile negare il ristoro del cd. "danno morale", unanimemente ricondotto in giurisprudenza alla "sofferenza psichica transuente". Ulteriore rimedio consentito ed esperibile dal danneggiato per emotrasfusione é, inoltre, la richiesta di indennizzo ai sensi della legge 25.02.1992, n. 210, i cui destinatari sono coloro che a seguito di vaccinazione (obbligatoria per legge o per autorità) abbiano subito contagio tale da arrecare loro lesioni od infermità dalle quali sia derivata menomazione permanente all"integrità psico-fisica. Codesto indennizzo spetta, altresì, anche a chi venga contagiato da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e di suoi derivati, nonché in favore degli operatori sanitari che abbiano riportato un contagio in occasione e durante il servizio e, ad ogni modo, a beneficio di coloro che abbiano riportato danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali. Non va, poi, dimenticato che ai sensi dell"art. 2, comma 4 della precitata legge, l"ambito applicativo si amplia sino a ricomprendere chi, pur non essendo stato vaccinato, abbia subito un contagio in conseguenza del contatto con il soggetto sottopostosi a vaccinazione. La natura dell"assegno corrisposto é indennitaria e decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda. Se, invece, dal contagio dovesse derivare la morte della persona, all"assegno si sostituisce un indennizzo una tantum in favore (nell"ordine) del coniuge, dei figli minori, dei figli maggiorenni inabili al lavoro, dei fratelli minori nonché dei fratelli maggiorenni inabili al lavoro. Qualora – poi – la persona deceduta sia di età minore, l"indennizzo spetterà ai genitori o a chi esercita la potestà parentale. Ciò che preme, tuttavia, rilevare al riguardo é che l"indennità suddetta avendo – appunto - natura indennitaria, può – comunque – essere cumulata con il risarcimento dell"ulteriore danno patito dal contagiato che, al contrario, mira a garantire un effettivo ristoro di tutti i disagi sofferti.

Le tipologie di responsabilità invocabili - Al di là degli assunti posti alla base della sentenza in esame, si ritiene che la radicata azione risarcitoria ben avrebbe potuto essere diretta anche nei confronti del Ministero della Salute, la responsabilità del quale trova, peraltro, fondamento in una pluralità di fonti normative. In particolare e, con riferimento al tipo di responsabilità, non può essere dimenticato come, in passato, vi é stato chi ha ritenuto che codesto Ente dovesse rispondere dei danni derivati da trasfusione ai sensi degli artt. 2049 e 2050 c.c. per fatto dei propri ausiliari e/o quale esercente un"attività pericolosa (così, per esempio, Tribunale di Roma, 27 novembre 1998). Ciò nonostante, detta conclusione é stata vivacemente criticata da dottrina e giurisprudenza, al punto che la Corte di Cassazione (Sezioni Unite, sentenza 11 gennaio 2008, n. 581) non ha mancato di intervenire sgombrando il campo da ogni possibile dubbio e rilevando che l"unica responsabilità ascrivibile al Ministero é quella extracontrattuale (art. 2043 c.c.) per violazione del principio del neminem laedere. In estrema sintesi, dunque, il Supremo Consiglio ha escluso che la responsabilità del Ministero potesse essere ricondotta all"esercizio di un"attività pericolosa, considerato che – lo stesso – esercita un"attività di semplice controllo.

I termini del dibattito giurisprudenziale – Ad ogni buon conto, non é mancata occasione di evidenziare che chi lamenta un pregiudizio scaturente dalla trasmissione di patologie realizzatesi attraverso la trasfusione di sangue o l"assunzione di emoderivati può agire, in via risarcitoria, nei confronti di tre categorie di soggetti. Nello specifico, allorquando la necessità di sottoporsi alla trasfusione sia stata determinata per fatto illecito di un terzo, costante giurisprudenza riconosce la possibilità che, quest"ultimo, sia chiamato a rispondere anche dei danni da sangue infetto in virtù di una rigida applicazione della teoria della conditio sine qua non, in forza della quale deve essere considerata "causa" di un determinato evento qualunque circostanza che lo abbia provocato, ancorché in concorso con altre situazioni da essa indipendenti. Diversamente, qualora risulti possibile accertare, con sufficiente precisione, che sul sangue trasfuso non sono stati effettuati i controlli normativamente previsti, o che, comunque, si sia verificata una negligenza nella vigilanza dell"autorità ospedaliera, costei ed il medico che materialmente ha "realizzato" il trattamento possono essere chiamati a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale. Da ultimo e, con riferimento alla responsabilità del Ministero della Salute, si é, invece, giunti alla conclusione per cui la responsabilità di detto Ente sia fondata sui comportamenti costituiti dall"omessa vigilanza.

Mancata esecuzione dei controlli prescritti e responsabilità medica per patologia non conoscibile – Anteposte le argomentazioni di cui sopra, va da sé che quando l"azione risarcitoria é esercitata nei confronti del medico e della struttura ospedaliera la necessità di ancorare la responsabilità alle sole malattie già conoscibili al momento della trasfusione sembrerebbe, invece, obbligata: patologie all"epoca del contagio ignote o non riconoscibili usando i mezzi prescritti dalla legge non parrebbero giustificare l"imputazione al professionista od all"ente ospedaliero dei pregiudizi conseguenti alla loro trasmissione, rappresentando fatti inevitabili ed imprevedibili idonei – per il combinato disposto ex artt. 1176, comma 2 e 2236 c.c. – ad esonerare dall"obbligo di "ristoro" lì dove il "debitore" dimostri di aver diligentemente svolto tutti i controlli previsti (cfr., Tribunale di Milano, 25 gennaio 2008; Cass. Civ., 01 dicembre 2009, n. 25277).                                          




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