-  Redazione P&D  -  03/11/2015

DECRETO LEGGE 83/2015: INCIDENZA SULLESPROPRIAZIONE PRESSO TERZI – Luca LEIDI

INTRODUZIONE

Circa otto mesi dopo la "rivoluzione" al mondo delle espropriazioni presso terzi determinata dalla Legge n.162/2014, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile, interviene una nuova modifica agli articoli del codice di procedura civile ad esso dedicati. Il 21 agosto 2015 è entrata in vigore la Legge n.132/2015, promulgata il 6 agosto dello stesso anno, che ha convertito in legge, con modificazioni, il Decreto Legge 27 giugno 2015, n. 83, c.d. "Decreto Giustizia per la crescita" o, per gli amanti della lingua anglofona, "Anti Credit Crunch", recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria. Tale Legge, pubblicata in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.192 del 20-8-2015 - Suppl. Ordinario n. 50, ha introdotto rilevanti modifiche, per quanto rileva l"oggetto della presente trattazione, in tema di atto di precetto e pignoramento di pensioni e stipendi, andando a modificare gli artt.480, 545 e 546 del codice di procedura civile. Lo studio del presente elaborato rivolge l"attenzione all"art.13 del D.L.n.83/2015.

 

ATTO DI PRECETTO

All"art.480 c.p.c., dedicato all"atto di precetto, è stata aggiunta un nuovo comma, introducendo l'obbligo di avvertire per iscritto il debitore della possibilità di concludere con i creditori un accordo di composizione della crisi o un piano del consumatore ai sensi della legge 27 gennaio 2012 n.3 (c.d. saldo e stralcio e/o di rateizzazione del debito o dei pagamenti) con l'ausilio di un organismo di composizione della crisi o con l'aiuto di un professionista nominato dal giudice, al fine di porre rimedio alla sua situazione  di  sovraindebitamento ed evitando, dunque, l"aggravio di spese dovuto alla conclusione del procedimento di esecuzione . Per cui, il codice pone al creditore un"ulteriore adempimento formale: inserire nell"atto di precetto una dicitura che abbia lo scopo di informare il debitore della possibilità di rivolgersi ad un organismo/professionista qualificato per trovare un accordo con il creditore volto alla definizione bonaria della crisi. Agli occhi del giurista, tale novità desta dubbi almeno su due questioni:

1) se il debitore aveva la possibilità di chiudere la crisi con il creditore, perché ha atteso il precetto? Soprattutto, dovendo il debitore rivolgersi ad un professionista, si suppone a titolo oneroso, la procedura sarà "economicamente conveniente"?;

2) quale incidenza ha la decisione del debitore di comporre la crisi sul termine di 10 giorni per iniziare l"esecuzione forzata (così come stabilito dal primo comma del medesimo articolo)? Tale termine si dilata, si sospende, o continua comunque a decorrere?

In merito all"ultimo quesito, la risposta da dare parrebbe negativa, non prevedendo la legge nessun tipo di allungamento o sospensione, tale per cui l"esecuzione forzata potrà validamente essere intrapresa dal creditore decorsi i 10 giorni (sempre che quest"ultimo, dinanzi ad una proposta seria del debitore, voglia comunque sostenere i costi della procedura espropriativa). Stesso problema può manifestarsi con il termine di 90 giorni, scaduti i quali il precetto perde la sua efficacia. E" possibile ottenere un pagamento entro tale termine?

Come si può denotare da queste prime battute, la novità introdotta in tema di atto di precetto può lasciare dubbiosi su più fronti. In aggiunta a quelli sopra evidenziati, altre zone d"ombre aleggiano in merito al modo in cui possa essere ricomposta la posizione debitoria (rateizzazione e/o riduzione della somma) ed alla conservazione del titolo esecutivo originario. Ed ancora: non volendo disconoscere l"utile portata della ratio del nuovo terzo comma dell"art.480 c.p.c., volta a privilegiare il principio dell"economia processuale ed a favorire la mediazione tra le parti, ci si dovrebbe porre il problema delle conseguenze giuridiche di una eventuale omissione di tale avvertimento. Il precetto è annullabile o inefficace? (Si deve escludere in principio qualunque ipotesi di nullità – si veda Cass.6230/1986). E" il classico obbligo di adempimento formale, tuttavia, privo di una sanzione (quantomeno "certa"). A tal riguardo, parte della dottrina sostiene che l"omissione al possibile esercizio della facoltà di "conciliare" sarà rivendicabile dal debitore precettato con il rimedio dell"opposizione agli atti esecutivi ex art.167 c.p.c., ma la soluzione prospettata non convince del tutto. Quasi certamente, queste perplessità saranno sopite in sede giurisprudenziale, con un intervento sostitutivo della Magistratura che potrà probabilmente chiarire quali siano le conseguenze dell"omesso avvertimento.

 

PENSIONI ED INDENNITÀ EQUIVALENTI

. Il Legislatore, preso atto degli effetti gravissimi della crisi, ha introdotto delle rilevanti novità anche al pignoramento delle pensioni e degli stipendi. Sulla scia giurisprudenziale (si veda Cass. Civ.18755/2013 sul c.d. "minimo vitale"), l"art.13 del D.L.83/2015 ha introdotto un nuovo settimo comma all"art.545 c.p.c.: "Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge.", ovvero nei limiti di 1/5. Teoricamente la differenza con il regime previgente è questa: alle procedure iniziate prima dell"entrata in vigore di tale Decreto, il creditore che, per soddisfare il proprio credito, avesse deciso di pignorare la pensione (o lo stipendio) con atto notificato direttamente al datore di lavoro o all"ente di previdenza, poteva farlo – giova ribadire, ipoteticamente – nei limiti del quinto dell"importo complessivo. Si è detto che la differenza è solo teorica, poiché dopo la riforma si è codificata una prassi già fatta propria dalla giurisprudenza. Infatti, oggi le somme dovute non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell"assegno sociale, aumentato della metà. Solo la parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti del quinto. In altre parole: è possibile vedersi assegnare, nei limiti di 1/5, esclusivamente la somma che eccede la misura dell"assegno sociale aumentata della metà. Posto che per il 2015 l"assegno sociale è pari ad € 448,51 mensili, il pignoramento può riguardare solo l"eccedenza rispetto ad € 672,76 e solo per 1/5 dell"importo. A contrario, la pensione che non raggiunge questa soglia non può essere pignorata. Si è detto che tale riforma trae origine dalla prassi giurisprudenziale, pur non univoca nella determinazione dell"ammontare.[1] Già da tempo, di fatto, si è constatata nei vari Tribunali italiani la consuetudine per cui i Giudici dell"Esecuzione avevano introdotto un limite minimo alla pignorabilità della pensione al fine di garantire un minimo di sussistenza al debitore. La Cass. sopra citata (n.18755/13) aveva stabilito che "ai sensi dell'art. 128 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, nella legge 6 aprile 1936, n. 1155, e degli artt. 1 e 2, primo comma, del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, quali risultanti a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 506 del 2002, è assolutamente impignorabile, con le eccezioni previste dalla legge per i crediti qualificati, la parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato i mezzi adeguati alle esigenze di vita (c.d. "minimo vitale"), mentre è pignorabile nei soli limiti del quinto - ex art. 545, quarto comma, cod. proc. civ. - la parte residua".  L"importo ritenuto come "minimo vitale" per la sopravvivenza dell"individuo fu fissato ad € 525,89 e decretato impignorabile, con conseguente pignorabilità delle somme eccedenti tale somma nella misura di 1/5. Tale fictio iuris si è resa necessaria al fine di non andare a ledere una somma, per sua natura, adibita al sostentamento della persona. Giova ripetere che con riferimento al limite vita, l"I.N.P.S. ha previsto che, per tutto il 2015, sarà pari ad € 448,52 per tredici mensilità (€ 5.830,76 annui).

 

STIPENDI (O ALTRE INDENNITÀ DERIVANTI DA RAPPORTO DI LAVORO) ACCREDITATI SU C/C

Non si esimono dalle modifiche portate dal D.L.83/15 neanche i pignoramenti di somme dovute a titolo di stipendio, salario, e le altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, a titolo di pensione o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore. Il rinnovato art.545 c.p.c. stabilisce un regime diverso rispetto alla data di accredito:

A)   se l"accredito in banca è avvenuto prima del pignoramento, le somme possono essere pignorate per l"importo che eccede il triplo dell"assegno sociale (quindi pignorabile la somma che ecceda € 1.345,53);

B)   se l"accredito in banca ha data uguale o posteriore rispetto a quella del pignoramento, le predette somme possono essere pignorate entro i limiti stabiliti dalla legge, dal giudice e, in ogni caso, mai oltre il quinto.

Se il pignoramento viene eseguito su somme maggiori rispetto a quelle stabilite dal novellato art.545 c.p.c., o comunque da speciali disposizioni di legge, è considerato parzialmente inefficace (rilevabile anche d"ufficio dal Giudice). Ciò significa che resterà valido il pignoramento effettuato entro la soglia ex lege, mentre per quanto concerne la parte eccedente si dovrà considerare come se non fosse mai avvenuto e, conseguentemente, il debitore potrà tornare immediatamente nella disponibilità delle proprie somme.

4.   Considerazioni

Si deve ritenere fin da subito che questa nuova legge faccia parte del medesimo iter logico iniziato con la riforma del dicembre 2014, volto alla predisposizione di una strada alternativa alla risoluzione della lite, che prevenga il ricorso alla giurisdizione, con la conseguente possibilità di permettere alla amministrazione della giustizia di concentrare le forze sull"esistente, ancor più agevolato da ulteriori misure intese ad introdurre efficienza e celerità nel processo di esecuzione e nel procedimento esecutivo (T.Puntillo, Processo civile. Misure urgenti: Legge 10 novembre 2014, n.162, Cendon Book, Key editore, pp.9 e ss.). Come si evince dal parere della Camera dei Deputati all"atto di enunciazione degli obiettivi della legge del 2015, infatti, è da ritenere che tale novella vada iscritta nel novero delle iniziate finalizzate a render più agevole e fruttuoso il contatto tra gli operatori economici ed il sistema giudiziario nel suo complesso. Il D.L.83/2015 ha come obiettivo quello di operare uno snellimento della fase esecutiva del processo e, in generale, di apprestare delle tutele al debitore pignorato al fine di garantirne l"incolumità economica, introducendo importanti novità in materia di esecuzione civile, ispirate, nel loro complesso, all"obiettivo di rafforzare i meccanismi di soddisfacimento della pretesa creditoria, cui fanno da contraltare, quali misure volte a contenere gli effetti della crisi economica nei confronti dei debitori, l"introduzione di limiti alla possibilità  di pignoramento di pensioni e stipendi e la possibilità, per il debitore, di accedere a meccanismi  di composizione della crisi da sovraindebitamento o a più favorevoli modalità di rateizzazione delle debenze in sede di conversione del pignoramento. Si potrebbe anche dire che la legge 132/2015 parrebbe più favorevole al debitore, facendo da contraltare alla legge 162/2014 che, invece, è stata ritenuta in favore del creditore. Per cui si deve ritenere che la L.132/15 faccia parte del medesimo disegno logico della riforma del dicembre 2014, restando aperta la verifica sul "se" tali riforme saranno idonee ad improntare un procedimento esecutivo finalmente incisivo e veloce, andando a garantire una soddisfazione del credito più rapida e certa. Solo il tempo potrà darci una risposta.



[1] Va rilevato infatti che, fino alla riforma del 2015, si sono registrate numerose incertezze nella individuazione del quantum del minimo vitale (si veda Cass.18755/13 cit., sulla discrezionalità del giudice nel quantificare l"importo del minimo vitale – non censurabile in Cassazione se non per illogicità e/o incongruenza delle motivazioni). Alcuni giudici facevano riferimento al trattamento minimo vero e proprio, come stabilito dall"art.10 della L.218/1952, che ammonta ad € 501,38 al 2014. Altri tribunali, invece, facevano riferimento all"importo del c.d. incremento del trattamento minimo individuato dalla L.448/2001, disciplinato da ultimo dall"art.5 L.127/2007, il quale, nel 2014, era pari ad € 637,82. Altri tribunali ancora, infine, hanno preso come parametro di riferimento l"importo dell"assegno sociale ex art.6 L.335/1995 che, per il 2015, è pari ad € 448,52.




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