Varie  -  Faccioli Marco  -  24/08/2015

CYBERBULLISMO: COME ARGINARE LE NUOVE FORME DI PREVARICAZIONE - di Marco Faccioli

Grandi imputati nel processo contro il cyberbullismo, i social network (da più parti accusati, e non sempre a torto, di essere uno strumento formidabile per la diffusione di insulti, anche a sfondo razzista e sessista, offese, minacce di qualsiasi tipo, ed immagini di cattivo gusto) partono al contrattacco, cercando di porre un freno a quello che può essere il loro utilizzo distorto da parte di un poi neanche così ristretto numero di malintenzionati.

Il primo passo significativo lo ha compiuto Facebook Italia che, con un'iniziativa promossa insieme a Save the Children Italia e a Telefono Azzurro, ha realizzato un'apposita piattaforma con lo scopo di condividere informazioni e suggerimenti utili in caso di necessità:

Chi segnalerà episodi di bullismo sul sito verrà direttamente indirizzato sulla specifica piattaforma dove troverà consigli utili per affrontare questa problematica, con consigli e suggerimenti su come comportarsi a seconda delle circostanze.

(…) "Fermiamo il bullismo. Presentazione di strumenti, suggerimenti e programmi per aiutare le persone a difendere se stesse e gli altri" si legge sull'home page della piattaforma. Molto importante anche leggere i consigli e le news pubblicate su Facebook Safety, la pagina del centro per la sicurezza delle famiglie. Il social network vuole così offrire un valido strumento per combattere il sempre più diffuso fenomeno del bullismo in rete, rivolto non solo ai giovani, siano essi vittime o autori di gesti di bullismo, ma anche agli adulti, che possono trovare consigli utili per avviare conversazioni difficili su questi temi.

(Facebook lancia piattaforma contro il cyberbullismo – 21/05/2014, Repubblica.it – articolo non firmato) 

Il cyberbullo, è fatto notorio, utilizza la rete per attaccare le propria vittime. Detto utilizzo di internet comporta non pochi problemi per il diritto, essendo numerosi i soggetti potenzialmente coinvolti nella vicenda.

"Suscitò accese polemiche e grande indignazione, nel 2006, la presenza sul web di un video in cui un ragazzo disabile veniva schernito e picchiato dai compagni di scuola. La gravità dell"episodio era amplificata dal fatto di renderlo di dominio pubblico. Grazie alla segnalazione di alcune persone e all'intervento della polizia postale il video fu subito rimosso da Google e la giustizia, con i suoi tempi, si mise in moto. Sulla vicenda è di recente intervenuta la Corte di Cassazione (sentenza 5107/2014), rilevando la complessità e la novità delle questioni trattate e fissando alcuni punti fermi sul reato di trattamento illecito dei dati. La responsabilità del reato ricade unicamente su chi ha realizzato e caricato in rete il video, in violazione del divieto di diffusione dei dati idonei a rivelare lo stato di salute (dato sensibile) di un persona; nessuna responsabilità invece è configurabile a carico del fornitore di servizi (host provider: nel caso in oggetto la piattaforma Google Video, che si è limitata ad "ospitare" il filmato), a meno che, essendo venuto a conoscenza del dato sensibile contenuto nel video caricato dagli utenti , non abbia immediatamente provveduto a rimuovere le informazioni o disabilitarne l'accesso su comunicazione delle autorità competenti. Sulla base di queste considerazioni, i manager di Google Italia sono stati quindi scagionati da ogni accusa relativa al reato di trattamento illecito dei dati (una delle argomentazioni difensive di Google è stata che all'epoca dei fatti 2006 non esisteva una tecnologia di filtraggio preventivo, idonea ad identificare automaticamente i contenuti eventualmente illeciti di un video). (Giordani – 2014)

L'allarme provocato dal fenomeno, particolarmente odioso per le modalità con cui miete le proprie vittime, ha portato ad un'attenzione specifica da parte non solo delle forse di Pubblica Sicurezza, ma anche della magistratura, che più di una volta è stata chiamata a giudicare soggetti minorenni che, a vario titolo, si sono resi responsabili di comportamenti che, nei casi più estremi, hanno anche portato alla morte della vittima. Sono infatti numerosi i casi di cronaca, recente e recentissima, relativi a suicidi di minorenni, spesso maturati nell'ambito di un contesto scolastico (quindi tra compagni di classe o di istituto) subdolamente indotti da angherie di ogni tipo (a sfondo razziale, nei confronti ad esempio di compagni immigrati, a sfondo omofobo, nei confronti di compagni omosessuali o ritenuti tali, a sfondo di puro dileggio, nei confronti di compagni obesi, bassi, o con particolari difetti fisici o psichici).

Interessante e condivisibile una recente massima della Cassazione, che qui si propone, la quale ha stabilito che, nelle ipotesi delittuose di cui ci stiamo occupando, la volontà del genitore di sporgere querela prevale su quella del figlio minore ultraquattordicenne, anche se questi ne è contrario. Detta interpretazione è di assoluta importanza tenuto conto di come, un soggetto intimorito (come può esserlo un minore vittima di angherie e soprusi da parte di compagni di scuola, coalizzatisi in branco contro di lui) ben può essere indotto a sopportare e subire in silenzio, spaventato dalle possibili conseguenze di una sua formale iniziativa di autotutela. Si analizzi ora quindi il caso di specie, e le conclusioni che ne sono state tratte dalla Suprema Corte nelle motivazioni della propria sentenza.

 

ll caso: Tizia, minorenne, compagna di scuola di S., anch'ella minorenne, offende l'onore ed il decoro di quest'ultima, inserendo nel blog a lei registrato, accessibile a chiunque, fotografie ritraenti S. all'interno della classe e mostranti il volto di questa inserita in un corpo di scimmia, piegata in avanti mentre l'indagata l'afferra da dietro simulando un rapporto sessuale ed accompagnando le suddette foto con commenti denigratori (S. è il passatempo della nostra classe, la nostra valvola di sfogo, un essere venuto in terra per essere abusato, eccetera...), nonché intrattenendo sul suddetto blog conversazioni in chat con altri soggetti con i quali, commentando le fotografie, denigra ulteriormente S. S., intimorita da Tizia nonché dal contesto di dileggio e prevaricazione formatasi all'interno della propria classe, non è intenzionata a sporgere querela, temendo che, coinvolgendo la forza pubblica, la di lei posizione possa ulteriormente peggiorare. Provvede quindi il di lei padre, nonostante il parere contrario di S., a sporgere querela per la tutela della figlia.

La massima: (…) va focalizzata, ai fini della decisione della quaestio iuris così posta, la parte del dettato precettivo che, dopo il riconoscimento del diritto di querela in capo al minore ultraquattordicenne (inibito, invece al minore infraquattordicenne, con contestuale sua attribuzione al genitore, nell'ambito dell'ordinario potere di rappresentanza a quest'ultimo attribuito ex lege), dispone che, in sua vece, lo stesso diritto possa essere esercitato dal genitore, soggiungendo che ciò può aver luogo nonostante ogni contraria dichiarazione di volontà, espressa o tacita del minore (...) Di talché, in caso di minore-persona offesa che abbia compiuto gli anni quattordici, il legislatore ha previsto una doppia legittimazione, in capo allo stesso minorenne ed all'esercente della potestà genitoriale. In ipotesi di dissenso del genitore, la norma nulla dice, lasciando, implicitamente, ritenere che, in tal caso, debba prevalere la volontà del minore, siccome portatore dell'interesse giuridico direttamente leso dal fatto illecito da altri commesso nei suoi confronti, anche in ragione del fine di politica criminale di favorire quanto più possibile il perseguimento di azioni delittuose. Viceversa, nell'ipotesi in cui la volontà contraria, tacita od espressa, sia, invece, manifestata dallo stesso minore, il legislatore mantiene la legittimazione in capo al suo genitore. Tale potere surrogatorio trova agevole spiegazione nella ridotta capacità di determinazione e di agire del minore ultraquattordicenne e nella conseguente semipiena capacità, da parte sua, di apprezzare le conseguenze lesive di un fatto-reato nella sfera giuridica dei suoi interessi, in tutti i possibili riflessi patrimoniali o morali.

(Cassazione, sez. V Penale, n. 13010 del 28/05/2013)

L'abstract qui esaminato permette di cogliere, nelle parole della Cassazione, il velato invito alle famiglie ad un maggior controllo ed attenzione a quelle che sono le posizioni dei figli minori internauti. Delle conseguenze estreme di reiterate condotte di cyber bullismo ai danni della vittima abbiamo già parlato, per cui ogni minimo segnale di sofferenza e di disagio deve essere valutato con la dovuta meticolosità e, cosa fondamentale, mai trascurato, al fine di evitare tragiche conseguenze.






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