-  Bernicchi Francesco Maria  -  16/01/2014

CONSULTA: NO AL REFERENDUM SULLA RIFORMA DELLA GEOGRAFIA GIUDIZIARIA - F.M. BERNICCHI

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum proposta da nove Consigli regionali relativo all'abrogazione della riforma sulla geografia giudiziaria entrata in vigore il 13 Settembre 2013.

Le Regioni, in particolare, chiedevano l'eliminazione dall'ordinamento delle seguenti norme:

- l'art. 1, commi 2, 3, 4, 5, 5-bis della legge 14 settembre 2011, n.148 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 13 agosto 2011, n.13, Recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari);

- l'intero decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 (Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'art. 1, Comma 2, della legge 14 settembre 2011, n.148);

- l'intero decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 156 (Revisione delle circoscrizioni giudiziarie -uffici dei giudici di pace , a norma dell'art. 1, Comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148).

Tuttavia, come detto, la Consulta seguendo l'iter logico argomentativo dell'Avvocatura Generale dello Stato ha considerato non ammissibile il referendum atteso che un'eventuale espressione favorevole da parte del corpo elettorale avrebbe creato un vuoto normativo non giustificato e non tollerabile dall'ordinamento.

Per la prima volta nella storia Repubblicana la richiesta di referendum non era giunta dai cinquecentomila elettori richiesti dall'articolo 75 della Costituzione, ma da nove Consigli regionali (peraltro con maggioranze di diverso colore politico: Abruzzo, Piemonte, Marche, Puglia, Friuli Venezia Giulia,Campania, Liguria, Basilicata e Calabria), quattro in più di quelli richiesti come sufficienti dallo stesso articolo 75 della Carta fondamentale.

Sia la trasversalità del colore politico delle proteste (numerosi gli attacchi alla riforma da sindaci leghisti o del Partito Democratico) che il numero sempre più consistente di ricorsi innanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali degli Ordini Professionali contro i provvedimenti dei Presidenti di Tribunale che hanno sancito lo spostamento dei processi a nuove sedi, rendono bene l'idea delle lacune presenti nella riforma suddetta.

Pur riconoscendo la necessità di una razionalizzazione degli Uffici di Giudici di Pace e delle sezioni distaccate dei Tribunali sia da un punto di vista economico che logistico, molti tra gli operatori giuridici (giudici, avvocati, praticanti, consulenti tecnici, testimoni) hanno avuto difficoltà insormontabili dalla nuova situazione creatasi a seguito della riforma.

Si mette in dubbio, perfino, la reale consistenza dei principi costituzionali del "giusto processo" (art.111 Cost.) e della difesa dei diritti (art. 24 Cost.) dato che, per alcuni, ora, farsi giustizia è diventato davvero difficile.

Le Regioni, pare, non si fermeranno qui: "Abbiamo già deciso di proseguire unitariamente nell'avversare la riforma sulla geografia giudiziaria - spiega Fabiana Contestabile, coordinatore nazionale del comitato che si è costituito nello scorso dicembre e che riunisce i nove Consigli regionali promotori del referendum e altri rappresentanti territoriali che dicono no ai tagli dei tribunali - siamo pronti a ricorrere alla Corte di giustizia europea perché questa riforma mette in discussione il diritto del cittadino all'accesso alla giustizia".

La parola fine, pertanto, appare lontana: il buon senso e la razionalità delle scelte concertate potranno e dovranno essere la nuova via maestra.




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