Si riporta un caso concreto tratto nella pronuncia di cui al titolo e volta ad illustrare un buon excursus della tematica avente ad oggetto la formazione della responsabilità civile precontrattuale di una pubblica amministrazione nell'ambito di una procedura ad evidenza pubblica mirante alla conclusione e stipula di un appalto pubblico di lavori.
Si traggono dal testo del provvedimento i punti salienti.
" La astratta configurabilità della responsabilità precontrattuale nell’ambito della contrattualistica pubblica, ammessa già all’epoca dalla opinione giurisprudenziale maggioritaria, cui pertanto dichiara di aderire, troverebbe fondamento nella sostanziale assimilabilità delle scansioni procedimentalizzate e funzionalizzate della scelta del contraente privato nelle relative procedure ad evidenza pubblica ai contatti preliminari che avvengono nell’ambito del diritto comune.
In effetti da tempo pacifica in giurisprudenza (l’applicazione anche ai soggetti pubblici - sia nell’ambito di trattative negoziali condotte senza procedura di evidenza pubblica, sia nell’ambito di vere e proprie procedure di gara - dell’obbligo di improntare la propria condotta al canone di buona fede e correttezza sancito nell’art. 1337 c.c.. Occorre, cioè, evitare di ingenerare nella controparte privata affidamenti ingiustificati ovvero di tradire, senza giusta causa, affidamenti legittimamente ingenerati. La buona fede e la correttezza si specificano in una serie di regole di condotta, tra le quali l’obbligo di valutare diligentemente le concrete possibilità di positiva conclusione della trattativa e di informare tempestivamente la controparte dell’eventuale esistenza di cause ostative rispetto a detto esito.
Tali affermazioni necessitano di ulteriore attualizzazione, alla luce della progressiva anticipazione della soglia di rilevanza dei “contatti” cui viene attribuita significatività a fini risarcitori, ravvisandoli anche nella fase antecedente l’aggiudicazione, ovvero la pubblicazione del bando di gara, laddove essa sia avvenuta, ad esempio, nonostante fosse conosciuto, o dovesse essere conosciuto, che non ve ne erano i presupposti indefettibili
La lettura necessariamente evolutiva e costituzionalmente orientata dei principi che devono permeare le relazioni tra privati e pubblica amministrazione, ha individuato proprio nella contrattualistica pubblica il terreno più fertile per lo sviluppo della tematica. Secondo la dottrina più evoluta, infatti, esso costituisce un significativo esempio della configurabilità di un sistema istituzionale di diritto comune connotato dalla osmotica utilizzabilità di regole del diritto privato da parte dei titolari di pubblici poteri, dando comunque luogo a rapporti giuridici qualificati tra privato e pubblica amministrazione all’interno dei quali può assumere rilievo l’affidamento, quale situazione di aspettativa giuridica a sua volta qualificata.
le regole pubblicistiche e regole privatistiche non operano in sequenza temporale, ma in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione. Ciò comporta che anche quelle di correttezza non possono essere relegate soltanto ad una o più delle singole fasi in cui si suddivide una gara, in quanto ognuna di esse, proprio perché astrattamente permeata di aspetti pubblicistici e privatistici, necessita di una lettura unitaria e consequenziale. Ciascuna singola fase, cioè, seppur distinta da quella successiva e da quella precedente, è accomunata alle altre in chiave teleologica, in quanto comunque mirata all’unico fine della stipulazione del contratto, prima della quale il rispetto dei principi della buona fede e correttezza non può che riguardare le “trattative”, più o meno intense che esse siano state.
L’applicabilità delle disposizioni civilistiche, dunque, deriva dalla possibilità di equiparazione dell’amministrazione che agisce nella procedura volta alla conclusione di un contratto ad un contraente privato: tutte le fasi della procedura, infatti, si pongono quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale e, pertanto, il rispetto dei principi di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. non può essere circoscritto al singolo periodo successivo alla determinazione del contraente. ".
Vi si legge ancora nell'ambio excursu prodotto dall'autorità g.a. che
" il dovere di correttezza ha nel tempo conquistato una funzione (ed un conseguente ambito applicativo) certamente più ampia rispetto a quella concepita dal codice civile del 1942, che lo collocava nella visione economica corporativistica dell’epoca e in tale ridotta accezione imponeva di leggere anche la susseguente solidarietà. Esso, cioè, non è più considerato strumentale solo alla conclusione di un contratto valido e socialmente utile; bensì, alla «tutela della libertà di autodeterminazione negoziale, cioè di quel diritto (espressione a sua volta del principio costituzionale che tutela la libertà di iniziativa economica) di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenza illecite derivante da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza». ....
distinguendosi altresì i casi in cui la violazione dà vita ad un illecito riconducibile al generale dovere del neminen laedere di cui all’art. 2043 c.c. da quelli in cui pare affiorare una vera e propria obbligazione nascente dal “contatto sociale” qualificato. "
Viene inoltre fatto riferimento al portato (si potrebbe dire non certo innovativo) di cui al d.l. 76/2020, convertito nella legge 120/2020 per cui
"
di recente il giudice di legittimità, proprio muovendosi nell’alveo di tali sviluppi di pensiero, pronunciandosi peraltro sulla giurisdizione, ha inteso riconoscere la risarcibilità del danno all’affidamento che il privato abbia riposto nella condotta procedimentale dell’amministrazione, la quale si sia poi determinata in senso sfavorevole, indipendentemente da ogni connessione con l’invalidità provvedimentale o, come precisato, dalla stessa esistenza di un provvedimento (cfr. Cass., SS.UU., ordinanza del 28 aprile 2020, n. 8236).
Anche la legislazione ha assecondato progressivamente tale lettura ampia del dovere delle amministrazioni pubbliche di comportarsi secondo correttezza nei rapporti con i cittadini. Significativa in tale direzione la recentissima modifica dell’art. 1 della l. 7 agosto 1990, n. 241, rubricato “Principi generali dell’attività amministrativa”, mediante l’introduzione del comma 2 bis, che contiene proprio la positivizzazione della regola in forza della quale «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede», riferendola al procedimento amministrativo più in generale (v. art. 12 della l. 11 settembre 2020, n. 120, con il quale la previsione è stata inserita nel testo originario, modificando sul punto il d.l. 16 luglio 2020, n. 76, recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitali”, c.d. decreto “Semplificazioni”, che si andava a convertire).
Per notare anche il passaggio che vi viene fatto su uno dei principi cardine dell'ordinamento civile, assunto anche quale principio generale a livello giusinternazionalistico
" il richiamo ai principi dell’ordinamento comunitario, tra i quali assume un rilievo primario proprio la tutela dell’affidamento legittimo ".
Di seguito il testo.
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Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La asserita carenza documentale determinava una nuova sospensione in data 18 gennaio 2005, con soluzione di continuità di un solo giorno (17 gennaio 2005) rispetto alla scadenza del termine di quella originaria. L’indebito procrastinare la stipula del contratto, pur dopo l’avvenuta consegna di tutta la documentazione richiesta, ivi comprese le polizze fideiussorie (8 febbraio 2005) determinava la Società a segnalare la situazione all’Autorità di vigilanza, che interveniva stigmatizzando formalmente l’operato della stazione appaltante con riferimento alla inadeguatezza della progettualità messa a gara, nonché paventando i possibili profili di danno erariale riconducibili alla circostanza. A seguito della revoca, in epoca successiva all’aggiudicazione (1 dicembre 2004) della certificazione S.O.A. della ditta mandante, xxxxxxxxxxxxx, il Comune in data 11 aprile 2005 inoltrava alla Società comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela dell’aggiudicazione. L’avvenuta trasmissione, con nota in data 10 giugno 2005, della nuova attestazione, conseguita il 9 giugno 2005, rimaneva comunque priva di conseguenze.
Sempre in punto di fatto, occorre ancora chiarire come l’esito della procedura ad evidenza pubblica sia stato contestato da un altro raggruppamento temporaneo di imprese partecipante alla gara, costituito dalla xxxxxxxxxxxxx e dalla società xxxxxxxxxxxxx Con sentenza n. 7090 del 1 dicembre 2006, all’esito di pubblica udienza svoltasi il 25 novembre 2005, in riforma della sentenza del medesimo T.A.R. per la Liguria n. 433 del 4 aprile 2005, l’aggiudicazione veniva annullata sull’assunto che erano state ammesse aziende prive dei prescritti requisiti con riferimento al subappalto, conseguentemente alterando la base di calcolo della soglia di anomalia. Per contro, non veniva riconosciuto alle ricorrenti alcun risarcimento, ritenendo lo stesso intrinseco nell’affermato obbligo di riedizione della gara, peraltro ad esecuzione dell’appalto non ancora iniziato.
All’esito di tale giudizio, il xxxxxxxxxxxxx, archiviato formalmente con determinazione n. 623 del 12 gennaio 2006 il procedimento di annullamento in autotutela dell’originaria aggiudicazione, comunicava all’appellante l’avvenuta aggiudicazione della nuova gara ad altra impresa (nota del 6 giugno 2007 prot. n. 8857). Ciò, peraltro, previa restituzione, ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. n. 554/1999, delle cauzioni e delle polizze fideiussorie, nonché delle spese di contratto (nota prot. n. 3880 del 9 marzo 2006).
In primo luogo il T.A.R., pur avendo riconosciuto la scorrettezza comportamentale del xxxxxxxxxxxxx, sia nella fase della gara, caratterizzata da inadeguatezza progettuale riconosciuta anche dall’Autorità di vigilanza (nota del 24 marzo 2005), sia nella fase successiva, della richiesta cantierazione immediata, non ne aveva poi tratto le dovute conseguenze in termini risarcitori sull’errato presupposto che ciò sarebbe stato precluso dall’avvenuto annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione. Tale annullamento, al contrario, non può certo impedire l’accertamento della responsabilità della pubblica amministrazione, a maggior ragione in quanto non riconducibile in alcun modo alla ricorrente, che anzi ne ha subito le conseguenze.
D’altro canto, il comportamento della stazione appaltante si sarebbe palesato come inspiegabile e contraddittorio, laddove dopo aver preteso un’accelerazione della fase esecutiva, né vi aveva dato seguito, né si era attivata per la stipula del contratto, pur avendo definitivamente completato le acquisizioni documentali necessarie l’8 febbraio 2005, nei tempi previsti dalla normativa vigente ratione temporis (60 giorni ex art. 109 del d.P.R. 554/1999) e malgrado formalmente diffidata a provvedere. Ciò si sarebbe risolto anche (secondo motivo di appello) nella violazione degli obblighi di legge al riguardo (art. 129 del più volte richiamato d.P.R. n. 554 del 1999) che con riferimento al caso specifico della consegna anticipata dei lavori cui non faccia seguito la stipula del contratto impongono la refusione delle spese sostenute dall’appaltatore. Del tutto superficialmente, pertanto, le stesse sarebbero state ricondotte alla normale dinamica tra le parti nella dialettica contrattuale, pretermettendo la necessità di continue trasferte funzionali ad ottemperare a quanto richiesto, e particolarmente gravose in ragione della distanza tra la sede delle aziende e il luogo di effettuazione dei lavori.
Quanto agli importi richiesti a titolo risarcitorio, in denegata ipotesi di accoglimento della tesi avversaria, essi andrebbero epurati delle somme riconducibili all’interesse positivo, nonché circoscritti al periodo successivo all’aggiudicazione, ma antecedente la pronuncia del Consiglio di Stato; ciò a valere anche per la rivendicata perdita di chance, indebitamente riferita all’intero biennio 2005-2006. E comunque le voci residue di spesa, peraltro del tutto generiche, o sarebbero estranee a convocazioni della stazione appaltante, o addebitabili alla Società in ragione delle necessità via via sopravvenute di integrazioni documentali.
DIRITTO
In sintesi, in ambito risarcitorio compete al giudice, al di là del nomen iuris attribuito dalla parte alla propria rivendicazione, valutarne la consistenza nell’an e nel quantum, espungendo dalla stessa, una volta correttamente perimetrata, le istanze eccessive, prive di riscontro probatorio, ovvero, più genericamente, incompatibili con la tipologia di responsabilità ritenuta sussistente.
Va al riguardo anche richiamato l’orientamento comunitario che, in caso di annullamento di atti di gara, sotto il profilo soggettivo non richiede neppure la dimostrazione della colpevolezza della pubblica amministrazione, in quanto il recepimento della relativa disciplina comunitaria ha svincolato il diritto di ottenere un risarcimento dei danni per violazione delle norme in materia di appalti pubblici dal carattere colpevole della stessa.
Nel caso di specie, tuttavia, l’annullamento dell’aggiudicazione, in quanto afferente la fase precontrattuale, costituisce il frammento terminale di un mosaico comportamentale contrassegnato da significative incoerenze e contraddittorietà, tali da renderlo rilevante non (solo) ex se, ma proprio in ragione del suo inserirsi in tale contesto. Ciò consente, ritiene la Sezione, di attingere comunque ai principi sopra richiamati, da un lato rifuggendo da qualsiasi presunzione, dall’altro tuttavia tenendo doverosamente conto delle ragioni della ritenuta illegittimità dell’atto, che finiscono per illuminare anche retrospettivamente la valutazione di colpevolezza della condotta complessivamente tenuta dall’Amministrazione.
Rileva il Collegio come risulti in effetti da tempo pacifica in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, A.P., 5 settembre 2005, n. 6; Cass., SS.UU., 12 maggio 2008, n. 11656) l’applicazione anche ai soggetti pubblici - sia nell’ambito di trattative negoziali condotte senza procedura di evidenza pubblica, sia nell’ambito di vere e proprie procedure di gara - dell’obbligo di improntare la propria condotta al canone di buona fede e correttezza sancito nell’art. 1337 c.c.. Occorre, cioè, evitare di ingenerare nella controparte privata affidamenti ingiustificati ovvero di tradire, senza giusta causa, affidamenti legittimamente ingenerati. La buona fede e la correttezza si specificano in una serie di regole di condotta, tra le quali l’obbligo di valutare diligentemente le concrete possibilità di positiva conclusione della trattativa e di informare tempestivamente la controparte dell’eventuale esistenza di cause ostative rispetto a detto esito. Il che non è avvenuto nel caso di specie, allorquando alla comprensibile - ma non giustificata - cautela sottesa al contenzioso in itinere, ha fatto da contraltare un tentativo, neppure troppo celato e comunque mal gestito, di addivenire rapidamente al “fatto compiuto” dell’avvenuta esecuzione dei lavori, in un andamento altalenante di scelte e ripensamenti di certo non connotato, almeno per quel che è emerso in atti, dalla condivisione trasparente di un percorso e delle sue potenziali criticità.
Vero è, rileva ancora il Collegio, che la lettura necessariamente evolutiva e costituzionalmente orientata dei principi che devono permeare le relazioni tra privati e pubblica amministrazione, ha individuato proprio nella contrattualistica pubblica il terreno più fertile per lo sviluppo della tematica. Secondo la dottrina più evoluta, infatti, esso costituisce un significativo esempio della configurabilità di un sistema istituzionale di diritto comune connotato dalla osmotica utilizzabilità di regole del diritto privato da parte dei titolari di pubblici poteri, dando comunque luogo a rapporti giuridici qualificati tra privato e pubblica amministrazione all’interno dei quali può assumere rilievo l’affidamento, quale situazione di aspettativa giuridica a sua volta qualificata. Nel suo ambito, dunque, le regole pubblicistiche e regole privatistiche non operano in sequenza temporale, ma in maniera contemporanea e sinergica, sia pure con diverso oggetto e con diverse conseguenze in caso di rispettiva violazione. Ciò comporta che anche quelle di correttezza non possono essere relegate soltanto ad una o più delle singole fasi in cui si suddivide una gara, in quanto ognuna di esse, proprio perché astrattamente permeata di aspetti pubblicistici e privatistici, necessita di una lettura unitaria e consequenziale. Ciascuna singola fase, cioè, seppur distinta da quella successiva e da quella precedente, è accomunata alle altre in chiave teleologica, in quanto comunque mirata all’unico fine della stipulazione del contratto, prima della quale il rispetto dei principi della buona fede e correttezza non può che riguardare le “trattative”, più o meno intense che esse siano state.
L’applicabilità delle disposizioni civilistiche, dunque, deriva dalla possibilità di equiparazione dell’amministrazione che agisce nella procedura volta alla conclusione di un contratto ad un contraente privato: tutte le fasi della procedura, infatti, si pongono quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale e, pertanto, il rispetto dei principi di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. non può essere circoscritto al singolo periodo successivo alla determinazione del contraente.
La differenza tra le due tipologie di regole, comunque intersecanti il bagaglio operativo della stazione appaltante, risiede nel fatto che la violazione delle prime, in quanto hanno ad oggetto il provvedimento - id est, l’esercizio diretto ed immediato del potere - ne determina, di regola, l’invalidità; le altre, invece, si riferiscono al comportamento, seppur collegato in via indiretta e mediata all’esercizio del potere, complessivamente tenuto dalla stazione appaltante o dall’amministrazione aggiudicatrice nel corso della gara e la loro violazione non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma a responsabilità.
Non diversamente da quanto accade nei rapporti tra privati, anche per la P.A., dunque, le regole di correttezza e buona fede, che non necessariamente inficiano la validità del provvedimento, trasmodano in canoni di valutazione del comportamento complessivamente tenuto, quale fondamento della conseguente responsabilità. Nel caso, come quello di specie, in cui l’aggiudicazione, quale momento tipico fondante l’aspettativa di concludere il contratto, venga annullato per causa non imputabile all’aggiudicatario, si realizza una sorta di situazione intermedia che attinge ai profili di responsabilità da provvedimento illegittimo, ma non si esaurisce né si compendia nella stessa.
La questione, non direttamente rilevante in questo giudizio, è oggetto di un dibattito giurisprudenziale e dottrinale dai risultati così controversi, da rendere inopportuno, in questa sede, ogni ulteriore approfondimento. Va tuttavia ricordato come di recente il giudice di legittimità, proprio muovendosi nell’alveo di tali sviluppi di pensiero, pronunciandosi peraltro sulla giurisdizione, ha inteso riconoscere la risarcibilità del danno all’affidamento che il privato abbia riposto nella condotta procedimentale dell’amministrazione, la quale si sia poi determinata in senso sfavorevole, indipendentemente da ogni connessione con l’invalidità provvedimentale o, come precisato, dalla stessa esistenza di un provvedimento (cfr. Cass., SS.UU., ordinanza del 28 aprile 2020, n. 8236).
In sintesi, la continua ricerca di momenti formali, o comunque degni di rilievo per “intensità” del contatto, ha pressoché sempre salvaguardato l’avvenuta aggiudicazione definitiva, quale momento di cesura tra una generica aspettativa di buon esito della gara, più o meno rafforzata dalla tipologia dei contatti intercorsi, e una specifica connotazione soggettiva quale “vincitore” della procedura ad evidenza pubblica. L’aggiudicazione, cioè, pur attenendo ancora al piano delle “trattative”, ne costituisce il punto di massima forza, al di là del quale nasce il sinallagma contrattuale e gli obblighi tra le parti si connotano della vicendevolezza riconducibile allo stesso. La rilevanza attribuita alla stessa travalica pertanto anche gli ostacoli ravvisati dai fautori di una visione più restrittiva dell’ambito di operatività della responsabilità precontrattuale nelle procedure ad evidenza pubblica nella formulazione letterale dell’art. 1337 c.c., che pone il dovere di correttezza in capo alle “parti” di una “trattativa” nell’ambito del “procedimento di formazione del contratto”. Non vi è dubbio, infatti, che essa esemplifichi tradizionalmente quella che viene comunemente definita una “trattativa affidante”, contenendo in sé l’avvenuta individuazione del futuro contraente privato.
Nonostante, dunque, ogni singolo provvedimento adottato durante la gara sia astrattamente idoneo - in virtù di specifiche circostanze ricorrenti nel caso concreto - ad ingenerare nel concorrente il legittimo affidamento sulla positiva conclusione del procedimento, solo la definitiva individuazione del contraente ne costituisce l’incontestato punto di approdo. Ciò ha indotto, al contrario, a non riconoscere la stessa portata potenzialmente “affidante” all’aggiudicazione provvisoria in quanto «un atto endoprocedimentale ad effetti ancora instabili e del tutto interinali» che si inserisce nell’ambito della scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2014, n. 3449).
In sintesi, la sussistenza di un legittimo affidamento ingenerato nel concorrente di una procedura ad evidenza pubblica è costituita dall’atteggiamento complessivamente tenuto della pubblica amministrazione nel corso delle trattative: infatti «ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivo tenuto dall’amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede» (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2014, n. 142).
D’altro canto, la gravità dei vizi riscontrati (errata valutazione dei requisiti soggettivi di altri concorrenti, indebitamente ammessi, con conseguente alterazione della soglia di anomalia), cui va aggiunta la inadeguatezza progettuale che, pur non avendo avuto alcuna conseguenza sul piano formale, ad eccezione del rilievo dell’Autorità, si amalgama agli altri elementi del quadro complessivo oggetto dell’odierno giudizio, contribuendo alla valutazione di colpevolezza già ampiamente motivata. Il punto di incontro, dunque, tra i due estremi della culpa in re ipsa di derivazione eurounitaria in materia di appalti, e del danno da “contatto qualificato”, via via esteso all’ambito del procedimento pubblico lato sensu inteso, sembra trovare nell’annullamento dell’aggiudicazione definitiva per motivazioni estranee al comportamento dell’aggiudicatario, non giustificabili sul piano della complessità normativa e delle conseguenti difficoltà interpretative, un importante momento di sintesi.
Del tutto inspiegabile, dunque, appare l’accelerazione impressa, ma solo sul piano virtuale, all’esecuzione dell’opera, imponendone la cantierazione anticipata, salvo poi accorgersi delle carenze documentali ostative alla stipula del contratto. La motivazione della prima sospensione con riferimento alle festività natalizie imminenti, stante la sua concomitanza con il verbale di consegna dei lavori, non necessita di particolari commenti essendone evidente quanto meno la singolarità. Né, tuttavia, più plausibile appare quella sottesa alla seconda sospensione, stante che non si spiega come mai le carenze documentali parrebbero essere state rilevate e contestate solo dopo aver autonomamente deciso per l’installazione del cantiere, sì da indurre il Comune a diffidare la Società esattamente nell’unico giorno (17 gennaio 2005) astrattamente utile allo scopo. D’altro canto, le avvenute integrazioni (8 febbraio 2005) non hanno prodotto alcun effetto, nemmeno in termini di mera comunicazione interlocutoria, seppure ancora non fosse nota la circostanza dell’avvenuta perdita dell’attestazione S.O.A. da parte della società mandante; al pari del resto della comunicazione dell’avvenuta riacquisizione della stessa (10 giugno 2005), che non determinava neppure la formale sospensione del procedimento di annullamento d’ufficio motivato per lo più in riferimento a tale circostanza.
Nella valutazione complessiva della condotta tenuta si colloca altresì il mancato rispetto della tempistica di stipulazione del contratto (60 giorni dall’aggiudicazione, giusta la disciplina applicabile ratione temporis), peraltro malgrado l’espressa diffida formalizzata dalla Società allo scopo. Se è vero, infatti, che la natura non perentoria del termine (al pari, del resto, di quelli omologhi via via riprodotti nella legislazione successiva) non consente di dare alla circostanza rilievo ex se; egualmente essa ne può assumere nel contesto valutativo globale sotto la cui lente va vagliato il comportamento complessivo del xxxxxxxxxxxxx.
Va peraltro incidentalmente evidenziato che il comprensibile approccio prudenziale alla vicenda in ragione della pendenza di contenzioso al T.A.R. e, successivamente, al Consiglio di Stato, non giustificherebbe di per sé una stasi decisionale, pur dovendosi dare atto della diffusione della relativa prassi, tanto da aver indotto il legislatore più recente ad esplicitare in norma la inammissibilità della stessa (v. art. 32, comma 8, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, come modificato dall’art. 4 del d.l. n. 76/2020, convertito in l. n. 120/2020, già citato). Ciò pur con la precisazione che ridetto ritardo avrebbe dovuto comunque essere computato non dalle integrazioni istruttorie dell’8 febbraio 2005, ma dalla regolarizzazione dell’attestazione S.O.A. della xxxxxxxxxxxxx del 9 giugno 2005.
Se da un lato, dunque, la mancata impugnativa delle sospensioni dei lavori, in particolare la prima, implica che le spese riconducibili alla assentita cantierazione anticipata imputent sibi; dall’altro, e in maniera assai più incisiva, la revoca della S.O.A. ad una delle due società facenti parte della Associazione temporanea di imprese ha costituito fattore obiettivo di arresto della procedura, giustificando perfino, ove non si fosse addivenuti a rapida sanatoria, il prospettato annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione. Pertanto, nel periodo compreso tra il 1 dicembre 2004 e il 9 giugno 2005 la Società non poteva fare alcun affidamento sulla stipula del contratto, essendo essa stessa causa, ancorché involontaria e sicuramente non determinante di scelte evidentemente già assunte, della impossibilità di perfezionamento del contratto. A partire da tale ultima data, invece, l’affidamento torna tutelabile, e tale rimane fino alla lettura del dispositivo della sentenza di annullamento dell’aggiudicazione (25 novembre 2005) che ha evidentemente chiarito con la forza del giudicato l’illegittimità del risultato favorevole alla Società per colpa nella gestione della procedura da parte della stazione appaltante.
Vero è che fino alla conoscenza della motivazione la parte avrebbe potuto auspicare un errore revocatorio, con ciò rendendo incerto il termine finale della tutela come sopra invocato. Ma tale ipotesi neppure appare prospettata dall’appellante, che si limita a posticipare, senza illustrarne le ragioni, la richiesta tutela fino all’avvenuta aggiudicazione della gara successivamente esperita. Tale reiterata procedura ad evidenza pubblica, tuttavia, costituisce un diverso ed autonomo procedimento in relazione al quale essa non poteva certo rivendicare alcuna posizione diversificata di vantaggio rispetto agli altri partecipanti.
In sintesi, se, come sopra ricostruito, la vicenda della cantierazione anticipata, in quanto costituente una sorta di procedimento nel procedimento, ovvero, più propriamente, una fase del procedimento di gara, ancorché solo eventuale, assume rilievo illuminante del comportamento complessivamente tenuto dal Comune nei confronti della aggiudicataria, essa tuttavia non si palesa idonea ex se ad integrare un “danno conseguenza” autonomamente risarcibile.
Diversa appare invece la valutazione con riferimento al danno da c.d. perdita di chance, che la Società calcola, sulla base di uno dei criteri emersi in giurisprudenza, nella quarta parte del mancato utile di impresa pari al 10 % dell’offerta aggiudicataria (Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1513; id., 9 novembre 2006, n. 6607), addivenendo pertanto alla cifra di euro 93.693,94. Di esso fornisce prova per il tramite dell’analisi comparativa dei bilanci di esercizio, che denotano negli anni 2005 e 2006 un calo consistente delle commesse. Esso tuttavia, come eccepito dalla difesa civica, deve essere rivalutato in diminuzione, essendo stato parametrato su due anni di riduzione dell’attività (2005 e 2006), laddove, come ampiamente chiarito nella precedente ricostruzione della complessa vicenda, l’aspettativa di buon fine non appare più tutelabile dopo il dispositivo della sentenza di annullamento dell’aggiudicazione (25 novembre 2005) e quindi non giustifica la mancata ricerca di diverse occasioni di lavoro per tutto l’anno 2006.
Tenuto conto altresì che ridetta aggiudicazione avrebbe potuto essere annullata in autotutela per la più volte ricordata perdita dei requisiti S.O.A., alla relativa liquidazione può pervenirsi su base equitativa, commisurandola proporzionalmente ad un lasso di tempo semestrale e quantificandola pertanto in euro 24.000,00.
Diversa valutazione meritano invece i costi finalizzati alla stipula del contratto, ovvero ai suoi affinamenti contenutistici, nonché per gli studi progettuali e la relazione di fattibilità necessari ai sensi del combinato disposto degli allora vigenti artt. 71 e 137 del d.P.R. n. 554/1999 e 25 della l. n. 109/1994. Di esse, la difesa civica contesta la genericità, riferendosi sostanzialmente a trasferte non necessariamente riconducibili ad esigenze della stazione appaltante. Sul punto, il T.A.R. per la Liguria ne ha affermato la “ordinarietà” nell’ambito di un rapporto post aggiudicazione, «avendo partecipato consapevolmente alla gara indetta da un’amministrazione comunale per lavori ivi ubicati». Il Collegio ritiene invece che le spese per le trasferte effettuate per raggiungere la sede dei lavori (futuri e auspicati) da quella dell’impresa, fisiologicamente riconducibili alla gestione dell’instaurando rapporto contrattuale, sarebbero effettivamente state assorbite nell’ordinaria attività gestionale, laddove si fosse addivenuti alla stipula del contratto; siccome, invece, all’aggiudicazione, che ne ha fondato l’aspettativa, non ha fatto seguito ridetta firma contrattuale, ne è evidente la indebita onerosità ed inutilità, che deve essere fatta gravare sull’Amministrazione che ne ha stimolato gli accessi, senza mai definire il procedimento.
Ribadito pertanto lo stralcio delle somme ricondotte espressamente ai costi di cantierazione anticipata, tra le quali rientrano anche quelle per le quali il Comune disconosce l’avvenuta convocazione (pari a euro 342,66), con ciò implicitamente ammettendola negli altri casi, esse ammontano ad euro 102.138,26, comprensive di costi assicurativi e spese professionali.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, e per l’effetto in riforma della sentenza del T.A.R. per la Liguria n. 569/2011, accoglie il ricorso n.r.g. 181 del 2010 limitatamente alle somme indicate in motivazione.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 ottobre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco, Presidente
Giancarlo Luttazi, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Giovanni Sabbato, Consigliere
Antonella Manzione, Consigliere, Estensore