-  Fabbricatore Alfonso  -  10/10/2015

CONSENSO INFORMATO: ONERE PROBATORIO E RESPONSABILITÀ DEL MEDICO - Cass. 19212/15 - di A.F.

Cassazione, sez. III Civile, 29 settembre 2015, n. 19212
Presidente Russo – Relatore Scarano

Non può ritenersi legittimo il consenso informato prestato verbalmente dal paziente sotto effetto di sedativi e con scarsa conoscenza della lingua italiana.

Il caso, molto singolare, vede come protagonista una donna che, a seguito di una caduta su di una pista da sci, riporta lesioni piuttosto serie al ginocchio destro. Ricoverata in una struttura ospedaliera, viene sottoposta ad intervento chirurgico ad entrambi gli arti inferiori, nonostante non avesse formalizzato il proprio consenso al trattamento chirurgico anche dell"altro ginocchio, tra l"altro non interessato dalla lesione. La richiesta di risarcimento danni avanzata dalla donna nei confronti del chirurgo viene rigettata sia in primo che in secondo grado.

Adita la S.C., la ricorrente si duole che la corte di merito abbia posto a fondamento dell'impugnata decisione prove testimoniali erroneamente assunte, in quanto volte a provare patti aggiunti o contrari a quelli in precedenza concordati in ordine all'intervento chirurgico da effettuarsi.          
Con il secondo motivo denunzia "violazione e falsa applicazione" degli artt. 1321, 1325, 1362 c.c., in relazione all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c.; si duole che la corte di merito abbia erroneamente negato natura negoziale all'atto contenuto nel documento scritto predisposto dal medico chirurgo e da lei sottoscritto relativo all'intervento chirurgico da eseguirsi al (solo) ginocchio destro. Lamenta, oltretutto, che la corte di merito abbia erroneamente riconosciuto valore al consenso asseritamente prestato verbalmente nel corso dell'intervento chirurgico per l'operazione anche del ginocchio sinistro, laddove tale consenso non poteva essere stato da lei comunque validamente prestato, essendo sotto narcosi e non conoscendo l'italiano. In ultimo contesta che la corte di merito l'ha erroneamente gravata di un indebito onere della prova del fatto negativo della mancata prestazione di consenso informato in ordine all'operazione (anche) al ginocchio sinistro, laddove è il medico (e/o la struttura) a dover provare di avere acquisito dal paziente il consenso informato relativamente all'intervento da eseguirsi.

Va anzitutto osservato che, secondo la più consolidata giurisprudenza, l'obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario senza il quale l'intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è nell'interesse del paziente (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748).

Ai sensi dell'art. 32, 2 co., Cost. (in base al quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge), dell'art. 13 Cost. (che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica) e dell'art. 33 L. n. 833 del 1978 (che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.) esso è a carico del sanitario, il quale, una volta richiesto al paziente, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso. 
Trattasi di obbligo che attiene all'informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, e in particolare in ordine alla possibilità che ne consegua (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 30/7/2004, n. 14638) un aggravamento delle condizioni di salute del medesimo, al fine di porlo in condizione di consentirvi consapevolmente (v. Cass., 14/3/2006, n. 5444).

Il medico ha pertanto il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell'intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854).           
Oltretutto l'acquisizione, da parte del medico, del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell'intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell'eventuale responsabilità risarcitoria in caso di relativa mancata prestazione da parte del paziente (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854. Cfr. altresì Cass., 16/05/2013, n. 11950, che ha ritenuto preclusa ex art. 345 c.p.c. la proposizione nel giudizio di appello, per la prima volta, della domanda risarcitoria diretta a far valere la colpa professionale del medico nell'esecuzione di un intervento, in quanto costituente domanda nuova rispetto a quella, proposta in primo grado, basata sulla mancata prestazione del consenso informato, differente essendo il rispettivo fondamento).

Trattasi, pertanto, di due distinti diritti: il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all'espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (cfr. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438), e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830), atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest'ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32, 2 co., Cost.); il trattamento medico terapeutico ha, viceversa, riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, 1 co., Cost.) (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830).

L'autonoma rilevanza della condotta di adempimento della dovuta prestazione medica ne impone pertanto l'autonoma valutazione rispetto alla vicenda dell'acquisizione del consenso informato (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060, e da ultimo Cass., 6/6/2014, n. 12830).             
A fronte dell'allegazione di inadempimento da parte del paziente, è onere del medico provare l'adempimento dell'obbligazione di fornirgli un'informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze (v. Cass., 9/2/2010, n. 2847), senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell'informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 20/8/2013, n. 19920). 
In mancanza di consenso informato l'intervento del medico - al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità - è pertanto sicuramente illecito, anche quando sia nell'interesse del paziente (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791).

Il consenso libero e informato, che è volto a garantire la libertà dell'individuo e costituisce un mezzo per il migliore perseguimento dei suoi interessi, consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico o anche di rifiutare (in tutte le fasi della vita, pure in quella terminale) la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748), salvo che ricorra uno stato di necessità non può mai essere presunto o tacito, ma deve essere fornito espressamente, dopo avere ricevuto un'adeguata informazione, anch'essa esplicita.          
Presuntiva può essere invece la prova che un consenso informato sia stato effettivamente ed in modo esplicito prestato, ed il relativo onere ricade sul medico (cfr. Cass., 27/11/2012, n. 20984). 
A tale stregua, a fronte dell'allegazione di inadempimento da parte del paziente è onere del medico provare l'adempimento dell'obbligazione di fornirgli un'informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze, senza che sia dato presumere la prestazione del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell'informazione, la quale deve sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con l'adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato soggettivo e del grado di conoscenze specifiche di cui dispone (cfr. Cass., 28/8/2013, n. 19920).           
Il consenso informato va d'altro canto acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell'evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo l'accadimento, in quanto solo al paziente spetta la valutazione dei rischi cui intende esporsi, sicché il professionista o la struttura sanitaria non possono omettere di fornirgli tutte le dovute informazioni (v. Cass., 19/9/2014, n. 19731). 
Orbene, va al riguardo posto in rilievo come il medico venga in effetti meno all'obbligo di fornire idonea ed esaustiva informazione al paziente, al fine di acquisirne un valido consenso, non solo quando omette del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando ne acquisisca con modalità improprie il consenso.

A tale stregua deve allora ritenersi a fortiori inidoneo un consenso come nella specie dalla paziente asseritamente prestato oralmente.

Al professionista (e di conseguenza, allo specialista) è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletare (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12995) e allo standard professionale della sua categoria.    
L"impegno dal medesimo dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale o lavorativa esercitata, giacché il professionista deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale o lavorativo della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità (cfr. Cass., 20/10/2014, n. 22222; Cass., 9/10/2012, n. 17143).       
Nell'adempimento delle obbligazioni (e dei comuni rapporti della vita di relazione) il soggetto deve osservare altresì gli obblighi di buona fede oggettiva o correttezza, quale generale principio di solidarietà sociale la cui violazione comporta l'insorgenza di responsabilità (anche extracontrattuale).

È pertanto tenuto a mantenere un comportamento leale, e ad osservare obblighi di informazione e di avviso nonché di salvaguardia dell'utilità altrui - nei limiti dell'apprezzabile sacrificio -, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche solo colposamente ingenerati nei terzi (cfr., con riferimento a differenti fattispecie, Cass., 20/2/2006, n. 3651; Cass., 27/10/2006, n. 23273; Cass., 15/2/2007, n. 3462; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 30/10/2007, n. 22860; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056; Cass., 27/4/2011, n. 9404, e, da ultimo, Cass., 27/8/2014, n. 18304).

La condotta di adempimento della dovuta prestazione medica va allora valutata sotto i segnalati profili della diligenza qualificata e della buona fede o correttezza, dovendo al riguardo altresì accertarsi se le conseguenze dannose verificatesi all'esito dell'evento lesivo siano, sotto il profilo del più probabile che non (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060), da considerarsi alla detta condotta causalmente astrette (cfr. Cass., 6/6/2014, n. 12830).

Le obbligazioni professionali sono dunque caratterizzate dalla prestazione di attività particolarmente qualificata da parte di soggetto dotato di specifica abilità tecnica, in cui il paziente fa affidamento nel decidere di sottoporsi all'intervento chirurgico, al fine del raggiungimento del risultato perseguito o sperato.

Affidamento tanto più accentuato, in vista dell'esito positivo nel caso concreto conseguibile, quanto maggiore è la specializzazione del professionista e la preparazione organizzativa e tecnica della struttura sanitaria presso la quale l'attività medica viene dal primo espletata. 
Secondo un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, in ogni caso di "insuccesso" incombe allora al medico o alla struttura provare che il risultato "anomalo" o anormale rispetto al convenuto esito dell'intervento o della cura, e quindi dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull'esperienza, dipende da fatto a sé non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto (v. Cass., 9/10/2012, n. 17143), bensì ad evento imprevedibile e non superabile con l'adeguata diligenza (cfr., Cass., 21/7/2011, n. 15993; Cass., 7/6/2011, n. 12274. E già Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 11/11/2005, n. 22894). In altri termini, dare la prova del fatto impeditivo (v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488), rimanendo in caso contrario soccombente, in applicazione della regola generale ex artt. 1218 e 2697 c.c., di ripartizione dell'onere probatorio fondata sul principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilità (v. Cass., 9/11/2006, n. 23918; Cass., 21/6/2004, n. 11488; Cass., Sez. Un., 23/5/2001, n. 7027; Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533; Cass., 13/9/2000, n. 12103), o ancor più propriamente (come sottolineato anche in dottrina), sul criterio della maggiore possibilità per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto più marcata quanto più l'esecuzione della prestazione consista nell'applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso specializzato nell'esecuzione di una professione protetta.


Orbene, i suindicati principi risultano essere stati disattesi dalla corte di merito. Per questi motivi la sentenza impugnata viene cassata e accolta la domanda attorea.




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