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Il biasimo verso un'azione che non solo leda le altrui prerogative, ma sia mossa da ragioni di basso tornaconto, interesserà il campo aquiliano ogniqualvolta il risultato sia l'inflizione di un danno a qualcuno.
Cosa fare allorquando il profitto che l’azione illecita assicura superi, di tanto o di poco, la misura delle perdite arrecate all'offeso?
La risposta, in un'ottica sensibile ai motivi della prevenzione, appare abbastanza scontata: occorre vanificare a monte il calcolo economico dell'autore: ossia prevedere che quel surplus di profitto andrà pur esso corrisposto, oltre al risarcimento, alla vittima.
E, nel caso di ombre circa momenti della causalità o della colpevolezza o su altre componenti della vicenda, nessun dubbio quale sarà la parte chiamata a pagare lo scotto maggiore.
Consideriamo le ipotesi che seguono.
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# a - Le vendite di un rotocalco scandalistico sono state, per un certo fascicolo, il doppio del consueto. Tre gli scoop, tutti quanti succulenti, presenti nel numero fortunato: il primo, un articolo lesivo della riservatezza di una celebrità (pettegolezzi di natura sanitaria e sessuale), gli altri due servizi perfettamente leciti.
La vedette cita la rivista per i danni; chiede altresì (e il giudice appare in via di massima d'accordo) il maggior profitto che è stato conseguito dal giornale: non si riesce però a stabilire in qual misura il successo del fascicolo sia dipeso dal servizio indiscreto.
Orbene, appare in armonia col principio "il delitto non paga" l'assunto secondo cui spetterà al rotocalco far luce sulle varie concomitanze che potrebbero, per una ragione o per l'altra, rovesciare il sospetto di diretta causalità tra il servizio sotto accusa e l' eccezionalità delle vendite.
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# b -- A maggior ragione un'impostazione del genere si raccomanderà là dove il precetto in esame figuri, addirittura, codificato.
Poniamo che alcune fabbriche, ciascuna indipendentemente dalle altre, abbiano inquinato le acque di un fiume, arrecando alla collettività un danno ecologico. Fra le tre industrie convenute una soltanto - quella A - può alla fine dell'anno vantare un saldo attivo di bilancio; le altre due hanno chiuso i conti in rosso.
In ciascuno dei tre bilanci (poniamo) il peso dell'attività che ha condotto all'inquinamento è senz'altro preponderante; impossibile però stabilire quale sia stata l'incidenza delle varie emissioni nel perturbamento delle acque.
Ecco allora che, per la quota risarcitoria di cui deve farsi carico, spetterà all'industria A la prova che il contributo fornito al degrado ambientale, al di là di ogni rilievo contabile/finanziario, è stato in effetti marginale.