-  Redazione P&D  -  04/02/2008

Cass., Sez. Trib. , 29 agosto 2007, n. 18219, rel. Scuffi, Pres. Lupi LE DIRETTIVE COMUNITARIE COSTITUISCONO PARAMETRO DI LEGITTIMITA' DELLA LEGISLAZIONE DOMESTICA - Cristiano GOBBI

Sebbene il Governo nazionale non può imporre ai cittadini dello Stato obblighi che derivino da direttive comunitarie non recepite nell’ordinamento interno, le previsioni delle direttive fungono comunque da parametro di legittimità della normativa interna e ne condizionano l’interpretazione, che deve essere, per quanto possibile, conforme al senso precettivo delle direttive stesse. 

In tal senso occorre rimirare all’orientamento pacifico della giurisprudenza comunitaria, la quale chiarisce il senso delle direttive, vincolando, non solo il giudice di rinvio, ma anche le altre giurisdizioni nazionali alla stregua di quanto accade negli ordinamento anglosassoni in cui vige il principio dello stare decisis. 

Onde per cui se le direttive comunitarie presentano caratteristiche tali da non impedire la diretta applicazione nell’ordinamento degli Stati membri, il contribuente può invocarne i relativi principi per vedersi garantito da norme nazionali vessatorie e contrastanti con la normativa comunitaria. 

Al contrario, tale indirizzo non può essere utilizzato a favore dell’Amministrazione finanziaria, poiché in caso contrario, come più volte affermato, il Governa nazionale inadempiente trarrebbe inammissibilmente vantaggio dalle proprie inosservanze (collidendo con i principi generali di certezza del diritto e di irretroattività)
A tale principio la sentenza affianca un altro non meno importante. 

Il giudice nazionale deve interpretare la normativa interna in senso conforme alla lettera e allo scopo delle direttive al fine di conseguire il risultato a cui è orientata la direttiva. 

In questo senso la Corte di Giustizia ha affermato a chiare lettere (con le sentenze 5.10.1984, C-397-403/01 e 27.6.2000, C-240-244/98) che il giudice nazionale deve interpretare il diritto nazionale in chiave evolutiva, cercando sempre di attribuirgli un significato compatibile con il diritto comunitario. 

A tal riguardo la Cassazione appella tale spunto esegetico quale “interpretazione conforme” ed opina che “ se il giudice non può basarsi su una direttiva inattuata per modificare in senso sfavorevole al singolo l’interpretazione di una disposizione interna nulla impedisce che il contenuto generale di quella direttiva possa essere dal giudice comunque utilizzata per pervenire ad una interpretazione aderente agli elementi già ricavabili nel contesto normativo nazionale”. 

Infine, e l’aspetto meriterebbe ben altro spazio, la Suprema Corte ha concluso affermando che le sentenza pregiudiziali di interpretazione non solo vincolano il giudice di rinvio ma anche le altre giurisdizioni degli Stati membri per cui la loro autorità si avvicina al principio dello stare decisis con l’unico temperamente che ciascun giudice mantiene comunque la facoltà di introdurre a sua volta ricorso pregiudiziale ancorché la stessa questione sia già stata definita.




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