Appartengo ad una generazione che non ha visto (almeno non da vicino) guerre, che non ha partecipato a rivoluzioni importanti, che è crescita in un clima politico che troppo presto ha cominciato a lottare per dare fiducia a quanti rappresentavano gli organi costituzionali dello stato.
Poche volte ho provato quel genere di emozione - del tutto particolare, intensa, colma di una profondità che te ne fa sentire la mancanza appena la senti - che nasce dal sentirsi parte di una storia comune, di una comunità di persone che, nelle loro differenze, sono tutti dalla stessa parte. Per quanto possa sembrare semplice e, a tratti, scontato (ma il bene ha stranamente sempre questa caratteristica: sembra banale nelle sue affermazioni) di sentirsi al sevizio di un bene comune.
Ascolto – commuovendomi - storie di chi, per una volta, segue senza polemiche, arretra senza rancori, mette da parte le sfumature e guarda all'essenziale. Storie in cui anche il dissenso (detto, nascosto, neanche nato) è sentito come parte di un processo comune e questa appartenenza trasuda da ogni sillaba, pensiero. Di chi fa il suo lavoro senza clamori, lascia andare i suoi morti nel silenzio, tace dignitosamente sulle sue difficoltà. E (ripeto, per quanto possa sembrare scontato) mi commuovo.
E' una commozione bella, bellissima. Lavorare in una umiltà che mai è stata cosi ambiziosa, cosi desiderosa di far bene, meglio, sempre di più. E' la semplice banalità del bene.
Mi viene da pensare che spesso la viviamo per una stagione e poi la lasciamo andare, in una strana convinzione che è troppo complicato. Mi viene da pensare che è una sensazione strana: se la vivi da solo - se ne parli come di una tua convinzione, esperienza - ti tacciano di un buonismo inconsapevole, di una religiosità cieca, di istinti rimossi o ambizioni mascherate. Ma se la senti come frutto di una esperienza comune (una di quelle che a nominarla hai paura di svilirla, di guastarla) è cosi forte che, se vuoi, può cambiarti la vita. E' commuovente. Banalmente commuovente.