-  Mazzon Riccardo  -  20/12/2012

AUTODETERMINAZIONE DEL MALATO: CONTRATTO DI SPEDALITA' E DANNI RISARCIBILI - Riccardo MAZZON

Con l'atto di citazione prodromico all'interessante pronuncia che segue, l'attrice conveniva in giudizio l'Azienda Ospedaliera, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa dell'intervento di di embolizzazione e radiochirurgia eseguito nei suoi confronti.

In particolare l'attrice deduceva che:

  • nell'ottobre del 2000, a seguito di una caduta improvvisa accompagnata da vertigine, era stata ricoverata presso altra struttura sanitaria per degli accertamenti, all'esito dei quali le era stata diagnosticata una malformazione congenita artero venosa cerebrale e le era stato consigliato di rivolgersi ad un centro specializzato per il trattamento della patologia;
  • si era, quindi, rivolta alla divisione di neurochirurgia dell'Ospedale interessato dal contenzioso ed il relativo personale sanitario le aveva consigliato di sottoporsi ad un intervento di embolizzazione e successiva radioterapia;
  • il 02.05.01 era stata ricoverata e le era stato fatto sottoscrivere un foglio con alcune indicazioni sommarie sull'intervento;
  • il successivo 03.05.01 era stata operata;
  • dopo l'intervento aveva iniziato ad accusare dei disturbi intensi (marcata riduzione dell'udito, vomito, cefalea, difficoltà di deambulazione, pressione alta) ed era stata sottoposta a degli esami che avevano accertato la presenza di "multipli minuti esiti di lesioni micro infartuali";
  • il 15.05.01 era stata perciò trasferita presso il centro di rieducazione di altra struttura ospedaliera, dove aveva iniziato un programma di riabilitazione;
  • ciò nonostante, aveva continuato ad accusare dei gravi disturbi uditivi e neurovegetativi, a causa dei quali non era più stata in grado di provvedere alle necessità quotidiane più elementari (impossibilità di provvedere autonomamente all'igiene personale, alla vestizione, all'acquisto e alla preparazione dei pasti);
  • nel settembre del 2001 la Commissione medica le aveva riconosciuto l'invalidità civile totale e invalidità lavorativa del 100% permanente oltre al diritto a ricevere un'indennità di accompagnamento:

"sulla base di tali deduzioni l'attrice, lamentando una responsabilità del personale medico sanitario per non aver correttamente eseguito l'intervento concordato e per non averla correttamente informata sui rischi a questo connessi, ha chiesto la condanna dell'Azienda Ospedaliera convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza della lesione dell'integrità psico-fisica riportata a seguito dell'intervento, a titolo di responsabilità sia contrattuale sia extracontrattuale" Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. merito 2011, 9, 2094 - cfr. amplius, da ultimo, "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012.

 

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Nel costituirsi in giudizio, l'Azienda Ospedaliera chiedeva il rigetto delle domande attoree, deducendo, in particolare, che:

  • l'angioma cerebrale diagnosticato alla paziente interessava una zona particolarmente delicata del cervello;
  • a causa di tale patologia vi era un alto il rischio di un'emorragia cerebrale improvvisa con possibili esiti anche mortali;
  • di concerto con la paziente era stato quindi scelto di praticare un intervento chirurgico di embolizzazione dell'angioma, seguito da un ciclo di radioterapie, al fine di prevenire tale evenienza;
  • in particolare, considerate le condizioni della paziente (sede della malformazione, età, ipertensione, precedenti episodi), era stato scelto il suddetto trattamento, in quanto ritenuto il più adeguato secondo la scienza medico-chirurgica dell'epoca;
  • al momento del ricovero era stato consegnato alla paziente un foglio informativo, indicante i caratteri essenziali dell'intervento programmato, ed il medico curante si era reso disponibile per qualsiasi ulteriore informazione;
  • l'operazione era stata eseguita correttamente ed, infatti, la malformazione era stata completamente eliminata;
  • l'evento ischemico ed emorragico verificatosi durante l'intervento, seppur prevedibile come conseguenza della procedura praticata, non era prevenibile:

"'istruttoria del giudizio si è articolata nell'espletamento di CTU medico legale ad opera dei dottori G. C. e P. B., la cui relazione è stata depositata il 23.04.07 ed integrata in ordine ai quesiti già formulati su richiesta del Giudice con note depositate il 05.12.08 ed 18.09.09. All'udienza del 27.05.10 le parti hanno precisato le conclusioni nei termini di cui in epigrafe, confermando quanto già richiesto nei rispettivi atti introduttivi. Alla scadenza dei termini assegnati per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, la causa è stata trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda proposta dall'attrice ha ad oggetto, quale petitum, il risarcimento del danno conseguente alla lesione dell''integrità psico-fisica subita a seguito dell'intervento del 2/5/01, ed è fondata su una duplice causa petendi: a) la colpa professionale del personale sanitario nella scelta e nell'esecuzione dell'intervento; b) la violazione da parte del personale sanitario dell'obbligo di informare l'attrice di tutte le conseguenze e i rischi dell'operazione e quindi di acquisire il suo consenso pieno e consapevole all'esecuzione dell'intervento" Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. merito 2011, 9, 2094

L'occasione processuale conseguente alla fattispecie testé descritta è proficuamente colta, dal giudice adito, anche per delineare brevemente le caratteristiche che contraddistinguono il contratto – di natura atipica – c.d. "di spedalità", che si instaura, tra la paziente e la struttura ospedaliera, al momento dell'accettazione della domanda di ricovero.

In particolare, osserva il giudicante come, da tale contratto, derivino, a carico della struttura ospedaliera:

un'obbligazione principale di cura ed assistenza;

una serie di obbligazioni strumentali ed accessorie, la prima delle quali consiste nell'obbligo di fornire alla paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili, riguardanti le terapie che il personale sanitario intende praticare - o l'intervento chirurgico che intende eseguire -, con la specificazione dei rischi della terapia e dell'intervento, nonché della sua omissione (sul contenuto dell'obbligo di informazione gravante sul personale sanitario, il Tribunale adito richiama esplicitamente Cass. n. 15698/10; sulla natura contrattuale della responsabilità, conseguente alla sua violazione, in quanto obbligazione scaturente dal rapporto contrattuale, richiama invece Cass n. 2847/10).

Con specifico riguardo alla violazione dell'obbligo di informazione, il Tribunale altresì precisa (richiamando, a riprova del più recente orientamento di legittimità, Cass. n. 2847/10) come i danni non patrimoniali astrattamente risarcibili, purché derivanti da una lesione di apprezzabile gravità, possano essere di duplice natura:

"1) quelli conseguenti alla lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente (la cui autonomia ontologica viene ormai riconosciuta dalla giurisprudenza e dalla dottrina, attraverso il richiamo dell'art. 2 Cost., che promuove e tutela i diritti fondamentali della persona, dell'art. 13 Cost, che stabilisce l'inviolabilità della libertà personale, e dell'art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea -avente valore cogente nel nostro ordinamento a seguito dell'entrata in vigore del trattato di Lisbona avvenuta il 01.12.09- in cui è sancito l'obbligo di rispettare il consenso libero ed informato dell'interessato nell' esercizio dell'attività medica); 2) quelli conseguenti alla lesione del diritto all'integrità psico-fisica del paziente, tutelato dall'art. 32 Cost." Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. Merito 2011, 9, 2094.

In particolare, quanto alla risarcibilità dei danni conseguenti alla lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente, il giudice adito precisa come essa possa essere riconosciuta anche se non sussista lesione della salute (si veda anche Cass., n. 2468/2009) – ovvero anche se la lesione della salute non sia causalmente collegabile alla lesione di quel diritto (perché l'intervento o la terapia sono stati scelti ed eseguiti correttamente) -; sempre, però, che siano configurabili conseguenze pregiudizievoli (di apprezzabile gravità, se integranti un danno non patrimoniale) derivate dalla violazione del diritto fondamentale all'autodeterminazione in sé stesso considerato (il Tribunale, nell'affermare detto principio, richiama Cass. n. 2847/10 ed esplicitamente si riferisce prevalentemente al turbamento e alla sofferenza che deriva al paziente, sottoposto ad atto terapeutico, dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perché non prospettate e, anche per questo, più difficilmente accettate).

Quanto, invece, alla risarcibilità del danno da lesione della salute - che si verifichi per le non imprevedibili conseguenze dell'atto terapeutico necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato -, essa, necessariamente, presuppone l'accertamento che il paziente quel determinato intervento avrebbe rifiutato se fosse stato adeguatamente informato, con l'ulteriore precisazione che il relativo onere probatorio, suscettibile di essere soddisfatto anche mediante presunzioni, grava sul paziente:

  • perché la prova di nesso causale tra inadempimento e danno comunque compete alla parte che alleghi l'inadempimento altrui e pretenda per questo il risarcimento;
  • perché il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico;
  • perché si tratta pur sempre di stabilire in quale senso si sarebbe orientata la scelta soggettiva del paziente, sicché anche il criterio di distribuzione dell'onere probatorio in funzione della "vicinanza" al fatto da provare induce alla medesima conclusione;
  • perché il discostamento della scelta del paziente, dalla valutazione di opportunità del medico, costituisce un'eventualità che non corrisponde all'id quod plerumque accidit" (si veda anche, in questi termini Cass. n. 2847/10):

"nel caso di specie la violazione dell'obbligo di informazione è stata invocata dall'attrice, quale secondo profilo della causa petendi, a sostegno della domanda di risarcimento del danno derivante dalla lesione del diritto alla salute, sicché non rileva il diverso danno derivante dalla lesione del diritto all'audoterminazione in sé (sull'autonomia dei due diritti e sulla conseguenza diversità della domanda risarcitoria v. anche Cass. n. 18513/07). Ciò chiarito, occorre quindi accertare: 1) se vi sia stata una lesione del diritto alla salute dell'attrice in conseguenza dell'intervento eseguito presso la struttura ospedaliera riconducibile alla convenuta; 2) se tale lesione sia causalmente riconducibile ad un comportamento colposo del personale sanitario nella scelta o nell'esecuzione dell'intervento; 3) ovvero (nel caso in cui tale comportamento colposo non sia riscontrabile) se tale lesione sia riconducibile ad una violazione dell'obbligo di informazione gravante sul personale sanitario (più precisamente, se, una volta accertato la violazione di detto obbligo, l'attrice non si sarebbe sottoposta all'intervento che ha determinato la lesione del diritto alla salute, qualora fosse stata adeguatamente informata circa le sue conseguenze)" Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. Merito 2011, 9, 2094.

Da quanto sopra riferito emerge chiaramente come, anche nell'ambito che qui ci occupa, la consulenza tecnica d'ufficio svolga un ruolo fondamentale in relazione all'esito del contenzioso; nel procedimento in esame, ad esempio, la CTU collegiale espletata nel corso del giudizio ha accertato che:

l'attrice, il 2/5/01, ha subito presso l'Ospedale civile maggiore di Verona un intervento di embolizzazione della formazione aneurismatica cerebellare, nel corso del quale si è verificato un insulto ischemico, che ha determinato "severa ipoacusia bilaterale, atassia, cerebellare, disturbi neurovegetativi, distaria, ipofonia e diplopia soggettiva";

nel corso del tempo, si è assistito alla regressione pressoché completa dei disturbi neurovegetativi e al miglioramento della disartria ed ipofonia, della motricità e dei passaggi posturali:

"sulla base di tali accertamenti, la CTU ha quantificato nel 65 % il danno biologico subito dalla parte in conseguenza dei postumi permanenti su evidenziati (incidenti sulla capacità uditiva, di comunicazione e do deambulazione) e in 150 giorni il periodo di invalidità temporanea. Gli accertamenti e le conclusioni dei CCTTUU sul punto appaiono immuni da censure di carattere logico o tecnico (tanto che non sono stati specificamente contestati dalle parti) e possono essere quindi posti a base della decisione" Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. Merito 2011, 9, 2094.

Peraltro, quanto all'accertamento concernente la configurabilità di un comportamento colposo del personale sanitario - nella scelta e nell'esecuzione dell'intervento che ha determinato la su descritta lesione -, al riguardo la CTU (collegiale) espletata nel corso del giudizio, ha accertato che:

l'attrice, in esito a controlli medici effettuati alla fine del 2000, era risultata affetta da una malformazione artero venosa (MAV) con nidus di aspetto plessiforme di 20 mm, a sede vermiana superiore del cervelletto, alimentata solo dal circolo posteriore e cioè dalla arterie cerebellari superiori destra e sinistra;

la risonanza del 18/11/00 aveva rivelato gli esiti di un pregresso evento emorragico;

il procedimento terapeutico scelto dal personale sanitario dell'ospedale civile (embolizzazione con eventuale radiochirurgia stereotassica di complemento) si è rivelato congruo rispetto alle condizioni della paziente ed alla tipologia di patologia diagnosticata (l'opzione chirurgica infatti non era facilmente percorribile ed era molto più rischioso per la profondità della MAV);

il trattamento in questione, come qualsiasi opzione di intervento sulla MAV, era "gravato da possibili complicanze quali disturbi della vista, dell'equilibrio e del coordinamento";

l'intervento di embolizzazione è stato eseguito correttamente ed ha raggiunto lo scopo principale di chiusura della MAV, evitando la chiusura di vasi di calibro e l'iniezione della colla in vasi sani o la chiusura di vene di scarico;

il danno riportato dall'attrice è imputabile ad un insulto ischemico intraoperatorio, attribuibile all'occlusione o all'insufficienza di circolazione a livello delle arteriole perforanti (non visibili all'epoca con l'angiografia in uso) ovvero, in alternativa, all'assestamento del circolo sanguigno locale che, portando alla ridistribuzione del flusso sanguigno nei vasi pervi, ha determinato una condizione transitoria di ipo o iperflusso;

l'insulto ischemico intraoperatorio rappresentava un rischio elevato dell'intervento, prevedibile (anche se non nelle conseguenze specifiche), ma non evitabile;

l'ipotesi del consulente tecnico di parte attrice, secondo cui l'intervento avrebbe interessato arterie diverse ed ulteriori rispetto a quelle che dovevano essere trattate, non trova alcun riscontro nell'angiografia eseguita al termine dell'embolizzazione, che invece ha confermato la corretta esecuzione dell'intervento ed il suo esito positivo:

"gli accertamenti e le conclusioni dei CCTTU anche sul appaiono immuni da censure logiche o tecniche e possono essere quindi posti a base della decisione. In particolare, deve essere affermata la condivisibilità della risposta alle contestazioni del CTP dell'attrice contenuta nell'ultima pagine della relazione depositata il 23/4/07 e nella nota finale ad essa allegata. Sulla base di tali accertamenti deve quindi escludersi la configurabilità di una condotta colposa del personale sanitario nella scelta e nell'esecuzione dell'intervento dedotto in giudizio" Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. Merito 2011, 9, 2094.

Quanto, in particolare, alla valutazione del corretto espletamento del dovere informativo da parte dei sanitari (e della sua incidenza causale sulla lesione dell'integrità psico-fisica conseguita all'intervento), il Tribunale valorizza al massimo grado le risultanze della CTU, ponendo, in particolare, in evidenza le seguenti conclusioni:

l'insulto ischemico intraoperatorio rappresentava un rischio elevato dell'intervento, prevedibile (anche se non nell'entità delle conseguenze specifiche), ma non evitabile;

non vi sono studi attendibili sull'evoluzione delle MAV in caso di mancata esecuzione di interventi correttivi (come quello praticato all'attrice), soprattutto perché di regola il paziente cui viene diagnosticata la MAV si sottopone ad intervento;

i pochi studi esistenti sull'evoluzione delle MAV in caso di mancata esecuzione dell'intervento correttivo riguardano una popolazione selezionata, poco rilevante dal punto di vista numerico;

gli autori che si sono occupati di tali studi sottolineano che piccoli MAV (come quello dell'attrice) presentano un rischio di risanguinamento pari al 52 % del casi in 5 anni e che il rischio di mortalità in occasione di una seconda emorragia è pari al 20 %;

gli effetti del risanguinamento della MAV, anche se non tali da terminare l'evento letale, provocano importanti disabilità, poiché riguardano l'area tronco-crerbrale.

E' proprio sulla base di tali accertamenti che il Tribunale tara l'obbligo informativo gravante sul personale sanitario, affermando che esso avrebbe dovuto riguardare

"non solo la descrizione del tipo di intervento suggerito (e delle ragioni che lo rendevano preferibile agli altri praticabili), ma anche la rappresentazione" Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. Merito 2011, 9, 2094:

  •  dei rischi derivanti dalla sua esecuzione (ed in particolare, tra gli altri, il rischio elevato, anche in caso di esecuzione corretta, di un insulto ischemico intraoperatorio, con la conseguenza di possibili disabilità nella comunicazione e nella deambulazione, anche importanti, pur se non prevedibili nell'entità specifica);
  • dei rischi in caso di mancata esecuzione dell'intervento (ed in particolare la mancanza di studi attendibili, la possibilità, o probabilità fino al 52% secondo alcuni autori, di un risanguinamento della MAV, ed i possibili effetti di un risanguinamento della MAV, dal decesso, indicato da alcuni autori con una percentuale del 20 %, alle varie disabilità dipendenti dall'area tronco-cerebrale).

Ribadito, peraltro, che l'onere della prova dell'adempimento dell'obbligo informativo grava sulla struttura ospedaliera, il Tribunale ritiene che, nel caso di specie tale prova (con specifico riferimento al contenuto dell'obbligo informativo su evidenziato) non possa dirsi acquisita:

"in questa prospettiva va evidenziato che: a) non è stato prodotto alcun modulo scritto riportante il contenuto delle informazioni fornite all'attrice e l'acquisizione del suo consenso; b) la testimonianza dei medici (A. P. e P. Z.) che hanno tenuto i colloqui nel corso dei quali è stato acquisito il consenso dell'attrice e la testimonianza dei medici (P. Z. e A. B.) che hanno eseguito in concreto l'intervento stesso, non sono valutabili, in quanto il testimoni, come tempestivamente eccepito dall'attrice, sono privi di legittimazione a deporre, ai sensi dell'art. 246 c.p.c., avendo un interesse attuale e diretto in relazione all'accertamento giurisdizionale, tale da giustificare la loro partecipazione al giudizio (basti evidenziare al riguardo che l'attrice avrebbe potuto proporre la propria domanda risarcitoria, fondata proprio sulla deduzione di un comportamento colposo nell'esecuzione dell'intervento e sull'inadempimento dell'obbligo di informazione, anche nei confronti dei medici in questione, facendo valere la loro responsabilità da contatto sociale: v. SU n.577/08); c) non sono stati allegati ulteriori elementi di prova sul punto" Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. Merito 2011, 9, 2094.

L'ultima analisi il Tribunale la riserva al c.d. giudizio di prognosi postuma, necessario per accertare la sussistenza di un nesso causale tra l'inadempimento dell'obbligo informativo e la lesione dell'integrità subita dall'attrice per effetto dell'intervento: l'attrice, qualora avesse ricevuto tutte le informazioni su esposte, avrebbe rifiutato o meno di sottoporsi all'intervento?

Opportunamente il magistrato rileva come si tratti di un giudizio delicato, caratterizzato da difficoltà assimilabili a quelle affrontate dalla giurisprudenza che si è occupata della ricostruzione della volontà presuntiva di rifiutare l'assistenza sanitaria di pazienti in condizioni neurovegetative:

"tale giudizio, in particolare, deve essere basato principalmente su valutazioni presuntive, indirizzate dalla considerazione generale del comportamento della persona media nelle stesse condizioni, ma soprattutto dalla considerazione specifica della volontà dichiarata dall'interessato in condizioni simili o, in mancanza, della sua personalità, delle sue inclinazioni e delle sue contesto di vita" Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. Merito 2011, 9, 2094.

Particolarmente interessante, inoltre, risulta la conclusione cui giunge il Tribunale per supplire, nel caso di specie, alla circostanza secondo la quale l'attrice aveva omesso del tutto le necessarie allegazioni specifiche sulla sua situazione personale: il giudizio presuntivo, in ipotesi di tal fatta, non può, secondo il magistrato, che concentrarsi sulla considerazione generale del comportamento della persona media nelle stesse condizioni.

Bisogna in altri termini, sostiene il Tribunale, chiedersi cosa avrebbe fatto una persona media nelle stesse condizioni, debitamente informata, di fronte all'alternativa tra la scelta di un intervento risolutivo della patologia, ma con rischio elevato di un evento ischemico intraoperatorio tale da determinare disabilità imprevedibili nell'entità, e la scelta di non sottoporsi all'operazione, con il rischio (possibile o probabile secondo alcuni autori) di un risanguinamento improvviso (ossia non prevedibile sotto il profilo temporale) e non prevenibile, tale da determinare il decesso o comunque disabilità imprevedibili nell'entità.

In questa prospettiva acquistano decisivo rilievo:

  • l'istinto di sopravvivenza e lo spirito di conservazione dell'essere umano,
  • l'indiscutibile rilievo (come speranza) della possibilità di un intervento risolutivo del problema senza conseguenze,
  • la naturale difficoltà ad affrontare (in caso di mancata sottoposizione all'intervento) la prospettiva di una vita residua del tutto incerta, in quanto caratterizzata dalla "spada di Damocle" consistente nel rischio, da un momento all'altro, di un episodio emorragico con effetto letale o comunque inabilitante:

"sulla base di tale considerazione deve ritenersi maggiormente probabile, secondo l'id quod plerumque accidit, la scelta di sottoporsi all'intervento proposto in ogni caso (anche nell'ipotesi di esatto adempimento dell'obbligo informativo). D'altra parte, una conferma di ciò si rinviene proprio nella considerazione, evidenziata dai CCTTUU, della mancanza di studi attendibili sull'evoluzione naturale delle MAV, poiché di norma gli individui cui viene diagnosticata scelgono di sottoporsi all'intervento. Questo giudizio presuntivo non è inficiato dalla considerazione dell'età dell'attrice (67 anni al momento dell'intervento), in quanto la parte non risultava affetta da altri gravi patologie, sicché, in caso di risoluzione del problema della MAV e facendo riferimento ad una vita media di almeno 80 anni (valore preso a riferimento anche dalle varie tabelle per la liquidazione del danno alla persona in uso presso i tribunali), le sue aspettative di vita residua, al momento dell'intervento, erano comunque significative e tali da attribuire sicuro rilievo alla speranza di un intervento risolutivo a fronte delle incertezze in caso di omessa esecuzione dell'intervento. Pertanto, ribadita la carenza di allegazioni specifiche sulla personalità e sul contesto di vita dell'attrice, il giudizio di prognosi postuma effettuato induce ad escludere il nesso di causalità tra l'inadempimento all'obbligo informativo e la scelta di sottoporsi all'intervento con le relative conseguenze. La domanda dell'attrice deve quindi giudicarsi infondata e va rigettata. Quanto alle spese di lite, considerata la complessità in fatto e in diritto della fattispecie dedotta in giudizio, si giudica che sussistano giusti motivi per disporne la compensazione integrale. P.Q.M. definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da M. C. con atto di citazione notificato il 28.01.04, così provvede: rigetta la domanda dell'attrice; dispone la compensazione integrale delle spese di lite Verona, 10 gennaio 2011" Tribunale Verona, sez. IV, 10/01/2011 - Giur. merito 2011, 9, 2094.




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