Cultura, società  -  Paolo Cendon  -  16/08/2023

Annie Sullivan

Leggo in classe una storia.

Dopo aver premesso che, per aiutare le persone, è necessario talora insistere

Quella che propongo è   la trama di un celebre film, di Arthur Penn, del 1962, “Anna dei miracoli” (The Miracle Worker): i rapporti fra la sordo-cieca Helen Keller e la sua insegnante Annie Sullivan.

Niente d’inventato, ecco la sintesi.

“Tuscumbia, 1886, Alabama: Helen Keller è un’adolescente cieca e sorda fin da piccola, è stata cresciuta dai genitori Kate e Arthur; i quali assecondano da sempre ogni suo desiderio. Le si concede pressoché tutto, mangia con le mani, distrugge gli oggetti, butta per terra i fogli su cui il padre lavora.

 Pur amandola molto, il padre e il fratellastro non riescono sempre a sopportarla; pensano a un certo punto di farla rinchiudere in un ospedale per malati mentali: le accorate richieste della madre li convincono però a contattare un centro di Boston, e a richiedere l'invio di una persona, in grado di occuparsi della turbolenta Helen.

Giunge dalla città una giovane donna, Annie Sullivan; alle prime armi come insegnante, assai determinata però, segnata da un'infanzia difficile. Era anche lei cieca, ha passato svariati anni in manicomio, in condizioni disumane. Sin dai contatti iniziali si rende conto dell'intelligenza della piccola che le è affidata, frustrata dai continui capricci, cui nessuno ha mai opposto resistenza; decide di imprimere una svolta a quella vita confusa, lottando per insegnare a Helen la disciplina.

  Metodi poco apprezzati tuttavia dai genitori, i quali dubitano che il comportamento della figlia possa migliorare. Propensi a licenziare l'energica maestra, vengono dissuasi infine da varie argomentazioni.

Annie chiede di poter lavorare con Helen in completa solitudine, per un certo periodo; lontano dai suoi cari, in modo che possa venir impartita una nuova educazione. I Keller abitano in una grande tenuta di campagna, all'interno della quale si trova una baracca semi-abbandonata; sufficientemente distante dalla loro abitazione.

 Per Annie è il luogo ideale: ecco che maestra e allieva si insediano lì, per un paio di settimane.

L'impegno della donna bostoniana urta, all’inizio, contro un muro di ribellione; col passare dei giorni Helen si rassegna però ad accettare alcune restrizioni: beve nel bicchiere, modera le proprie intemperanze, è meno disordinata.

Stenta soltanto a collegare le parole imparate - ripetute coi gesti dell'alfabeto per i muti - con gli oggetti che esse designano.

  Al termine delle due settimane mamma Kate si mostra ansiosa di riabbracciare la figlia. A nulla valgono le resistenze dell'istitutrice, conscia di aver svolto solo una parte del lavoro. Helen viene riportata a casa; per i genitori è già tanto averne moderato gli eccessi, averle insegnato la pulizia.

 Durante un pranzo con la famiglia, alla presenza anche della zia e del fratellastro, la piccola dà segno però di riprendere le antiche abitudini. Con forza Annie la strappa allora dall'indulgenza del padre e della madre, la conduce in giardino; moltiplicando qui gli sforzi per indurla a collegare le parole con le cose. D'improvviso Helen pronuncia il vocabolo ‘acqua’, mostrando di aver capito la lezione; rivelando per la prima volta di comprendere il nesso tra la parola ‘acqua’, nell'alfabeto dei muti insegnatole da Annie, e la parola acqua imparata da piccola.

  È il primo passo verso una vita autonoma. I Keller, riconoscenti alla maestra, avvolgono Helen in un grande abbraccio.  Più tardi sarà la piccola stessa a raggiungere Annie, baciandola con gratitudine nella scena finale”.

 




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