-  Dragone Massimo  -  14/01/2011

ANCORA IN CORTE COSTITUZIONALE LA RIVALUTAZIONE DEGLI INDENNIZZI PER DANNI DA TRASFUSIONE - Massimo DRAGONE

Dopo il Tribunale di Reggio Emilia, anche il Tribunale del Lavoro di Parma ha rimesso gli atti alla Corte Costituzionale che dovrà pronunciarsi sulla costituzionalità della norma, recentemente intervenuta, che nega la rivalutazione integrale dell'indennizzo per danni da trasfusione e somministrazione di emoderivati infetti, di cui alla legge 210/1992.
Come noto, la materia è stata recentemente disciplinata dall'art. 11, commi 13 e 14 del DL 31 maggio 2010 n. 78, convertito con la L. 122/2010, che così dispone: 

comma 13: “Il comma 2 dell’articolo 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si interpreta nel senso che la somma corrispondente all’importo dell’indennità integrativa speciale non è rivalutata secondo il tasso d’inflazione”;
comma 14: “Fermo restando gli effetti esplicati da sentenze passate in giudicato, per i periodi da esse definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa l’efficacia di provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13, in forza di un titolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Avverso tale contestata norma era già stata sollevata eccezione di incostituzionalità dal Tribunale di Reggio Emilia in data 17 settembre 2010. Sulla base di analoghe motivazioni la questione è stata riproposta alla Corte Costituzionale dal Tribunale di Parma, sezione lavoro. 

Nell'ordinanza in commento il tribunale parmense, dopo aver riepilogato le "numerose e contraddittorie decisioni sia delle corti di merito che della Corte di Cassazione" (per una panoramica ci si permette di rinviare a: Dragone, “La rivalutazione degli indennizzi da vaccinazioni e trasfusioni: il legislatore "stoppa" le Sezioni Unite", in La responsabilità civile, UTET, 2010, 652 ss), prende espressa posizione ed afferma, con approfondita e convincente motivazione, che è da ritenersi preferibile l'orientamento espresso da Cass 28 luglio 2005 n. 15894 e da Cass 27 agosto 2007 n. 18109, secondo cui "entrambe le componenti dell'indennizzo debbono essere rivalutate annualmente …., ai sensi di quanto disposto dal citato art. 2 legge 25 febbraio 1992 n. 210".
Il tribunale passa poi ad esaminare le specifiche violazioni poste in essere dall’art. 11, commi 13 e 14 citati che, "pur qualificandosi come norme di interpretazione autentica, in realtà introducono una vera e propria modifica legislativa". Ne deriva, sotto vari profili, la sospettata violazione degli articoli 3, 32, 117, 24, 25 primo comma, 102,104 e 111 della Costituzione:, nonché il contrasto con gli articoli 35,2 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU).
 
Passando all'esame delle varie censure, le stesse possono così riassumersi: 

1) in primo luogo, secondo l'ordinanza di rimessione, la normativa oggetto di censura viola i principi di uguaglianza ed equità, sanciti dall'art. 3 della Costituzione e degli artt. 2 e 14 CEDU che tutelano, rispettivamente, il diritto alla vita e il divieto di discriminazione perché essa determina illegittima disparità di trattamento nell'ambito di categorie di persone che si trovano in analoghe situazioni ed in particolare tra i titolari di indennizzo ex L. 210/92 ed altri titolari di prestazioni pensionistiche e assistenziali (vaccinati e soggetti affetti da "sindrome da talidomide"), posto che per questi ultimi, a differenza dei primi, l'indennizzo viene corrisposto interamente rivalutato in base agli indici Istat (art. 1 IV co. L. 229/05 e art. 1 primo co. Decreto 163/09). 

2) Viene inoltre ravvisata violazione del diritto alla salute (art. 32 Costituzione), tutelato anche dall'art. 35 CEDU "Protezione della Salute", in quanto la mancata rivalutazione della "somma corrispondente all'indennità integrativa speciale", costituente circa il 95% dell'indennizzo totale comporta una progressiva ed ingiustificata perdita di valore della somma originariamente stabilita a titolo d'indennizzo a favore delle persone irreversibilmente danneggiate da trasfusione, vanificandone le finalità assistenziali (art. 38 Cost.). L'indennizzo vitalizio, infatti, rappresenta una misura minima assistenziale, volta a consentire ai danneggiati di far fronte alle cure, visite specialistiche e costi per l'assistenza di cui essi necessitano a causa della patologia post-trasfusionale invalidante da cui sono affetti. Sottolinea il tribunale che, "nel periodo dal 1992 (data di entrata in vigore della legge 210) al 2009, l'indennizzo mensile è aumentato di soli 8 euro, con una perdita quindi rilevante del suo potere d'acquisto, "di fatto riducendosi di quasi la metà dell'originario valore"

3) La violazione delle norme della CEDU si traduce nella violazione dell'art. 117 comma 1 Costituzione

4) Infine il giudicante censura la normativa in questione perché viola gli articoli 24 e 25 I comma, nonché 102, 100 111 Costituzione. Nello specifico viene lesa l'indipendenza e l'autonomia della funzione giudiziaria, pregiudicato il principio del giudice naturale precostituito per legge ed altresì viene vulnerato il diritto del cittadino ad un giusto processo, diritto tutelato dagli artt. 6 CEDU, 47 Carta UE nonché 24 e 111 Costituzione.
In particolare le parti censurate del decreto legge, poi convertito, comportano l'interferenza del potere legislativo su quello giudiziario, perché si ingeriscono in una situazione in fieri, nel corso del dibattito giurisprudenziale che sarebbe approdato davanti alla Corte di Cassazione a Sezioni Unite.
Non può non sottolinearsi, invero, che il comma 13 dispone l'interpretazione "ora per allora" di una norma a distanza di 13 anni dalla sua modifica (L. 238/97 che ha modificato la L. 210/92), in senso contrario al consolidato orientamento giurisprudenziale e a centinaia di sentenze passate in giudicato che avevano stabilito l'integrale rivalutazione degli indennizzi, conformemente all'opzione ermeneutica posta da Cass. 15894/2005 e successiva conforme.
Sotto tale aspetto si configura ulteriore irragionevole disparità di trattamento tra chi ha avuto una sentenza definitiva favorevole e coloro i quali invece avevano un giudizio ancora pendente.
In altre parole il legislatore, con un intervento legislativo che, usando il linguaggio calcistico, potremmo definire "a gamba tesa", ha "stoppato" il potere giurisdizionale ed impedito l’esercizio della funzione nomofilattica da parte della Corte di Legittimità in relazione all'interpretazione giuridicamente più corretta da adottare nel caso di specie, essendo la stessa imposta legislativamente dalla normativa menzionata.
Nel contempo con tale intervento “d'autorità” viene altresì leso il diritto del cittadino alla celebrazione di un giusto processo (111 Cost ed altresì art. 6 CEDU e 47 Carta UE), non potendo questi far altro che subire l'interpretazione stabilita “d’imperio” dalla suddetta normativa che influenza inesorabilmente l'esito dei giudizi in corso (comma 13 del citato art. 11) e si propone persino l’intento di far cessare l'efficacia di sentenze passate in giudicato (comma 14 citato). 

Non resta quindi che attendere, fiduciosi, la decisione della Consulta.





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