-  Redazione P&D  -  22/09/2016

Adozione: giurisprudenza creativa o conforme alla legge? - Cass. n. 12962/16 - Michela Labriola

Commento alla sentenza della Corte Cassazione, I sez. civ., 26 maggio 2016 n. 12962 Giurisprudenza creativa o conforme alla legge?

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE I sez. civ. ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d"appello di Roma - ricorrente - contro […] – contro ricorrente - avverso la sentenza.  N.7127/2015 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 23/12/2015; udita la  relazione della causa svolta nella pubblica udienza del  26/05/2016 dal  Cons.Dott.  MARIA ACI ERNO;  udito,  per la  controricorrente,  l'Avvocato  -omissis- che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Fatti di causa la sig.ra […] legata da una relazione sentimentale di convivenza con [….] fin dal 2003, ha proposto dinanzi al Tribunale per iMinorenni di Roma, ai sensi dell'art. 44,  co.1 lettera d) della legge 4 maggio 1983, n.184 domanda di adozione della minore […] nata […] il evidenziando che: la nascita è stata frutto di un progetto  genitoriale maturato e realizzato con la propria compagna di vita; la decisione di scegliere la più giovane, ai fini della gravidanza è stata dettata dalle maggiori probabilità di successo delle procedure di procreazione medicalmente assistita effettuate in [….], la minore ha vissuto sin dalla nascita con lei e la sua compagna in un contesto familiare e di relazioni scolastiche e sociali analogo a quello delle altre bambine della sua età, nel quale sono presenti anche i nonni ed alcuni familiari della ricorrente. Il Tribunale adito acquisito l"assenso della madre della minore alla adozione e sentito il Pubblico Ministero minorile, il quale ha espresso parere sfavorevole - con la sentenza n. 299/2014 del 30 luglio 2014, ha disposto farsi luogo all'adozione di […] con conseguente aggiunta del cognome di quest"ultima a quello della minore. Tale decisione è stata basata sulle seguenti argomentazioni: a) non è ravvisabile nel nostro ordinamento, diversamente dall'adozione "legittimante", il divieto per la persona singola di adottare ai sensi dell"art.44 co.1 lett. d), della l.184/19; b) nessuna limitazione normativa può desumersi dall'orientamento sessuale della richiedente l'adozione in casi particolari; c) con la menzionata disposizione, il legislatore ha inteso favorire il consolidamento di rapporti tra minore e parenti o persone che già se ne prendono cura, prevedendo un modello adottivo con effetti più limitati rispetto a quello di cui all'art. 6 della stessa legge n.184 del 1983; d) la ratio legis deve essere individuata nella verifica della realizzazione dell'interesse del minore, da intendersi come limite invalicabile e chiave interpretativa dell'istituto; e) la condizione dell"impossibilità di affidamento preadottivo contenuta nella lettera d) del co.1 dell"art. 44, deve essere interpretata non già restrittivamente, come impossibilità "di fatto" bensì come impossibilità di "diritto" così da comprendere anche minori non in stato di abbandono ma relativamente ai quali nasca l'interesse al riconoscimento di rapporti di genitorialità; f) tale ultimo requisito è sussistente nella specie, non trovandosi in stato di abbandono e risultando, di conseguenza, non collocabile in affidamento preadottivo in ragione della presenza della madre, perfettamente in grado di occuparsene; g) la minore, in virtù dello stabile legame di convivenza tra la […] e la […], ha sviluppato una relazione di tipo di tipo genitoriale con quest"ultima, relazione genitoriale con quest"ultima, relazione che, attraverso il paradigma dell"art.44 co.1, lett.d), della l. 184/1983, può avere riconoscimento giuridico entro i limiti dettati dal peculiare modello adottivo applicabile; h) non sussistono, al riguardo, ostacoli normativi costituiti dall"assenza del rapporto matrimoniale e della riscontrata natura del rapporto tra la madre della minore e la […] in quanto persone dello stesso sesso; i) le indagini richieste dall'art. 57 della stessa legge n.184 del 1983 hanno consentito di rilevare la piena rispondenza dell'adozione al preminente interesse della minore. 2. A séguito dell'impugnazione proposta dal Pubblico Ministero minorile avverso tale sentenza, la Corte d'Appello di Roma, sezione minorenni in contraddittorio con […] che ha resistito all'appello; respinta, con ordinanza del 3 febbraio - 9 aprile 2015, l'istanza di nomina di un curatore speciale   della minore; disposta ed espletata la "verifica", di cui all'art.  57 della legge n. 184 del 1983 con la sentenza n.7127/2015 del 23 dicembre 2015, ha rigettato l'appello. In particolare, nel confermare la menzionata pronuncia del Tribunale, la Corte: a) in ordine all"esistenza di un potenziale conflitto di interessi tra la minore e la madre, legale rappresentante della stessa in giudizio, ed alla conseguente necessità della nomina di un curatore speciale, ai sensi dell'art. 78 c.p.c., nel ribadire quanto osservato con la citata ordinanza reiettiva del 3 febbraio - 9 aprile 2015, ha ritenuto che non vi fosse, nel caso concreto, incompatibilità d'interessi e di posizioni tra la minore e la madre in merito all'esito della causa ed ha sottolineato che la norma richiede il preventivo assenso del genitore; b) in ordine alla dedotta illegittimità dell'interpretazione della condicio legis, relativa alla «constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo», ha affermato che:  nell'intenzione del legislatore, tale disposizione risponde all'esigenza di rafforzare legami di fatto esistenti in ambito familiare/parentale e di trovare una soluzione per situazioni nelle quali non sia possibile l'adozione legittimante; insorto contrasto in dottrina ed in giurisprudenza, nella prima fase di applicazione della norma, tra l'interpretazione "restrittiva" – secondo la quale l'impossibilità di affidamento preadottivo presuppone una situazione di abbandono, in quanto solo tale condizione rende possibile un affidamento preadottivo  -  e l'interpretazione "estensiva" - secondo la quale può prescindersi dalla condizione di abbandono -, quest'ultima interpretazione è quella nettamente prevalente nella giurisprudenza minorile, avendo trovato autorevole avallo ermeneutico  nella sentenza  della Corte  Costituzionale  n. 383 del 1999, per la quale l'art.  44, primo comma, lettera e), nella versione ratione temporis (1999) applicabile, formalmente e sostanzialmente corrispondente alla vigente lettera d), non richiede la preesistenza di una situazione di  abbandono  del  minore, trattandosi di un sorta di clausola residuale volta a disciplinare le situazioni non rientranti nei parametri di cui all'art.7, relativi alle condizioni necessarie per procedere all'adozione legittimante; in conclusione, deve aderirsi alla interpretazione secondo la quale è sufficiente l'impossibilità giuridica dell'affidamento preadottivo, la quale può verificarsi anche in mancanza di una situazione di abbandono; e) in particolare, ha osservato che: nessuna delle quattro fattispecie di adozione in casi  particolari, previste  dall'art. 44,  co.1, richiede il preventivo accertamento di una situazione di abbandono, in quanto la ratio ad esse sottesa è volta alla salvaguardia di legami affettivi e relazionali preesistenti ed alla risoluzione di situazioni personali nelle quali l'interesse del minore ad  un'idonea collocazione familiare è preminente e si realizza mediante l'instaurazione di «vincoli giuridici significativi» con chi si occupa stabilmente di lui; l'interpretazione  estensiva non può ritenersi preclusa dalla pronuncia della Corte di Cassazione n.22292  del 2013, perché relativa ad una fattispecie nella quale l'applicabilità dell'art. 44, comma 1, lettera d), è stata esclusa per essere già in atto un affidamento preadottivo conseguente ad una dichiarazione di adottabilità; d) con riferimento al caso di specie, ha affermato che: l'impossibilità dell'affidamento preadottivo è incontestabile, esistendo un genitore con la piena consapevolezza del suo ruolo ed una figlia  minore che ha maturato un rapporto interpersonale, affettivo ed educativo con la partner convivente della madre, tale da acquisire un'autonoma particolare rilevanza e da giustificarne il riconoscimento giuridico attraverso una forma legale corrispondente a ciò che si verifica nella vita quotidiana delle relazioni familiari della minore medesima; la  natura residuale dell'art. 44, co.1, lett. d), risponde  pienamente a tali esigenze; il Tribunale ha accertato, in concreto, l"esistenza di un profondo legame della minore con la […] instaurato fin  dalla nascita e caratterizzato da tutti gli elementi affettivi e di riferimento relazionale, interno ed esterno, qualificanti il rapporto genitoriale e filiale; si tratta non già di dare vita ad una forma di genitorialità non consentita dalla legge, ma di prendere atto di una situazione relazionale preesistente e di dare ad essa una forma giuridica secondo i parametri consentiti dalla legge sull'adozione, senza alcuna sovrapposizione al rapporto che lega la madre della minore e la […] le  indagini svolte ai sensi dell'art.57 della legge n.184 del 1983 hanno consentito di accertare la piena capacità affettiva ed educativa della […] che mantiene un solido rapporto anche con il proprio fratello e con il suo nucleo familiare di origine, nel quale la minore è coinvolta -, nonché la condizione di benessere in cui la minore vive, comprendente aspetti ludici, sociali, scolastici, ricreativi, affettivi, culturali e materiali che la stessa concorre a determinare. 3. Avverso questa sentenza il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura. Resiste, con controricorso, […].

Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo (con cui deduce: «Omessa nomina del curatore speciale della minore ai sensi dell'art.78 c.p.c. nel procedimento di adozione il conflitto di interessi del minore è in re ipsa»), il Pubblico Ministero ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che: a) la situazione di conflitto d'interessi si manifesta nello stesso ricorso introduttivo, laddove è esplicitato che la nascita di […] è stata il  frutto  di un progetto portato avanti dalla coppia costituita dalla madre biologica e dalla ricorrente, «dal che è agevole ravvisare l'aspirazione di entrambe, e quindi anche della madre della minore, a vivere la bigenitorialità nell'ambito del rapporto di coppia come consolidamento dello stesso» (cfr. ricorso, pag. 4);  b)  tale conflitto è "potenziale", dal momento che la madre agisce nel proprio interesse e ritiene che tale interesse coincida con quello della minore, sicché la decisione impugnata, anche se formalmente tesa a salvaguardare l'interesse della minore, appare sostanzialmente ispirata da una concezione "adultocenrica"; c) l'assenso della madre all'adozione non è risolutivo, trattandosi di una condizione della procedura prevista per qualsiasi tipologia di adozione in casi particolari; d) pertanto, sarebbe stato necessario scindere le due posizioni, quella di portatrice di un interesse morale all'adozione e quella di legale rappresentante  dell'adottanda, appunto con la nomina di un curatore speciale della minore. Con il secondo motivo (con cui deduce: «Errore nella applicazione della legge ex  art. 44 lett.d legge 184/83»), il ricorrente critica ancora la sentenza impugnata, quanto all'interpretazione dell'art.44, comma 1, lettera d), data dalla Corte d'Appello, sostenendo che: a) la «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» presuppone pur sempre la preesistenza di una situazione di abbandono, trattandosi di un istituto giuridico unitario dai caratteri individuabili in negativo che mira a offrire tutela a situazioni di adozione difficili od impossibili di fatto, come è comprovato dalla stessa scelta del participio passato «constatata», che rimanda ad un'attività materiale la ricerca di una coppia idonea all'affidamento preadottivo  - al cui esito infruttuoso soltanto si apre la possibilità dell'adozione speciale; b) al riguardo, il richiamo della sentenza della Corte Costituzionale n.383 del 1999 non appare pertinente, in quanto tale sentenza è relativa ad una fattispecie concernente la domanda di adozione speciale rivolta da parenti entro il quarto grado che già si occupano ed accudiscono il minore, cosi impedendo la dichiarazione di abbandono; e) invece, la sentenza della Corte di Cassazione n.22293 del 2013 afferma correttamente che non può dilatarsi la nozione d'impossibilità di affidamento preadottivo al punto da ricomprendervi l'ipotesi del contrasto con l'interesse del minore, con la conseguenza che l'impossibilità di affidamento preadottivo rappresenta un'ipotesi subordinata al mancato esito dell'adozione legittimante. 1.1. Nell'odierna  udienza  di  discussione, il sostituto Procuratore Generale ha chiesto: 1) in via preliminare, la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, perché involgente una questione di massima di particolare importanza; 2) in via subordinata, l'accoglimento del ricorso, ritenendo inapplicabile alla fattispecie dedotta nel presente giudizio l'art. 44,  comma 1, lettera  d), della legge n. 184 del 1983, in quanto tutta la disciplina normativa relativa all'adozione, comprensiva dell'art. 44, è rivolta la tutela dell'infanzia maltrattata, abbandonata ed abusata, mentre nel caso di specie la minore ha un genitore legittimo che si occupa in modo del tutto idoneo di lei; inoltre, l'interpretazione della condicio legis «constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo» che non richieda la preventiva esistenza di una condizione di abbandono determinerebbe un aggiramento del limite contenuto nella lettera b) dello stesso art.44, il quale consente soltanto l'adozione del figlio del coniuge ed esclude tale possibilità per le coppie eterosessuali o dello stesso sesso che non siano unite in matrimonio; ancora, la Corte d'Appello di Roma non ha neanche tentato un'interpretazione costituzionalmente orientata della lettera b) dell'art.44, volta ad estenderne l'applicazione anche alle coppie di fatto, né ha ritenuto di sollevare eccezione d'illegittimità costituzionale della norma per disparità di trattamento tra le unioni matrimoniali e le altre forme di relazione stabile oppure per discriminazione dovuta ad orientamento sessuale, ma ha ritenuto  applicabile la lettera d) nonostante il carattere derogatorio e di stretta interpretazione della norma; infine, a fronte di un'ampia varietà di situazioni familiari stabili meritevoli di tutela, deve ritenersi rimessa al legislatore la scelta in ordine ai valori ed ai diritti da tutelare. 2. Preliminarmente, quanto alla richiesta di rimessione alle Sezioni Unite formulata dal sostituto Procuratore Generale, il Collegio osserva innanzitutto che, secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 4219 del 1985, 359 del 2003, 8016 del 2012), l'istanza di parte volta all'assegnazione del ricorso alle sezioni unite, formulata ai sensi dell'art.376 c.p.c. (nella specie, ai sensi del terzo comma dello stesso art. 376) e dell'art.139 disp.att. c.p.c., costituisce mera sollecitazione all'esercizio di un potere discrezionale, che non solo non è soggetto ad un dovere di motivazione, ma non deve neppure necessariamente manifestarsi in uno specifico esame e rigetto di detta istanza. Fermo restando quanto ora ribadito, può in ogni caso osservarsi che la Corte di cassazione ha pronunciato a sezione semplice su numerose questioni variamente collegate a temi socialmente e/o eticamente sensibili, in tema sia di "direttive di fine vita" (sentenza n. 21748 del 2007), sia di limiti al riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive (sentenze nn. 4184 del 2012 e 2004 del 2015), sia di adozione da parte della persona singola (sentenze nn. 6078 del 2006 e 3572 del 2011), sia di surrogazione di maternità nella forma della gestazione affidata a terzi (sentenza  n.24001 del 2014). Deve, pertanto, ritenersi che non tutte le questioni riguardanti diritti individuali o relazionali di più recente emersione ed attualità sono per ciò solo qualificabili come «di massima di particolare importanza» nell'accezione di cui all'art.374, secondo comma, cod. proc. civ. 3. In limine, il Collegio precisa che, nella specie, il rapporto di filiazione esistente tra la minore e la madre biologica e legale, al pari del rapporto che lega la minore alla richiedente l'adozione ai sensi dell'art.44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983,  non è riconducibile ad alcuna delle forme di cosiddetta "surrogazione di maternità" realizzate mediante l'affidamento della gestazione a terzi: la  minore, infatti, è stata riconosciuta dalla donna che l'ha partorita, in applicazione dell'art. 269, terzo comma, cod.civ. 4. - Il ricorso non merita accoglimento. 4.1. - Il primo motivo non è fondato. Con esso (cfr., supra, n.1.), la critica del ricorrente si incentra sulla prefigurabilità di un conflitto «potenziale» (così qualificato dallo stesso ricorrente) tra l'interesse della madre ad ottenere riconoscimento giuridico dell'unione con la propria partner e quello, autonomo, della minore adottanda, conflitto dal quale scaturirebbe la necessità della nomina di un curatore speciale della minore medesima. La questione che tale motivo pone non ha precedenti specifici e consiste nello stabilire se, nell'ambito di un rapporto di convivenza di coppia, la domanda proposta da una delle persone componenti la coppia per l'adozione del figlio minore dell'altra, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera d), della legge n.184 del 1983, determini ex se un conflitto di interessi, anche solo potenziale, tra la madre ed il minore adottando. Al riguardo, è indispensabile premettere il quadro normativo di riferimento interno e convenzionale concernente la rappresentanza e la partecipazione del minore ai giudizi che lo riguardano. La generale previsione contenuta nel secondo comma dell1art. 78 cod. proc.civ. - «Si procede altresì alla nomina di un curatore speciale al rappresentato, quando vi è conflitto di interessi col rappresentante» deve integrarsi, con specifico riferimento al minore, con gli artt.3 e 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva dalla legge 27 maggio 1991, n. 176, nonché con gli artt.4 e 9 della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti del fanciullo, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996 e resa esecutiva dalla legge 20 marzo 2003, n. 77. In particolare, la Convenzione di New York - dopo aver affermato,  nell'art.3,  par.1, il fondamentale principio, secondo cui «In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private  di  assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità   amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del considerazione preminente» fanciullo deve  essere una con l'art.12, par. 2, stabilendo che « [....] si darà [....] al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in modo compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale», sancisce l'autonomia dei diritti e degli interessi del minore anche nei procedimenti giurisdizionali. A sua volta, l'art.4, par.1, della Convenzione di Strasburgo dispone che «Salvo quanto disposto dall'articolo 9, il fanciullo ha il diritto di chiedere, personalmente o per il tramite di altre persone o organi, la designazione di un rappresentante speciale delle procedure dinnanzi ad un'autorità giudiziaria che lo concernono, qualora il diritto interno privi coloro che hanno responsabilità di genitore, della facoltà di rappresentare il fanciullo per via di un conflitto d'interesse con lo stesso». E il successivo art. 9, par. 1, stabilisce che «Nelle procedure che interessano un fanciullo, se, in virtù del diritto interno, coloro che hanno responsabilità di genitore si vedono  privati della facoltà di rappresentare il fanciullo a causa di un conflitto d'interessi con lo stesso, l'autorità giudiziaria può designare un rappresentante speciale per il fanciullo in tali procedure». Tale quadro normativo convenzionale esige, dunque, che possa essere rappresentata autonomamente la posizione del minore nei giudizi che lo riguardano e si riferisce in particolare a quelli relativi ad interventi sulla responsabilità genitoriale ed a quelli adottivi, riservando tuttavia ai legislatori nazionali di stabilirne le modalità. La scelta operata dal legislatore italiano è fondata sulla predeterminazione normativa di alcune peculiari fattispecie nelle quali è ipotizzabile in astratto, senza dover distinguere caso per caso, il conflitto d'interessi, con conseguente necessità di nomina del curatore speciale a pena di nullità del procedimento per violazione dei principi costituzionali del giusto processo (cfr., ad esempio, artt. 244, sesto comma, 247, secondo, terzo e quarto comma, 248, terzo e quinto comma, 249, terzo e quarto comma, 264, cod.civ.), mentre tutte le altre concrete fattispecie di conflitto d'interessi potenziale, che possa insorgere nei giudizi riguardanti i diritti dei minori, sono regolate dall'art. 78, secondo comma, cod. proc.civ.: ciò significa che il giudice del merito è tenuto a verificare in concreto l'esistenza potenziale di una situazione d'incompatibilità tra gli interessi del rappresentante e quello preminente del minore rappresentato. L'impostazione binaria ora illustrata è coerente con l'interpretazione complessiva del sistema di tutela della effettiva rappresentanza degli interessi del minore nei giudizi che lo riguardano, derivante dagli orientamenti  della Corte costituzionale e della giurisprudenza di legittimità. In particolare, la Corte costituzionale, già nell'ordinanza n. 528 del 2000, allude alla necessità di verificare l'esistenza nel nostro ordinamento di norme che consentano la nomina del curatore speciale del minore nei giudizi che hanno ad oggetto la potestà genitoriale (artt.333 e 336 cod.civ., ratione temporis applicabili), ancorché non vi sia una previsione puntuale al riguardo nelle norme codicistiche richiamate. La stessa indicazione è contenuta nella sentenza n.1 del 2002, nella quale viene espressamente precisato che il menzionato art.12 della Convenzione di New York integra la disciplina contenuta nell'art. 336 cod.civ. ( nella versione ratione temporis applicabile) in modo da consentire, «se del caso», la nomina di un curatore speciale. Nella sentenza n. 83 del 2011, la Corte è esplicita nell'affermare che, se di regola la rappresentanza sostanziale e processuale del minore è affidata al genitore, qualora si prospettino situazioni di conflitto d'interessi, spetta al giudice procedere alla nomina del curatore anche d'ufficio, «avuto riguardo allo specifico potere attribuito in proposito all'autorità giudiziaria dall'art. 9, primo comma, della Convenzione di Strasburgo [....] previa prudente valutazione delle circostanze del caso concreto» (n.5 del Considerato in diritto). Coerentemente con i principi soprarichiamati fondati sul rafforzamento del potere-dovere del giudice del merito di verificare in concreto l'esistenza di una situazione d'incompatibilità tra gli interessi del genitore-rappresentante legale e quelli del minore -, sono state individuate, anche ai fini della delimitazione del sindacato di legittimità di questa Corte, le ipotesi di conflitto d'interessi, rilevabili in astratto ed in via generale, distinguendole dalle situazioni concrete che volta a volta il giudice del merito ha il potere-dovere di esaminare, anche alla luce delle norme convenzionali sopra indicate e del sistema potenziato di tutela processuale della posizione del minore nei giudizi che lo riguardano, derivante dalla legge 28 marzo 2001, n.149 (di modifica della legge n. 184 del 1983, le cui norme processuali sono entrate in vigore il 1 luglio 2007). Al riguardo, può richiamarsi la sentenza n. 7281 del 2010, con la quale, in ordine ad un giudizio di adottabilità, si è ritenuto che il conflitto d'interessi tra genitori e  minore, ai sensi dell'art.8, ultimo comma, e 10, secondo comma, della legge n. 184 del 1983, sia in re ipsa, con conseguente obbligo per il giudice di provvedere alla nomina del curatore speciale, mentre relativamente al rapporto tra tutore e minore la valutazione in concreto di una situazione d'incompatibilità debba essere frutto di valutazione svolta caso per caso dal giudice (cfr., in senso conforme, le sentenze nn. 12290, 16553 e  16870 del 2010, 11420 del 2014). L'apprezzamento dell'esistenza di un potenziale conflitto d'interessi, che non sia previsto normativamente in modo espresso (come ad esempio, nel disconoscimento di paternità, dal citato art.244, ultimo comma, cod.civ.) o non sia ricavabile dall'interpretazione coordinata delle norme che regolano il giudizio (come nel procedimento volto alla dichiarazione di adottabilità), è rimesso in via esclusiva al giudice del merito e non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità: al riguardo, può richiamarsi la sentenza n. 5533 del 2001, secondo la quale il conflitto d'interessi tra genitore e figlio minore si determina non «in presenza di un interesse comune, sia pure distinto ed autonomo, di entrambi al compimento di un determinato atto, ma soltanto allorché i due interessi siano nel caso concreto incompatibili tra loro». Il medesimo principio è affermato nella motivazione della sentenza n.21651 del 2011, proprio con riferimento ad una fattispecie di adozione in casi particolari, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lettera b), della legge n. 184 del 1983, laddove non si esclude "in linea di principio" l'applicabilità dell'art.78, secondo comma, cod. proc.civ., ma si afferma, richiamando la precedente pronuncia n.2489 del 1992, che «il conflitto deve essere concreto, diretto ed attuale, e sussiste se al vantaggio di un soggetto corrisponde il danno dell'altro». Alla luce dei richiamati principi, emerge chiaramente l'infondatezza del motivo in esame. Rilevato che viene censurata - sotto il profilo della violazione di norme di diritto di cui all'art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.  - l' «Omessa nomina del curatore speciale della minore ai sensi dell'art.78 c.p.c.», sul rilievo che «nel procedimento di adozione il conflitto di interessi del minore é in re ipsa», anche se da ritenersi non in atto ma potenziale, deve escludersi che possa trarsi in via ermeneutica, in carenza d'indici normativi specifici, un'incompatibilità d'interessi ravvisabile in generale quale conseguenza dell'applicazione dell'art. 44, comma 1, lettera  d), della legge n. 18 4 del 1983. Questa peculiare ipotesi normativa di adozione in casi particolari mira infatti - come meglio risulterà nel corso dell'esame del secondo motivo  (cfr., infra, n. 4. 2.) - a dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all'interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile instaurate con il minore e caratterizzate dall'adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali.  La ratio dell'istituto è quella di consolidare, ove ricorrano le condizioni dettate dalle legge, legami preesistenti e di evitare che si protraggano situazioni di fatto prive di uno statuto giuridico adeguato. All'interno di tale paradigma non può ravvisarsi una situazione d'incompatibilità d'interessi in re ipsa, desumibile cioè dal modello adottivo astratto, tra il genitore-legale rappresentante ed il minore adottando. Al riguardo, deve aggiungersi che non può non cogliersi, nella necessità dell'assenso del genitore dell'adottando previsto dall'art.46 della legge n.184 del 1983, un indice normativo contrario alla configurabilità, in via generale ed astratta, di una situazione di conflitto d'interessi anche solo potenziale. Tale situazione può, invece, riscontrarsi in concreto nel corso del procedimento di adozione di cui all'art. 44, sicché il giudice, se sollecitato da una delle parti o dal pubblico ministero, deve verificarne l'esistenza nella fattispecie dedotta in giudizio. Nella specie, la Corte d'Appello, con l'ordinanza del 9 aprile 2015 (cfr.,  supra, Fatti di causa, n. 2.) ha trattato espressamente la questione, escludendo la necessità della nomina di un curatore speciale, sia in considerazione della radicale diversità della situazione sub judice rispetto a quelle che caratterizzano le dichiarazioni di adottabilità, nelle quali viene in luce proprio l'inidoneità dei genitori e l'inadempienza ai doveri discendenti dal vincolo di filiazione, sia in relazione alla valutazione in concreto della comunanza e non dell'incompatibilità degli interessi del genitore e del minore, sia, infine, in considerazione della necessità dell'assenso preventivo all'adozione da parte del genitore stesso. La censura, in conclusione, è da respingersi sotto il profilo della violazione di legge, dal momento che il conflitto d'interessi denunciato non è in re ipsa ma va accertato in concreto con riferimento alle singole situazioni dedotte in giudizio. Può, infine, osservarsi che l'unica ragione posta a sostegno della denunciata incompatibilità d'interessi è stata individuata nell'interesse della madre della minore al consolidamento giuridico del proprio progetto di vita relazionale e genitoriale. Al riguardo, tuttavia: o si ritiene che sia proprio la relazione sottostante (coppia omoaffettiva) ad essere potenzialmente contrastante, in re ipsa, con l'interesse del minore, incorrendo però in una inammissibile valutazione negativa fondata esclusivamente sull'orientamento sessuale della madre della minore e della richiedente l'adozione, di natura discriminatoria e comunque priva di qualsiasi allegazione e fondamento probatorio specifico; oppure si deve escludere tout court, come già ampiamente argomentato, la configurabilità in via generale ed astratta di una situazione di conflitto d'interessi. E, comunque, anche a voler qualificare il vizio denunciato all'interno del paradigma di cui all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (ancorché  non espressamente dedotto), la Corte d'Appello ha compiutamente esaminato il profilo indicato, ne ha trattato in modo completo ed ha espresso, di conseguenza, una valutazione finale insindacabile. 4.2. Anche il secondo motivo è privo di fondamento. Il suo esame sarà incentrato sull'esatta delimitazione dell'ambito di applicazione dell'ipotesi normativa di adozione in casi particolari disciplinata nell'art.44, comma 1, lettera d), della legge n.184 del 1983. In particolare, l'indagine ermeneutica sarà concentrata sul contenuto da attribuire alla disposizione «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», condizione questa in cui deve trovarsi il minore adottando indispensabile per l'applicazione di tale fattispecie di adozione. 4.2.1. - Al fine di pervenire ad un'interpretazione coerente con la lettera e la ratio dell'istituto, oltreché con il contesto costituzionale e convenzionale all'interno del quale devono collocarsi i diritti del minore, è necessario esaminare il testo dell'art.44 nella sua interezza nonché la sua evoluzione normativa ed applicativa alla luce, in  particolare, della giurisprudenza della Corte costituzionale e di questa Corte. Il testo originario della norma era il seguente: «I minori possono essere adottati  anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell'articolo 7: a)  da persone unite al minore, orfano di padre e di madre, da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge; c) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo  [primo comma]. L'adozione, nei casi indicati nel precedente comma, è consentita anche in presenza di figli legittimi [secondo comma].  Nei casi di cui alle lettere a) e c) l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l'adottante è persona coniugata e non separata, il minore deve essere adottato da entrambi i coniugi [terzo comma]. In  tutti i casi l'adottante deve superare di almeno diciotto anni l'età di coloro che intende adottare [quarto comma]». L'art. 25 della menzionata legge 28 marzo 2001, n.149, ha sostituito l'intero art. 44, inserendo, in particolare, una nuova ipotesi adottiva relativa al minore disabile, contrassegnata dalla lettera c). Per effetto di questa interpolazione, l'adozione «quando vi sia la constatata impossibilità  di affidamento preadottivo» risulta attualmente contrassegnata dalla lettera d). Inoltre, le successive modifiche hanno riguardato la soppressione - ad opera dell'art. 100, comma 1,lettera t), del  d.lgs 28 dicembre 2013, n. 154 nel comma 2 dello stesso art. 44, dell'attributo «legittimi» dopo «figli», nonché l'inserimento ad opera dell'art. 4, comma 1, della legge 19 ottobre 2015, n.173 (Modifiche alla  legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) nell'art. 44, comma 1, lettera a), dopo le parole «stabile e duraturo», relative al rapporto del minore orfano di padre e di madre con parenti fino al sesto grado, delle parole «anche maturato nell'ambito di un prolungato periodo di affidamento». I1 testo vigente dell'art. 44 della legge n.184 del 1983 risulta, pertanto, il seguente: «1. I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7: a) da persone unite al  minore  da vincolo di parentela fino a1 sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell'ambito di un   prolungato  periodo di affidamento,  quando il  minore sia orfano di padre e di madre; b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell'altro coniuge; e) quando il minore si trovi nelle condizioni  indicate dall'articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n.104, e sia orfano di padre e di madre: d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. 2. L'adozione, nei casi indicati nel comma 1 è consentita anche in presenza di figli. 3. Nei casi di cui alle lettere a) c) e d) del comma 1 l'adozione è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato. Se l'adottante è persona coniugata e non separata, l'adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi. 4. Nei casi di cui alle lettere a) e d) del comma 1 l'età dell'adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare». È, infine,  indispensabile  tener presente  che  il tribunale per i minorenni, per ogni ipotesi di adozione non legittimante, oltre all'acquisizione dell'assenso del genitore dell'adottanda (art. 46, primo comma, cit.), deve svolgere  l'indagine  prevista dal successivo  art.  57,  il quale dispone: «Il tribunale   verifica:  1) se ricorrono le circostanze di cui all'articolo 44: 2) se l'adozione realizza  il preminente interesse del minore [primo comma ].  A ta1 fine il tribunale per i minorenni, sentiti i genitori dell'adottanda, dispone l'esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi, tramite i servizi locali e gli  organi di pubblica sicurezza, sull'adottante, sul minore e sulla di lui famiglia [secondo comma]. L'indagine dovrà  riguardare in particolare:  a)  l'idoneità  affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l'ambiente familiare  degli  adottanti;  b) i motivi per i quali l'adottante desidera adottare il minore; e) la personalità del  minore; d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell'adottante e del minore [terzo comma]». La lettera a) del terzo comma è stata sostituita ad opera dell'art. 29 della legge n. 149 del 2001, che ha esteso l'accertamento da svolgere  anche alla «idoneità affettiva». 4.2.2. Alla luce di tale quadro normativo, l'interpretazione della  condizione costituita dalla «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», non può essere scissa né all'esame complessivo dell'istituto dell'adozione in casi particolari né dalle modifiche normative medio tempore intervenute, al fine di verificare se la sua ratio originaria possa ritenersi tuttora intatta oppure sia  mutata in conseguenza dell'evoluzione del quadro normativo. Il Procuratore generale ricorrente ed il sostituto Procuratore generale d'udienza aderiscono nettamente alla richiamata " tesi restrittiva" (cfr.,supra, nn.1. e 1.1.), che si fonda sulla qualificazione della «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» come impossibilità di fatto": secondo tale tesi, l'inveramento della condizione richiede ineludibilmente la preesistenza di una situazione di abbandono (o di semi abbandono) del minore. Al riguardo, possono individuarsi tre ragioni giustificative di questa lettura della norma: 1) la valorizzazione dell'intentio legis:  l'originaria lettera c), ora lettera d), del comma 1 dell'art. 44, anche secondo alcuni orientamenti dottrinali espressi nella fase di prima applicazione della norma, doveva essere rivolta a scongiurare l'affidamento a  terzi  di minori da parte dei genitori mediante l'aggiramento del rigoroso regime dell'adozione legittimante;  tale ratio originaria ha, di conseguenza, permeato l'istituto, limitandone anche attualmente l'applicazione a   minori in condizioni di prolungata istituzionalizzazione, alla quale non sia seguito, e verosimilmente non possa seguire, l'affidamento preadottivo; 2) l'utilizzazione del sintagma «constatata impossibilità» richiama  una situazione di fatto preesistente;  3) la contraria interpretazione  "estensiva" come sottolineato anche dal  sostituto Procuratore Generale nella sua requisitoria d'udienza - condurrebbe a dichiarare l'adozione in casi particolari tutte le volte che ciò corrisponda all'interesse del minore adottando, con conseguente aggiramento della condizione limitativa imposta dalla legge. Il Collegio non condivide tale opzione interpretativa. L'esame critico del suo fondamento va svolto, come già detto, muovendo dal quadro normativo costituito dalla legge n. 184 del 1983 e dagli altri rilevanti interventi innovativi in tema di filiazione, dianzi delineati. L'analisi deve essere completata con la verifica dell'incidenza del quadro costituzionale e convenzionale, ed  in particolare dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in tema di "best interest" del minore. Deve sottolinearsi che l'art. 44, al primo comma, stabilisce che l'accertamento di una situazione di abbandono (art.8, co.1) non costituisce, differentemente dall'adozione legittimante, una condizione necessaria per l'adozione in casi particolari, e che tale prescrizione di carattere generale si applica a tutte le ipotesi previste dalle lettere a), b), c) e d) dello stesso art. 44. Infatti, tale norma dispone che «I minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1 dell'articolo 7» e il richiamato art. 7, al comma 1, stabilisce come condizione necessaria per l'adozione legittimante la dichiarazione di adottabilità, la quale presuppone a sua volta l'accertamento della situazione di abbandono così come prescritto nel successivo art.8 co.1. Risulta pertanto, anche dal mero esame testuale delle norme sopraindicate, che l'adozione in casi particolari può essere dichiarata a prescindere dalla sussistenza di una situazione di abbandono del minore adottando. La conferma dell'assunto si trae anche dal successivo art. 11,  co.1,  nella parte in cui stabilisce che, relativamente al minore orfano di entrambi i genitori e privo di parenti entro il  quarto grado che abbiano con lui rapporti significativi, il tribunale per i minorenni deve dichiarare lo  stato di adottabilità, «salvo che esistano istanze di adozione ai sensi dell'articolo 44». Le altre differenze di regime giuridico tra le due diverse categorie di adozione, hanno invece una portata applicativa più limitata. Il limite dovuto alla differenza d'età si applica soltanto alle ipotesi sub a) e d)  e l'estensione alle persone non   sposate non riguarda l'ipotesi relativa all'adozione del figlio del coniuge, regolata dalla lettera b). Deve, pertanto, essere pienamente valorizzata ai fini ermeneutici la portata generale della prescrizione contenuta   nel primo comma dell'art. 44, secondo la quale - si ribadisce - la preesistenza dello stato di abbandono non costituisce limite normativo all'applicazione della norma nella sua interezza e conseguentemente, per quanto rileva in questa sede, anche  all'ipotesi descritta nella lettera d). Sostenere invece che, per integrare la  condizione della «constatata  impossibilità dell'affidamento preadottivo», debba sempre sussistere la situazione di abbandono, oltreché contrastare con l'art.44, comma 1 - nella parte in cui ne esclude la  necessità per tutte le ipotesi descritte dalla norma, senza distinzione tra le singole fattispecie, come invece si   riscontra nel terzo comma dell'art.44 relativamente agli altri requisiti relativi all'età o all'insussistenza dello  status coniugale condurrebbe sempre ad escludere che, nell'ipotesi di cui alla lettera d), l'adozione possa conseguire ad una relazione già instaurata e consolidata con il minore, essendo tale condizione relazionale contrastante con l'accertamento di una situazione di abbandono così come descritta nel citato art. 8, comma 1, della legge  n.184 del 1983. Già sul piano dell'esame testuale delle norme l'adozione in casi particolari si    caratterizza per una radicale differenza di disciplina in ordine alle condizioni di accesso (oltreché a differenze di rilievo anche quanto agli effetti, il cui esame è però superfluo) non priva d'influenza  sul piano sistematico. Al riguardo, deve ritenersi che vi siano due modelli di adozione, quella legittimante, fondata sulla condizione di abbandono del  minore, e quella non legittimante, fondata su requisiti diversi sia in ordine alla situazione di fatto nella quale versa il minore,  sia  in ordine alla relazione con il richiedente l'adozione. All'interno di  questa diversa categoria di genitorialità adottiva prevista dal nostro ordinamento, deve rilevarsi che delle quattro fattispecie di adozione in casi particolari descritte nell'art.44, quella contrassegnata dalla lettera d) è caratterizzata da un grado di determinazione inferiore alle altre tre: nella prima, infatti, vengono esattamente definite le situazioni del minore (orfano di padre e madre) e dell'adottante (parente entro il sesto grado con preesistente rapporto stabile e duraturo con il  minore); nella seconda, ugualmente, il minore adottando deve essere figlio, anche adottivo, di un coniuge e l'adottante non può che essere l'altro coniuge; nella terza, il minore deve essere orfano di entrambi i genitori e portatore di handicap, mentre non è richiesta alcuna  condizione  in ordine all'adottante; nella lettera d), invece, nessun requisito viene indicativo per definire i profili dell'adottante e dell' adottando, essendo soltanto prevista la condicio legis della «constatata  impossibilità dell'affidamento preadottivo». L'impostazione di cui alle considerazioni che precedono è del tutto coerente con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.383 del 1999. Con questa  pronuncia, infatti, la Corte nel dichiarare non fondata, in riferimento agli artt. 3 e 30, secondo comma, Cost., anche la questione di legittimità costituzionale dell'art.44, primo comma, lettera c), della legge n.184 del 1983 (testualmente corrispondente alla vigente lettera d dello stesso art. 44: cfr., supra, n.4.2.1.) – ha affermato, tra l'altro, che: a)«[....] l'art.44 della legge  n.184 del 1983 si sostanzia in una sorta di clausola   residuale per i casi speciali non inquadrabili nella disciplina dell'adozione "legittimante", consentendo   l'adozione dei minori "anche quando non ricorrono le condizioni di cui al primo comma dell'art. 7". In  questa logica di apertura, la lettera c) fornisce  un'ulteriore "valvola" per i casi che non rientrano in quelli più  specifici  previsti dalle lettere a) e  b)»; b) «Le  ordinanze di rimessione ritengono di dover trarre dal  riferimento letterale della disposizione impugnata alla "constatata impossibilità di affidamento preadottivo" il presupposto interpretativo secondo cui per far ricorso all'ipotesi prevista dalla lettera c) della norma, occorre necessariamente la previa dichiarazione dello stato di abbandono del minore e quindi la declaratoria formale di adottabilità nonché i1 vano tentativo del predetto affidamento. In realtà, l'art. 44 è tutto retto dalla "assenza delle condizioni" previste dal primo comma del precedente art. 7 della medesima legge n. 184: pertanto, gli stessi principi relativi alle prime due ipotesi dell'art. 44 valgono anche per le fattispecie ricadenti sotto la lettera c)»; c) «Una ulteriore conferma della adottabilità dei minori in tutti i casi rientranti nelle tre lettere dell"art.44 anche quando non sono stati o non possono essere formalmente dichiarati adottabili si trae dal disposto del primo comma del precedente art.11 [ .... ]. È evidente allora che, nelle ipotesi considerate, il legislatore ha voluto favorire il consolidamento dei rapporti tra il minore ed i parenti o le persone che già si  prendono cura di lui, prevedendo la possibilità di un'adozione, sia pure con effetti più limitati rispetto a quella "legittimante", ma con presupposti necessariamente meno rigorosi di quest"ultima. Ciò è pienamente conforme al principio ispiratore di tutta la disciplina in esame: l'effettiva realizzazione degli interessi del minore» (nn. 2. e 3. del Considerato in diritto). L'attenzione prestata dalla Corte costituzionale all'aspetto della continuità affettiva ed educativa della relazione tra l'adottante e l'adottando, come elemento caratterizzante la realizzazione dell'interesse del minore, anticipa significativamente le linee ispiratrici degli interventi legislativi di riforma della filiazione e degli istituti dell'adozione e della stessa giurisprudenza della  Corte europea dei diritti umani, sviluppatasi nell'ultimo decennio intorno al contenuto e alla preminenza del "best  interest"  del minore anche rispetto all'interesse pubblico degli Stati. In particolare, quanto ai predetti interventi legislativi, la riforma della filiazione, di recente attuata mediante la legge delega 10 dicembre 2012, n. 219,  ed il già citato  d. lgs n. 154 del 2013, ha modificato incisivamente la preesistente disciplina normativa degli status filiali, stabilendo solo per il figlio l'imprescrittibilità del diritto a far prevalere la verità   biologica: questa opzione evidenzia il riconoscimento del rilievo delle relazioni instaurate e consolidate nel  tempo tra genitore e figlio sotto il profilo del diritto di quest'ultimo a conservare tale profilo caratterizzante l'identità personale fin dalla nascita.  Inoltre, il medesimo principio, rafforzato dal canone dell'assunzione di responsabilità in ordine alle valutazione della «idoneità affettiva» del genitore adottante, valutazione la quale non può che essere effettuata sulla base di una relazione preesistente adottante-minore, come tale  incompatibile con una situazione di abbandono.  In conclusione, l'interpretazione della espressione constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo» da prescegliere non può che essere quella adottata dalla Corte d'Appello di Roma: coerentemente con il sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva attualmente vigente, deve ritenersi sufficiente l'impossibilità "di diritto" di procedere all'affidamento preadottivo e non solo quella "di fatto", derivante da una condizione di abbandono in senso tecnico- giuridico o di semi abbandono (art. 8, comma 1).

4.2.3. Al riguardo, deve osservarsi che la sentenza di questa Sezione n.22292 del 2013, con orientamento confermato dalla successiva n. 1792 del 2015, non è  in contrasto con la scelta ermeneutica assunta dal Collegio. Le due pronunce definiscono la nozione d'impossibilità dell'affidamento preadottivo in relazione alla richiesta di adozione ai sensi dell'art.44, comma 1, lettera d),, da parte di una coppia affidataria riferita ad un minore che era già in affidamento preadottivo presso altra coppia, perché in corso il procedimento volto alla adozione legittimante. In questo peculiare conflitto, la Corte ha ritenuto che l'impossibilità dell'affidamento preadottivo non potesse desumersi dall'allegato contrasto della scelta dell'adozione legittimante  con l'interesse del  minore.  La condicio legis  in questione viene, pertanto, esplorata sotto un versante del tutto diverso ed autonomo da quello oggetto del  presente giudizio. La menzionata legge n. 173del 2015, volta a facilitare l'accesso all'adozione legittimante   da  parte  delle famiglie affidatarie che abbiano condiviso con il minore un lungo periodo di affidamento, è  stata introdotta anche al fine di evitare conflittualità  quali quelle alla base delle due richiamate pronunce. L'interpretazione della «impossibilità di affidamento preadottivo» all'interno di conflitti quale quello sopra delineato non osta,  in conclusione,  alla più ampia opzione ermeneutica che ricomprenda nella formula anche l'impossibilità "di diritto", e con essa tutte le ipotesi in cui, pur in difetto dello stato di abbandono, sussista in concreto l'interesse del minore a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con altri soggetti, che se ne prendano cura. 4.2.4. - Il quadro della giurisprudenza della Corte europea dei diritti  umani è del tutto coerente con le conclusioni raggiunte, dal momento che si sta sempre più affermando, in particolare nei procedimenti adottivi, il principio secondo il quale il rapporto affettivo che si sia consolidato  all'interno di un nucleo familiare, in senso stretto o tradizionale o comunque ad esso omologabile per il suo contenuto relazionale,  deve essere conservato anche a prescindere dalla corrispondenza con rapporti  giuridicamente riconosciuti, salvo che vi sia un accertamento di fatto contrario a questa soluzione (cfr., tra gli altri, il caso Moretti e Benedetti contro Italia - ricorso  n.16318 del 2007 deciso con la sentenza 27 aprile  2010, nella quale viene affrontato un conflitto analogo a quello sopra illustrato in ordine alla sentenza di  questa Corte n. 22292  del 2013, ma con soluzione che privilegia la relazione istaurata con gli affidatari provvisori; il medesimo principio è stato affermato nella sentenza  Paradiso e Campanelli  contro  Italia del  27 gennaio  2015 ricorso n.25358 del 2012 la cui fattispecie riguarda un progetto procreativo realizzato mediante  gestazione  per altri,  vietato  nel  nostro ordinamento). La Corte, infine, nel caso X ed  altri contro Austria  (sentenza  del  19  febbraio  2013 nel ricorso n. 19010 del 2007), ha riconosciuto anche in terna di adozione del figlio del partner (o adozione  cosiddetta "coparentale")  la violazione del principio di non discriminazione stabilito dall'art. 14 della Convenzione in presenza di una ingiustificata disparità di regime giuridico tra le coppie eterosessuali e le coppie formate da persone dello stesso sesso, dal momento che nell'ordinamento austriaco tale forma di adozione era consentita soltanto alle coppie di fatto eterosessuali. La Corte di Strasburgo, al riguardo,  ha sottolineato che l'Austria non aveva fornito «motivi particolarmente  solidi convincenti idonei a stabilire che l'esclusione delle coppie omosessuali dall'adozione coparentale  aperta alle coppie eterosessuali  non sposate fosse necessaria per tutelare la famiglia tradizionale» (par.151 della sentenza)  Il rilievo della pronuncia rispetto al presente giudizio si coglie in relazione all'applicazione  del paradigma antidiscriminatorio. Nel caso di  una discriminazione fondata sul sesso o l'orientamento sessuale, il margine di apprezzamento degli Stati è limitato, ed  il consenso dei medesimi in ordine all'estensione del diritto all'adozione alle coppie formate da persone dello stesso sesso non è immediatamente rilevante (parr.147,148,149), se in concreto si verifica una situazione, come nella  fattispecie esaminata dalla Corte,  di disparità  di trattamento  tra coppie di fatto  eterosessuali  e  dello stesso  sesso non fondata  su ragioni «serie» (non essendovi evidenze scientifiche dotate  di un adeguato margine di certezza in ordine alla configurabilità di eventuali pregiudizi per il minore derivanti dall'omogenitorialità, come riconosciuto anche dalla sentenza di questa Corte n.  601 del 2013). Ne consegue che, coerentemente con i principi sopra affermati, poiché all'adozione in casi particolari prevista dall'art. 44 comma 1, lettera d), possono accedere sia  le persone singole che le coppie di fatto, l'esame dei requisiti e delle condizioni  imposte dalla legge, sia in  astratto («la constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo»),  sia in concreto (l'indagine  sull'interesse  del minore imposta dall'art. 57, primo comma, n.2), non può essere svolto - neanche indirettamente - dando rilievo all'orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione da questo stabilita con il proprio partner. Deve sottolinearsi peraltro che, rispetto alla situazione descritta nel par.91 della sopra citata sentenza X ed Altri contro Austria, il consenso degli Stati aderenti alla CEDU all'adozione legittimante  da parte di persone dello stesso sesso e all'adozione cosiddetta coparentale è notevolmente  cresciuto rispetto ai dati indicati dalla Corte di Strasburgo nella sentenza medesima: infatti, attualmente, in quattordici Stati (Belgio, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo, Francia, Lussemburgo, Regno Unito, Irlanda, Svezia, Norvegia, Danimarca, Irlanda, Malta, Austria) è consentita l'adozione alle coppie dello stesso sesso, mentre in Germania è possibile l'adozione del figlio del partner, così come in Croazia, Estonia e Slovenia ma non l'adozione tout court. 4.2.5. - Si rileva, infine, che la legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle  unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), entrata in vigore il 5 giugno 2016,  non  si  applica, ratione temporis ed in mancanza di disciplina transitoria, alla fattispecie dedotta in giudizio. 5. -  La circostanza che la parte soccombente è un ufficio del Pubblico Ministero comporta - in conformità con il costante principio, secondo cui l'ufficio del Pubblico Ministero non può essere condannato al pagamento delle spese del giudizio nell'ipotesi di soccombenza, trattandosi di organo propulsore  dell'attività giurisdizionale al quale sono  attribuiti poteri, diversi da quelli svolti dalle parti, meramente processuali ed esercitati per dovere d'ufficio e nell'interesse pubblico (cfr., ex plurimis e da ultima, la sentenza n. 19711 del 2015) - che non v'è luogo a provvedere sulle spese  del presente grado del giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Dispone, ai sensi dell'art. 52  del d. lgs.  n. 196 del 2003, che in caso di diffusione della presente sentenza si omettano le generalità. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 26 maggio 2016 Il Consigliere rel. ed est. Maria Acierno.

 Il commento

Approda in Corte di Cassazione la questione relativa alla richiesta di adozione da parte della compagna convivente della «genitrice biologica» di una minore nata in seguito alla pratica di inseminazione eterologa all"estero. Il caso «pilota», trattato dal Trib. Min. Roma (), era quello relativo a due donne conviventi in Italia, sposate in Spagna che ivi avevano proceduto alla pratica di fecondazione eterologa medicalmente assistita. La bambina, nata a seguito di donazione di gameti maschili, cresceva quindi con una genitrice biologica ed una sociale, entrambe chiamate mamma. La madre non genetica chiedeva di adottare la bambina della propria compagna (coniuge all"estero). Benché vi fosse il parere contrario del p.m.m., secondo cui l"art. 44 c.1, lett. d) l. 184/1983 - fondato sul presupposto imprescindibile dello «stato di abbandono» - si potesse applicare solo ai minori non collocabili «di fatto» in affidamento preadottivo (o perché portatori di handicap o perché, se sradicati dal contesto in cui già vivono, potrebbero subire un serio pregiudizio psico-fisico), il Collegio riteneva che, ai sensi dell"art.57 n.2 l.184/1983, andassero, invece, considerati preliminarmente gli interessi della minore. Pertanto, in ragione del fatto che la lett. d) dell"art.44 non abbia previsto, in modo esplicito, il presupposto dell"abbandono - non applicabile al caso di specie avendo già la minore una madre -, nella impossibilità non di «fatto» ma «di diritto» di affidamento preadottivo, il Trib. Min. Roma disponeva farsi luogo all"adozione della bambina (), richiamandosi alla precedente giurisprudenza conforme (). La questione veniva portata all"attenzione della C.App. capitolina su reclamo del p.m.m. (). La Corte, preliminarmente, rigettava la richiesta di nomina di un curatore speciale per la minore, sul presupposto dell"assenza del conflitto di interessi. Infatti la tutela della bambina veniva correttamente garantita dalla madre che l"aveva riconosciuta alla nascita e che ne aveva la responsabilità genitoriale in via esclusiva, costituendo, il consenso della genitrice biologica, la condizione necessaria per il perfezionamento della procedura di adottabilità (art. 46 l.184/1983). In secondo luogo, i giudici restituivano rilevo ad un consolidato rapporto di fatto tra la minore e la mamma adottante, sancendo, così, l"irrilevanza del presupposto dello stato di abbandono. La detta pronuncia si adeguava a quell"orientamento, condiviso da parte dalla giurisprudenza sovranazionale, che aveva ammesso l"adozione di un figlio generato all"estero attraverso la pratica della fecondazione eterologa medicalmente assistita scelta che, in assenza del presupposto della eterosessualità, invece in Italia avrebbe subito le limitazioni previste dalla l.40/2004. I giudici romani partivano dall"assunto che l"istituto dell"adozione in casi particolari, seppur richieda requisiti meno rigorosi di quelli previsti per l"adozione legittimante, tuttavia non possa non sottomettersi ad una verifica ben ponderata dell"imprescindibile premessa del superiore interesse del minore. I magistrati giudicavano tenendo conto dell"ampio concetto di «legame familiare» quale elaborato - con esplicito richiamo alle unioni omosessuali - anche dalla giurisprudenza della Cedu (), in aderenza ai principî della Carta di Nizza, che vieta qualsivoglia discriminazione basata sul sesso e sull"orientamento sessuale.

Le ragioni della decisione del giudice di legittimità, si presentano assolutamente in linea con quanto deciso nei due gradi di merito. Durante l"udienza di discussione il pm ha chiesto, in via preliminare, la rimessione alle Sezioni Unite in quanto involgente una questione di massima di particolare importanza. Sul punto della rimessione, la Corte, prima sezione civile, ha sottolineato la inesistenza dei presupposti di cui al c.2 dell"art. 374 c.p.c., in quanto la funzione nomofilattica, quale onere di vigilanza sull'esatta e uniforme interpretazione della legge su argomenti di particolare importanza, nel caso di specie non è apparsa doverosa, non emergendo rilevi particolari dalla prospettata questione di adozione da parte di chi ha già instaurato un rapporto significativo con il/la minore; il dato fattuale della relazione omosessuale, già trattato in pronunce nazionali e sovranazionali, non rappresenta, pertanto, una «questione di massima di particolare importanza».

Sulle questioni subordinate la prima, relativa alla nomina necessaria del curatore della minore, è stata oggetto di approfondita analisi e, in ragione delle conclusioni cui perviene la Corte, si può sostenerne la correttezza.

La tesi del pubblico ministero si è basata sull"emergere di un «conflitto potenziale» in quanto la madre biologica, in realtà, più che nel precipuo interesse della minore, avrebbe prestato il proprio consenso all"adozione della figlia quale portatrice di un interesse personale al consolidamento della relazione affettiva, apparendo, a detta del reclamante, tale posizione "ispirata da una concezione «adultocentrica»". Di talché è stata ritenuta strada obbligata, la scissione delle due posizioni tra l"interesse morale all"adozione e quella di legale rappresentante dell"adottanda. Tale assunto non è condivisibile, alla luce dei precedenti indicati dalla giurisprudenza comunitaria che sono nel senso di elidere, in radice, gli effetti discriminatori che possano derivare da una differenza di tutela fra coppie eterosessuali ed omosessuali, sempre in ragione del best interest of the child. La conseguenza giuridica del non riconoscere, in ragione dell"orientamento sessuale dei genitori, un legame che possa rappresentare un quid pluris per la migliore crescita psicofisica dei figli, è la contrarietà alle norme della CEDU e della Carta dei diritti fondamentali dell"UE (Carta di Nizza). Si palesa, pertanto, importante stabilire una possibile mediazione tra l"interesse dello Stato a preservare se stesso da scelte normative, non sempre accettate dalla maggioranza della collettività, ed il diritto del minore ad una famiglia. Gli Ermellini, evidenziando preliminarmente come non sia sindacabile in sede di giudizio di legittimità il conflitto di interessi «potenziale», qualora escluso in sede di merito (), non hanno ritenuto di essere in presenza di interessi incompatibili tra loro (). Qualora il conflitto «potenziale» di interessi sia da intendersi quale situazione in cui l"interesse secondario di una madre – alla formazione di una famiglia – possa potenzialmente tendere ad interferire con l"interesse primario della figlia – al riconoscimento ad una stabile rapporto di accudimento e di affettività – (verso cui la prima ha precisi doveri e responsabilità), allora si perverrebbe alla conclusione che, nel ruolo fondamentale della famiglia e della funzione genitoriale, potrebbero essere in ogni momento potenzialmente individuati conflitti di interessi, comunque sottoponibili ad un vaglio giurisprudenziale, benché in assenza dell"attualità di concreto pregiudizio. Nella questione che ci occupa, si ritiene che abbia avuto prevalenza, per il p.m. reclamante, uno sguardo "discriminante", che ha attribuito ai progetti di natura meramente affettiva tra le genitrici omosessuali e la figlia, un carattere di incompatibilità in re ipsa. D"altronde, seguendo la linea argomentativa del p.m. in base alla quale l"adozione in casi particolari presenterebbe sempre un conflitto di interessi «potenziale», il particolare ambito in cui si muove l"art. 44 l.184/1983, si snaturerebbe di quella propria funzione che assicura alle situazioni di fatto, spesso già consolidate nel tempo, una tutela al minore nei casi in cui non sarebbe possibile procedere all"adozione c.d. «piena». Infine, sul punto, è importante rimarcare che la necessità del consenso del genitore dell"adottato, previsto dall"art. 46 l.184/1983, attribuisce una valenza fondamentale alla responsabilità del genitore biologico la cui derogabilità – in ipotesi di conflitto di interesse - andrebbe valutata, appunto in sede di merito, caso per caso. Ad ogni buon conto, poiché la previsione, contenuta nell"art.56 legge 184/1983, così come riformato nel 1988 dalla Corte Costituzionale,  è quella della mera audizione - non del consenso - del legale rappresentante del minore adottando (che nel caso di specie il p.m.m. ha chiesto debba essere il curatore), che obbliga, conseguentemente, il giudice ad una più approfondita indagine e valutazione sul reale interesse del minore (a seguito delle ricevute dichiarazioni del legale rappresentante), va sottolineato come nel caso di specie, la modalità in cui si sono mosse le corti di merito, sia stata nel senso di una verifica puntuale secondo l"indirizzo tracciato dal successivo art.57 legge 1984/1983. C"è da chiedersi, quindi, a che sarebbe valso l"appesantimento della procedura con la nomina del curatore speciale della minore.

Il secondo punto è quello più controverso sia in dottrina sia in giurisprudenza ed è relativo all"interpretazione della espressione «constatata impossibilità di affidamento preadottivo»  contenuta nell"art. 44 c.1. lett.d).

La adozione c.d. «non legittimante o semi-piena» prevista in tutti quei casi ove non siano presenti le condizioni per procedere, come già sottolineato, alla adozione legittimante o piena, rappresenta una adeguata risposta ad altri disagi. In questa forma di adozione, art. 44 c.1, vengono contemplate le ipotesi in cui: (lett. a) il minore sia orfano di entrambi i genitori, e può essere adottato da coloro che abbiano conservato un rapporto significativo con lui e/o siano parenti entro il sesto grado; (lett. b) il minore sia adottato dal coniuge dell"altro genitore, anche se figlio adottivo di questi; (lett. c, d) sia constatata l"impossibilità procedere ad un affidamento preadottivo (ad esempio: minore portatore di handicap ed orfano; rifiutato ma non abbandonato, perché già legato affettivamente ad altri soggetti adulti, anche single, che abbiano provveduto a garantirne accudimento e cura; il minore in situazione di attenuazione della responsabilità genitoriale del padre e della madre; il minore in affidamento familiare c.d. «irreversibile»; quando la richiesta di adozione di un parente sia intervenuta dopo la dichiarazione di adottabilità e, più frequentemente, quando, l"adolescenza del minore, si scontri con il desiderio degli adulti di avere un figlio in tenera età)

Ampliare, nell"interesse del minore, l"accertamento sulla «impossibilità di affidamento preadottivo» (lett.d), in assenza dello stato di abbandono, anche alle ipotesi di impossibilità di diritto, come specificato, ha consentito l"applicazione della disciplina dell"art. 44 anche alle coppie same sex. Sulla questione si è espressa la Cort.edu, con una pronuncia del 21 gennaio 2014, caso Zhou vs. Italia, in cui è stato messo in rilievo che, nei tribunali italiani, si stia già registrando una interpretazione estensiva, lì dove è dichiarata l"adozione, in casi particolari, in favore di un minore, anche in situazioni in cui non sussista lo stato di abbandono. Inoltre, è stato evidenziato, da autorevole dottrina, che, poiché la forma di adozione «piena» esige, quale requisito necessario per far dichiarare il minore in condizione di adottabilità la previa verifica dello stato di abbandono dello stesso, sembra logico supporre che le ipotesi di cui agli artt. 44 e ss., applicabili «anche quando non ricorrono le condizioni di cui all"art.7 c.1», si configurino sostanzialmente in presenza di minore che non versi in tale condizione. ()

Seguendo tale solco la sentenza in commento, ricalcando sostanzialmente quanto già sostenuto nei due gradi di merito, ha sottolineato come l"art. 44 c.1. stabilisca che l"accertamento di una situazione di abbandono non costituisce, diversamente dalla adozione c.d. piena, una condizione necessaria per l"adozione in casi particolari, e che tale prescrizione si applica a tutte le ipotesi previste nel detto articolo al comma primo.

A tal risultato era già pervenuta la S.C. con la sentenza 260 del 2010 che ha concluso per l"esclusione della necessarietà dello stato di abbandono, in tema di adozione di minore in casi particolari, ex art. 44 l. 4 maggio 1983 n. 184, in quanto, la natura informale del procedimento camerale comporta, ai sensi dell'art. 313 c.c., richiamato dall'art. 56 l. n. 184 cit., l'assenza di qualunque vincolo di rigida priorità temporale tra gli atti della procedura, restando unica esigenza da tutelare il preminente interesse del minore; pertanto, non può considerarsi lesiva del diritto di difesa del genitore naturale l'utilizzazione del consenso da lui prestato nell'ambito del procedimento per l'adozione legittimante, qualora, constatata l'impossibilità di affidamento preadottivo, il procedimento muti in quello per l'adozione in casi particolari, tanto più che il primo presuppone l'accertamento dello stato di abbandono e recide il vincolo con il genitore naturale, mentre il secondo consente la conservazione del rapporto con quest'ultimo. D"altronde con la pronuncia del 1988 n.182, la Corte Costituzionale, nel dichiarare fondata la questione di illegittimità costituzionale - per contrasto con l'art. 3 cost. – della parte degli art. 45, comma 2 e 56 comma 2, l. 4 maggio 1983 n. 184, contenente la disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, in cui si prevedeva il consenso anziché l'audizione del legale rappresentante del minore perché si faccia luogo all'adozione, nel corso della motivazione testualmente ha asserito che "il Titolo IV «Dell'adozione in casi particolari» della legge n. 184 del 1983 tende a recuperare, in ipotesi tassativamente circoscritte, l'impiego dell'adozione cosiddetta ordinaria o semplice o non legittimante per minori che non si trovino nello stato di abbandono, presupposto necessario quest'ultimo per l'adozione cosiddetta piena o legittimante".

Attesa, quindi, la possibilità di applicazione dell"art. 44 alle ipotesi di «non abbandono», in assenza, tra l"altro, del dato testuale ed in presenza di situazioni di fatto in cui il minore abbia già consolidato, con adulti, una relazione affettiva e stabile di convivenza, la Corte conclude sostenendo che "l"interpretazione della «impossibilità di affidamento preadottivo» […] non osta alla più ampia opzione ermeneutica che ricomprenda nella formula anche la impossibilità di «diritto», e con essa tutte le ipotesi in cui, pur in difetto dello stato di abbandono, sussista in concreto l"interesse del minore a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendano cura".

A sostegno della tesi formulata dalla S.C., militano le pronunce in cui sono affermati diritti al riconoscimento adottivo in favore di minori cresciuti all"interno di famiglie eterosessuali (), senza che fosse mosso alcun rilievo circa l"assenza dello stato di abbandono. Nei casi su descritti i giudici, partendo dal paradigma ermeneutico della analogia ad altri pronunciamenti, hanno avvertito l"esigenza di superare le discriminazioni all"interno dei rapporti di filiazione e, atteso che la scelta dei conviventi di non voler convolare a nozze, andasse rispettata, hanno evitato che la volontà degli adulti avesse ricadute negative di denegata tutela nei confronti di minori inconsapevoli. () Ben si comprende, quindi, perché il favor adoptionis della magistratura di merito, nei casi di minori cresciuti all"interno di convivenze omosessuali, abbia trovato, in questi ultimi anni un esito positivo, in ragione del fatto che "l"esame dei requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto sia in concreto, non può essere svolto - neanche indirettamente – dando rilievo all"orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione stabilita con il partner".

Un ultimo inciso è d"uopo, poiché la pronuncia in commento ha esaminato precedenti giurisprudenziali sorti prima della emanazione della L.76/2016 (regolazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), "non si applica, in assenza di una disciplina transitoria alla fattispecie dedotta in giudizio".

Non deve più meravigliare né spaventare, quindi, sempre nel primario interesse del minore, una genitorialità omosessuale.




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